Memoria, la nostra Resistenza

In Colombia, nella catena montuosa dell’Abibe, regione di Urabà, il 21 febbraio 2005, un operativo congiunto di militari e paramilitari mise fine alla vita di Luis Eduardo, Bellanira, Deiner, Sandra, Alfonso, Natalia e Santiago, appartenenti alla Comunità di Pace di San José de Apartadò e di Alejandro. Deiner aveva solo 11 anni. Natalia solo 5 anni. Santiago appena 18 mesi.
Da allora, ogni anno, il 20 febbraio l’intera Comunità, accompagnata da organizzazioni nazionali e internazionali, si mette in pellegrinaggio, un cammino di circa 6 ore, per raggiungere i villaggi di Mulatos e Resbalosa, terra dove si è consumato il terribile massacro di vite innocenti per, il giorno seguente 21 febbraio, commemorare la loro morte.
Dal 2009, ogni anno, anche Operazione Colomba è presente a fianco della Comunità per fare memoria assieme a loro di quanto accaduto, per solidarietà, per giustizia.


Riuniti nei pressi della piccola cappella, costruita pietra su pietra negli anni nel punto in cui sono stati ritrovati i corpi fatti a pezzi di Luis Eduardo, Deiner e Bellanira, attraverso una piccola radio, nel silenzio della selva colombiana dove solamente i grilli e un leggero vento fanno sentire la loro presenza, risuonano, ridondanti, le parole di Luis Eduardo Guerra, uno dei fondatori della Comunità di Pace, nella sua ultima intervista pubblica ad una giornalista spagnola:
“Il nostro progetto è di continuare a resistere e difendere i nostri Diritti. Quello che abbiamo vissuto finora nella storia è che oggi stiamo parlando, domani potremmo essere morti”.

Perché tanto orrore?

“E’ un progetto che va controcorrente a questo modello di società circondata da anti-valori terribili. Questa “fila” di testimoni ci dice che vale la pena andare controcorrente. Luis Eduardo ci ribadiva che questo processo per costruire qualcosa di diverso era più importante della sua vita […].
E apprenderemo passo dopo passo molte cose, apprenderemo che vivendo si muore e morendo per una causa non si muore nella vita e che la giustizia è qualcosa di più grandioso. La giustizia è la vita che continua. La giustizia è qualcosa di così potente che per la sua lotta viene coinvolto tutto di noi […]” sono le parole pronunciate, durante l’Omelia, dal gesuita Javier Giraldo che sin dalla sua fondazione accompagna instancabilmente la Comunità di Pace nella resistenza etica per chiedere verità e giustizia.

Una giustizia che ancora non esiste, 16 anni di impunità.

Ci rimettiamo in cammino per raggiungere il villaggio di Resbalosa.
 
Una memoria sempre viva, fonte di resistenza per oggi, fonte di speranza per il domani.
Un domani rappresentato da quei bimbi e quelle bimbe che, seduti sotto una semplice e umile cappellina in legno costruita proprio lì dove ancora sono ben visibili le fosse nelle quali sono stati ritrovati i corpi fatti a pezzi di Sandra, Alfonso Natalia Santiago e Alejandro, accompagnati dal suono della chitarra, cantano assieme:

“[…] Que canten los niños que viven en paz
Y aquellos que sufren dolor.
Que canten por esos que no cantarán
Porque han apagado su voz […]”

Con le parole di Pedro Casaldáliga nella sua “Carta aperta ai nostri martiri”, un ultimo omaggio a coloro che hanno donato la propria vita per portare avanti la resistenza etica della Comunità di Pace, resistenza che è divenuta esempio per il mondo intero di costruzione del mondo giusto fondato sui valori della nonviolenza, del bene comune, dell’assidua e costante ricerca della verità, dell’assidua e costante richiesta di giustizia, disposti a donare la propria vita pur di rimanere coerenti ai propri principi:

“Scrivo per Voi, contro la proibizione dei poteri delle dittature militari, politiche ed economiche e contro la smemorata codardia delle nostre proprie chiese. Anche se loro ci vogliono imporre amnistia che sembra amnesia e una riconciliazione che sarebbe claudicazione.
Voi sapete perdonare, però volete vivere. Non permetteremo che si spenga il grido supremo del vostro amore. Non lasceremo che il vostro sangue sia infecondo. […] Assumiamo le vostre vite e le vostre morti assumendo le vostre cause. Queste cause concrete per le quali voi avete donato la vita e la morte. Queste cause così divine e così umane […]”. 

Silvia