Cammini di Memoria

“Hacer memoria es un compromiso por el futuro”.

Questa frase può riassumere le intense giornate che abbiamo vissuto accompagnando la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò in Colombia nella commemorazione del massacro di Mulatos e Resbalosa avvenuto il 21 febbraio del 2005. Ogni anno dall’accaduto la comunità ha celebrato un atto di memoria. Una memoria viva, una memoria motore di questa resistenza nonviolenta. Il 19 febbraio già dalle prime ore del mattino a La Holandita si sentivano le voci di chi iniziava con i preparativi del primo di 4 giorni dedicati a hacer memoria di Luis Eduardo, Bellanira, Deiner, Alfonso, Sandra, Santiago, Natalia e Alejandro. Sebastian, figlio di Luis Eduardo che all’epoca del massacro aveva appena due anni, sale sulla colonna del portone d’ingresso e con estrema cura appende uno striscione: “RESISTIAMO PER LA VITA, LOTTIAMO PER LA GIUSTIZIA E CAMMINIAMO PER LA DIGNITA’”.

Si susseguono gli arrivi di persone che da diverse parti del paese e del mondo sono giunte alla Comunità di Pace per camminare in questi giorni al loro fianco. Reti di solidarietà, ex volontari di gruppi di accompagnamento internazionali, studenti universitari e semplici amici e amiche che in questi anni hanno potuto conoscere questo gruppo di contadini e contadine e riconoscerne il potere etico dei loro passi. Arrivano infine i rappresentanti delle ambasciate del Regno Unito e della Germania assieme ad una delegazione della Missione II di verificazione della Nazioni Unite. Il chiosco pronto ad accogliere la Comunità, gli ospiti nazionali ed internazionali ed i gruppi di accompagnamento internazionale. I saluti iniziali di German Graciano, rappresentante legale della Comunità di Pace, che nomina uno/a a uno/a le persone presenti. L’intervento di padre Javier a ricordare il cammino fatto fin’ora dalla Comunità di Pace. L’intervento dell’avvocato German Romero, preciso nel raccontare a che punto va il processo giuridico sul massacro  e nel sottolineare ancora una volta che non si è trattato di una operazione militare ma un atto di persecuzione chiaramente definito. German racconta che “[...]ci sono dettagli dolorosi, dolorosissimi su quanto accaduto. La piccola Natalia e suo padre Alfonso capivano quello che stava succedendo. Natalia, per calmare il fratello Santiago, prende uno zainetto lo riempe di vestiti e gli dice che andranno a fare un viaggio. Per tranquillizzarlo gli consegna lo zaino con i vestiti e appena fa questo gesto vengono separati dal loro genitore e sgozzati. Una bambina di 5 anni e un bambino di 20 mesi. E tutto ciò  davanti all’esercito. […]”Intervengono le ambasciate portando parole di solidarietà ed appoggio, così come i gruppi di accompagnamento internazionale presenti e le varie delegazioni internazionali e nazionali. Il tempo stringe perché nel programma della giornata c’è la marcia a San Josè. I bambini si sistemano uno di fianco all’altro all’altezza della bottega del cacao. Dietro a loro tutta la Comunità e le persone che oggi, e non solo, camminano al loro fianco. Tanti, tantissimi i cartelloni colorati che la gente tiene ben saldi in mano: Los niños y niñas pedimos justicia por Deiner 11 años, Natalia 5 años y Santiago 18 meses; Los niños decimos NO a la explotación minera; Respetamos nuestra cordillera, bosques y rios. Giunti a San Josè, paesino nel quale è nata la Comunità di Pace nel 1997, si svolge un atto di memoria con l’ascolto della marcia funebre e la canzone cantata dai bambini/e della Comunità di Pace di Josè Luis Perales Que canten los niños. Forte emozioni mentre attorno gli altri bambini/e di San Josè usciti da scuola si avvicinavano al coro rimanendo lì fino alla fine dell’atto.

Al rientro a La Holandita momenti di condivisione durante il pranzo, il saluto e ringraziamento alle ambasciate per l’importanza della loro presenza in questa giornata e instancabilmente, sono ripresi i preparativi. Il giorno dopo infatti avevano inizio i 3 giorni di cammini di memoria. Con una interminabile fila di muli, mule, cavalli e cavalle, si è raggiunta l’Aldea de paz Luis Eduardo Guerra nel villaggio di Mulatos Medio. Circa sei ore di cammino per le montagne della Serrania di Abibe dove, chi per la prima volta si inoltrava tanto nella selva colombiana, ha potuto ammirare le meraviglie di questo territorio: farfalle azzurre, fiori, palme, bolanderas, nidi enormi appesi agli alberi ed i “rumori” della natura. Una tappa intermedia per riposare, sopratutto per le mamme con i bambini di 4-5mesi che facevano a turno con papà e le zie per trasportarli. Un po' in mulo, un po' a piedi. L’importante è esserci. Anche in tenera età. Perché “hacer memoria es un compromiso por el futuro”.. Riposo anche per gli internazionali, poco abituati a camminare accompagnati dal caldo umido di questa terra e meno   ancora a  stare seduti per ore e ore su un mulo. Arriviamo all’Aldea de Paz. Una forte energia accompagna un po’ tutti noi nonostante la stanchezza e il motivo per il quale siamo lì. Tanti colori, verde azzurro, giallo. Bambini che corrono, contadini che scaricano i sacchi con gli zaini dai muli,  qualcuno va a farsi un veloce bagno al fiume, altri sistemano le amache con la super visione di qualche contadino.

Loro sono sempre li, pronti ad aiutarci riconoscendo il grande valore della nostra presenza. Noi siamo sempre li, pronti ad aiutarli, riconoscendo il grande valore della loro r-esistenza. Verso sera la lunga fila per la cena : pentoloni di fagioli e riso per tutti. Seduti sui tronchi tagliati per accendere il fuoco, si consuma il pasto. Poco a poco vediamo poi le persone ritirarsi: chi nel chiosco, chi in una casa, chi in un’altra, chi sotto il seccatoio, chi nella biblioteca comunitaria; le luci si spengono e le amache portano riposo. Il mattino seguente alle 7:30, ora nella quale Luis Eduardo Guerra, Bellanira e Deiner vengono assassinati, inizia la Santa Messa celebrata da padre Javier. Nei giorni precedenti infatti sotto i nostri occhi  la Comunità era riuscita a terminate, grazie ad un incredibile lavoro comunitario, la cupola della cappellina costruita con pietre proprio nel sito dove furono ritrovati i corpi. La Comunità inizia ad arrivare e  a raccogliersi intono alla cappellina. La famiglia di Luis Eduardo e Deiner è seduta lì unita. Hanno aperto la porta dove è rinchiuso il loro dolore. Hanno saputo trasformare tanta sofferenza in speranza e forza per continuare a lottare sulla scia dello zio, papà, fratello. Davanti a quella croce, oggi, gli sguardi si fanno bassi e i pensieri sorvolano quella cupola ricordando colui che è stato e continua ad essere un grande leader per questa Comunità. I sombreros sono tolti dalla testa di chi li stava indossando e appoggiati sulla terra. Emoziona vedere sopratutto i bambini, seduti in prima fila, indossare la maglietta stampata per l’occasione e la testa china. Padre Javier fa leggere alcune letture del Profeta Isaia in particolare il capitolo 53 che descrive quasi con dettagli e in una maniera drammatica ciò che è stata la morte di Luis Eduardo e ciò che è stata la sua vita:
“[...] si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. [...]”

La memoria vive nella sacralità di questo pezzo di terra bagnato con il sangue di Luis Eduardo, Bellanira e Deiner. La vita di Luis Eduardo ha marcato profondamente la Comunità. Nonostante lui non avesse studiato, era un autodidatta e viveva leggendo e riflettendo ed elaborando pensieri. Per questo nei momenti oscuri e complicati che ha vissuto la Comunità dalla sua fondazione, una risorsa era chiamare Luis Eduardo e chiedergli cosa si poteva fare. Lui aveva sempre una proposta per uscire dalle situazioni difficili. Era una guida. Questa memoria fa parte della storia che mantiene vivo l’ideale che la Comunità si è proposta sin dalla sua fondazione.
Terminata la celebrazione, nuovamente in fila per la colazione: lenticchie, insalata e riso. Mano a mano che la gente finiva di mangiare iniziavano a vedersi nuovamente i muli pronti: una camminata  in salita di circa una ora  per accompagnare la Comunità nel villaggio della Resbalosa dove, verso le ore 12 del 21 febbraio 2005 vennero assassinati Alfonso, Sandra, Natalia, Santiago e Alejandro, quest’ultimo un lavoratore non appartenente alla Comunità di Pace.

Lì, dove ancora sono ben visibili le due fosse nelle quali sono stati trovati i loro corpi fatti pezzi, abbiamo letto un vecchio inno gujarati che Gandhi si fece recitare, l’ultimo giorno della sua vita in un incontro di preghiera. Anche qui è stata costruita in memoria delle vittime una cappellina sotto il cui tetto  resiste un albero di cacao testimone di tanto orrore:
“Anche se stanco e spossato, o uomo, non ti riposare.
Non abbandonare la tua lotta solitaria,
continua, non ti riposare.
Batterai sentieri incerti e aggrovigliati,
non salverai, forse, che qualche povera vita,
ma non perdere la fede, o uomo, non ti riposare.
La tua stessa vita ti consumerà e ti sarà ferita,
crescenti ostacoli sorgeranno sul tuo cammino:
o uomo, caricati di questi pesi, no ti riposare.
Salta al di là delle pene e degli affanni
Pur se fossero alti come montagne.
E se anche non intravedi che campi aridi e sterili,
ara, o uomo, questi campi, non ti riposare.
Il mondo sarà avvolto dalle tenebre:
sarai tu a gettarvi luce,
dispenserai l’oscurità che lo circonda.
Anche quando la vita ti abbandoni uomo, non ti riposare.
Non darti mai riposo, dona riposo agli altri.”

La testimonianza di Robert, accompagnante internazionale che in quell’anno salì ad accompagnare la Comunità nella ricerca dei corpi. Una testimonianza cruda, dettagli chiarissimi per poi sedersi sotto l’ombra di un albero e lasciare che le lacrime scorrano. Un abbraccio solidario mentre i bambini iniziano a cantare: “Que canten los niños, que alcen la voz, que hagan al mundo escuchar...que canten por esos que no cantarán porque han apagado su voz [...]”. I visi emozionati di German e Gildardo leader di questa Comunità. Le mani di Morelis, nipote di Luis Eduardo, che sorreggono la sua testa. I continui singhiozzi di Brigida, che nonostante i problemi fisici, è arrivata fin quassù. I bambini, piccoli, 4-5 mesi sdraiati su una grande foglia per far riposare chi, in braccio li ha portati in cima a quelle montagne. E noi, internazionali lì al loro fianco, a chiederci come sia stata possibile tanta miseria umana.

Riprendiamo il cammino per tornare all’Aldea de Paz. Il pranzo, poi la cena. Seduti attorno ad un falò, Bladimir prende la chitarra e canta alcune delle canzoni da lui scritte. Atmosfera di pace, sorrisi. Voglia di lottare. Al di fuori oscurità e silenzio.
Siamo lì con loro, attorno a questa luce, ascoltando queste canzoni.

Silvia