24 anni di Vita e la Fiera del Mais

 “...se rimaniamo in silenzio ci uccidono e se parliamo, lo stesso. Quindi, parliamo”.
(Cristina Bautista, leader indigena assassinata nell’ottobre del 2019)

Lo scorso 23 marzo la Comunità di Pace di San José de Apartadó ha festeggiato i suoi ventiquattro anni di vita e di lotta. Una resistenza senza eguali quella della Comunità di Pace capace di trasformare in speranza il dolore di un conflitto che da anni segna corpo e anima di questi contadini e contadine.
Anche quest’anno hanno ripercorso alcune tappe della loro storia con la lettura della costituzione della Comunità, con le canzoni che rimbalzavano note di resilienza e sacrificio, con il loro inno che sin dall’alba riecheggiava tra le colline e con le parole di chi non c’è più, parole registrare anni or sono durante interviste spesso in Paesi lontani, con microfoni gracchianti che non hanno impedito però che si sentissero chiare e ben definite le parole: giustizia, pace e verità.
Anche quest’anno la gente si è raccolta al portone d’ingresso stringendo tra le mani ed il petto le foto di chi ha dato la vita per questo sogno di libertà; tutti insieme hanno raggiunto i luoghi dove ancora una volta in questi ultimi mesi sono state uccise delle persone innocenti. Persone che non erano della Comunità ma che meritavano una preghiera, un pensiero… perché l’oblio uccide due volte.

I bambini, che non mancano mai di essere presenti nella gioia e nel dolore, hanno cantato per la pace: “...che cantino i bambini, che alzino la voce, che si facciano sentire… che cantino i bambini che vivono in pace… che cantino per chi non canterà perché gli è stata tolta la voce...”.
Loro sono i piccoli protagonisti di una comunità che vuole cambiare la rotta della violenza per vivere in pace.

Per rimarcare ancora più forte il senso del legame tra tutti/e loro e la terra, il giorno precedente al Compleanno, la Comunità ha dato via alla Fiera del Mais.
In poco tempo e con molto entusiasmo hanno fatto di San Josecito della Dignidad una vera e propria galleria di esposizione dei frutti della terra che ciascuno portava dai propri campi e dalle proprie case.
Ma il grande protagonista è stato il Mais.
Fin dalle prime ore del mattino, infatti, le donne hanno iniziato a far bollire e tritare il mais per trasformarlo durante la giornata in deliziose arepas, pan de queso, mazamorra, colada, bollo, peto… chi si avvicinava alla cucina comunitaria vedeva sorrisi e sudore tra il calore del forno e della legna su cui si abbrustolivano e cucinavano le pietanze più tipiche che da tempo alcuni non mangiavano.


Le tradizioni culinarie di chi proveniva dalla montagna piuttosto che dalla costa si incrociavano con i diversi sapori, dal cocco alla cannella passando per lo zucchero di canna. Chi non era al comedor (ristorante comunitario) era in casa a cucinare qualcos’altro, magari di fritto che da queste parti non manca mai: empanadas sempre a base di mais, buñuelos con farina di mais e formaggio prodotto da loro stessi, chicha con mais fermentato.
Il chiosco con il suo magnifico tetto di paglia è stato adornato con caschi di banane e platano e un tavolo posto al centro riceveva frutti e semi che giungevano da ogni parte. Straordinaria la voglia di alcuni di raccontare la storia di quel fagiolo piccolo e scuro diverso da quello violetto o da quell’altro che è già tardi per seminare in questo mese. E che dolce il suono nel lasciar scorrere i diversi semi tra le dite, come producessero note differenti a seconda del loro colore. Orgoglio e saperi che sanno di terra e di pane. Semi spesso perduti nella cultura contadina straziata dai grandi progetti multinazionali di coltivazioni estensive.

Parte del Mais della Fiera era stato raccolto la settimana prima in un villaggio a sei ore di cammino da San Josecito. C’eravamo anche noi volontari di Operazione Colomba lì ad osservare le canaste piene di pannocchie trasportate in spalla lungo stretti sentieri in una collina decisamente scomoda e ripida. Cinghiali selvatici, scimmie, scoiattoli e pure il maiale del vicino si erano mangiati un ettaro di quel mais, ma tra qualche sorriso e qualche battuta sulle possibili sorti del maiale, nulla li ha turbati. La coltivazione del mais, ora decisamente perduta per il valore quasi nullo nel mercato, è stata ed è ancora per la Comunità una risorsa. Con il mais si allevano gli animali da cortile, che a loro volta nutrono l’uomo; con quei chicchi bianchi o dorati si fa l’arepa che è in questa terra di Antioquia il pane quotidiano.
Insomma, non mancherebbe nulla… a parte la pace!

24 anni di amore e di voci incessanti che denunciano i soprusi e le violenze; anni di difesa del territorio oggi a rischio più che mai di essere perduto: perdere la terra è per loro perdere l’anima, la vita.
Se parlano delle ingiustizie di cui anche noi occidentali siamo colpevoli, rischiano di venire uccisi, se tacciono pure: per questo parlano, come Cristina Bautista, leader indigena assassinata il 29 ottobre 2019, pochi giorni dopo aver pronunciato proprio queste parole.
Ma è certo, loro parleranno.
Continueranno a parlare alle nostre coscienze e ai nostri cuori perché possiamo divenire più coraggiosi e ci ritorni il desiderio di ascoltare il suono dei fagioli che scorrono tra le nostre dita.