Intervista a Padre Javier Giraldo sul Tribunale Permanente dei Popoli

“Credo che questa sessione del Tribunale sia stata caratterizzata da udienze molto dolorose ma anche molto stimolanti nel senso di una presa di coscienza del proprio vissuto”.

Arrivato a San Josecito della Dignidad per celebrare la Via Crucis durante il Venerdì Santo e dopo aver bevuto un tintico (caffè) a casa di Operazione Colomba (OC), abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il Sacerdote gesuita colombiano Javier Giraldo, teologo e difensore dei Diritti Umani, sulla 48a sessione del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) che si è svolta in Colombia nei giorni 25, 26 e 27 marzo.

OC: Cos’è il TPP?

JG: il TPP è stata una idea nata negli anni ‘60 quando si stava combattendo la guerra del Vietnam nella quale vennero utilizzate tutte le armi proibite universalmente, bombardamenti e distruzioni di popoli interi nel silenzio internazionale.

 
Alcune persone che non sopportavano questo silenzio, come il filosofo inglese Bertrand Russell, e vedendo che nessun Paese, nessuno Stato, protestava, pensarono di convocare un tribunale di opinione: era la prima volta nella storia che si convocava un tribunale di opinione.
Il tribunale si riunì, dopo la negazione della Francia, in un paesino della Danimarca e poi in Svezia, a Stoccolma. Lì, emise una sentenza, famosa in tutto il mondo. Questo tribunale è oggi conosciuto come il Tribunale Russell.
Dopo questo tribunale, il senatore italiano Lelio Basso, relatore nel Tribunale Russell, fece un viaggio in America Latina, constatando che, nel continente, molti Paesi erano sotto dittatura militare, la dittatura di seguridad nacional. In particolare, alcuni brasiliani gli chiesero la possibilità di convocare un secondo Tribunale Russell per portare a processo le dittature del continente latinoamericano. Russell, morì proprio in quegli anni.
Fu Lelio Basso, senatore italiano, a portare avanti l’idea di convocare un secondo Tribunale Russell che potesse processare le dittature dell’America Latina. Nel 1974, Lelio Basso propose di creare una fondazione internazionale per difendere i Diritti dei Popoli e una Lega Militante Internazionale con l’obiettivo di riunire tutte le organizzazioni mondiali che erano contro l’oppressione: la lega venne nominata “Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli”.
Pochi mesi dopo, Lelio Basso convocò, ad Algeri, una conferenza internazionale per proclamare la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli (Carta di Algeri, 1976), che tracciò il cammino del futuro TPP.
L’idea di Lelio Basso era quella di far nascere un’organizzazione tripartitica: basata sulla Fondazione, e sulla Lega, con un tribunale permanente che potesse prolungare l’esperienza del Tribunale Russell. Lelio Basso morì nel 1978 ma grazie al lavoro degli amici, il TPP iniziò ad operare a Bologna nel 1979.
Il piano di lavoro del TPP si basa sulla Carta di Algeri, e affronta le situazioni di maggior oppressione nel mondo.

OC: Qual è il suo ruolo all’interno del Tribunale?

JG: nel 1980 entrai in contatto con la Fondazione Lelio Basso a Roma. Io stavo studiando in Francia ma ero quasi pronto per ritornare in Colombia. La situazione in Colombia era così grave che in molti credevamo che il governo dell’epoca terminasse per proclamare una dittatura militare. Nel frattempo, avevo iniziato a prendere contatto con alcune organizzazioni di Diritti Umani in Europa perché fossero pronte ad agire nel caso la situazione in Colombia precipitasse. Nel dialogo con Linda Bimbi, però, ci fu una sorpresa: lei, invece che offrirmi un appoggio nel caso la situazione in Colombia fosse divenuta ancor più grave, decise di chiedermi di creare una sessione della Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, in Colombia. Una volta ritornato, iniziai a parlare con alcuni amici di questo progetto ed incontrai in loro, sin da subito, un entusiasmo enorme. Dopo pochi mesi, riuscimmo a creare la Lega e a presentarla a Bogotà.
I membri del TPP, verso il 2000, mi chiesero di accettare la seconda vicepresidenza del TPP perché volevano che ci fosse una vicepresidenza per continente. In quel momento io ero in grande difficoltà perché sotto minaccia di morte. Ero tacciato davanti all’opinione pubblica di essere filo guerrigliero. Riportai la mia situazione ai membri del TPP e, nonostante ciò, ratificarono la mia elezione come vicepresidente specificando che, a maggior ragione, era importante per me accettare questo incarico viste tali circostanze.
Nell’anno 2015 sono stato nominato anche come parte della giuria di una sessione del TPP in Germania, a Brema, sul genocidio dei Tamil in Sri Lanka.

OC: Com’è nata questa 48a sessione del TPP, la terza in Colombia?

JG: in Colombia si sono tenute tre sessioni del TPP. La prima, tra il 1989 e il 1991, fu l’occasione affinché tutte le atrocità commesse durante le dittature militari venissero alla luce.
Nel 2005-2006 si chiese al TPP di convocare una seconda sessione in Colombia: era il momento in cui le imprese multinazionali si stavano impossessando del Paese attraverso un saccheggio terribile delle risorse naturali, imprese che avevano inoltre una stretta relazione con i gruppi paramilitari. Tali imprese stavano incrementando terribili violazioni dei Diritti Umani. Le udienze erano specifiche su imprese multinazionali di alimenti come Coca-Cola e Nestlè, udienze sulle imprese estrattive di petrolio, carbone, udienze su imprese di servizi pubblici, altre su imprese a maggior impatto ambientale e altre udienze riguardanti il genocidio indigeno.
L’origine di questa terza sessione del TPP, risale allo scorso anno. La maggior parte dei movimenti sociali di base iniziarono a vedere che l’Accordo stava andando in frantumi, che la violenza, in cambio di diminuire, era ripresa e addirittura aumentata e che quindi il processo di pace era un inganno.
La maggior parte dei gruppi di organizzazioni sociali di base e dei movimenti sociali, ha iniziato a chiedersi: è da 40 anni che stiamo parlando di processi di pace e tutti sono andati in frantumi. Si firmano questi accordi e l’effetto più visibile è l’assassinio delle persone che firmano tale Accordo. Cosa succede in Colombia?
La repressione in Colombia, l’oppressione, la forma di violazione dei Diritti Umani da dove viene? Viene da molto lontano? Iniziarono a rendersi conto che, i massacri perpetrati un secolo fa, avevano come base gli stessi procedimenti, gli stessi metodi e gli stessi pretesti di oggi, iniziando quindi a pensare che ci fosse un qualcosa, un qualcosa di incuneato nello stesso modello di Stato. Iniziarono ad analizzare la “categoria” del genocidio. Abbiamo ottenuto l’aiuto di Daniel Feierstein, grande esperto argentino sul tema. Molti gruppi di avvocati qui in Colombia e attivisti sociali iniziarono a leggere i suoi libri e giunsero alla conclusione che in Colombia esiste un genocidio permanente, espansivo e strutturale che si identifica con il modello di Stato.
Ogni movimento sociale, ogni settore sociale, ogni etnia indigena, ogni organizzazione popolare fece una relazione di tutto ciò che aveva vissuto. Dopo questo lavoro, arrivò la petizione al TPP firmata da quasi 400 entità: 130 organizzazioni e molte personalità o gruppi di Diritti Umani. Il TPP, vedendo la realtà del Paese, grazie anche ad altre informazioni che stava ricevendo, accettò la petizione.

OC: questa sessione verte sul "Genocidio Politico in Colombia": ci può spiegare meglio cosa si intende per genocidio politico e perché in Colombia?

JG: la riflessione che in questo periodo abbiamo portato avanti sul genocidio, in particolare sul genocidio politico, ci ha mostrato quello che stiamo realmente vivendo in Colombia.
La dottrina che Raphael Lemkin, polacco, sviluppa sul genocidio dimostra che esso non è solamente una mattanza di un determinato gruppo, ma anche l’imposizione ai sopravvissuti del modello di società degli oppressori.

OC: Come si è sviluppata la sessione?

JG: sin dall’inizio, il comitato di coordinamento del TPP iniziò ad invitare i sindacati, le organizzazioni indigene, afrocolombiane, le organizzazioni politiche, le organizzazioni degli studenti, le organizzazioni della popolazione civile, per iniziare il resoconto di ciò che avevano sofferto. Molti dei gruppi facenti parte di questa enumerazione oggi non esistono più, però esiste la loro storia, la storia delle proprie vittime, i ricordi delle torture, delle persecuzioni. Tutti questi gruppi hanno, oggi, dei sopravvissuti che conservano quanto accaduto in passato e a tutte queste persone è stato richiesto di raccontare quanto successo e di scrivere la storia della propria eliminazione.
Abbiamo raccolto studi molto approfonditi, molto completi, fatti non solamente di resoconti cronologici, ma anche di profonde analisi del perché di questa eliminazione.
Anche la Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò è intervenuta come “modello” di genocidio: nella testimonianza, si sono elencate le sette strategie attraverso le quali lo Stato colombiano ha cercato di eliminarla. Questa esposizione ha impressionato molto, tanto che alcuni gruppi, che avevano previamente letto il testo, hanno preso quelle righe come traccia per capire le strategie di sterminio che avevano, a loro volta, sofferto.

OC: Abbiamo letto i nomi di stimati giurati. Ci può condividere alcune sensazioni vissute da lei e/o dai giurati sulle tantissime testimonianze di denuncia che avete ascoltato?

JG: La giuria di questa sessione del TPP è stata una giuria di grandi nomi1: Luigi Ferrajoli, Luciana Castellina, Philippe Texier, Michel Forst, Esperanza Martinez, Andres Barrera, Daniel Feierstein, Lottie Cunningham Wren; Monsignor Raúl Vera di Saltillo, Messico, successore del vescovo di San Cristobal, Chiapas, Antoni Pigrau Solé, Mireille Fanon Mendès-France, figlia dell’autore del bestseller mondiale “I dannati della terra”.
Anche i testimoni sono tutte persone di altissimo rilievo tra le quali i leader indigeni che hanno presentato studi davvero approfonditi su quanto hanno vissuto, come la ONIC, il CRIC, la etnia Barì, la popolazione indigena del Catatumbo, vittime della legge di sterminio per favorire le imprese petrolifere e i sindacati.
Credo che il TPP sia stato caratterizzato da udienze molto dolorose, perché le atrocità “viste” attraverso le testimonianze, sono terribili. Dall’altro lato, sono state udienze molto stimolanti nel senso di una presa di coscienza molto grande, in particolare su ciò che è stato il genocidio in Colombia.

OC: Il governo colombiano non si è presentato al processo per condividere la sua verità…

JG: c’è una normativa nello statuto del TPP che dà la possibilità di notificare alle entità accusate, siano esse Stati o imprese, per offrire loro uno spazio di difesa. È questa una normativa universale di giustizia. Il TPP ha sempre notificato ai governi accusati questo spazio di difesa e l’ha fatto anche in questa sessione. Nonostante ciò, il governo non si è presentato. Ma per rimanere fedeli alla normativa, il TPP cercò un giurista che, raccogliendo tutto il materiale, elaborò una difesa d’ufficio e la presentò nell’ultimo giorno di udienze. Ad alcuni la risposta risultò piuttosto strana perché, dopo tutte le accuse ricevute, emergeva come invece lo Stato colombiano si fosse prodigato contro il genocidio menzionando elementi della legge colombiana come le firme di trattati internazionali e l’inclusione del genocidio di tipo politico all’interno del codice penale colombiano.

OC: La sentenza definitiva, che uscirà a maggio, aiuterà secondo lei a smuovere la coscienza etica della Comunità Internazionale sulla grave situazione di violazione dei DU in Colombia?

JG: è la prima volta che il TPP fa richiesta di un tempo così lungo per elaborare la sentenza. Solitamente, quasi tutte le sentenze del TPP sono state presentate nell’ultimo giorno del TPP. Questa volta invece, vedendo la mole di documenti inviati dalla Colombia a Roma e da lì distribuiti a tutti i giudici, si è sin da subito vista la necessità, da parte dei giudici, di richiedere un tempo più lungo.
L’obiettivo della sentenza non è quello di incarcerare nessuno. L’obiettivo della sentenza è quello di contribuire alla presa di coscienza dei cittadini, della popolazione, della società civile, aiutandoli a leggere, alla luce del Diritto Internazionale, la propria esperienza vissuta. Sviluppare la coscienza collettiva e spiegare alla Comunità Internazionale, a tutti i Paesi, ai tribunali internazionali, alle organizzazioni internazionali, la logica della violazione dei DU in Colombia.

OC: "El pueblo se levanta por el pueblo" si legge nella locandina di promozione dell’evento: qual è il significato profondo di questa frase?

JG: È una frase che tocca l’essenza del TPP. Il TPP non è un organo autoritario. Al contrario, tutti gli elementi per la sentenza finale arrivano dal popolo, lo stesso popolo che ha richiesto la sessione, lo stesso popolo che ha elaborato tutta la propria storia presentandola davanti al TPP. In questo senso è “il popolo che si alza per il popolo”.
L’esperienza del TPP mostra che è il popolo stesso che deve prendere coscienza e accudire principi di giustizia a favore del popolo stesso per proteggerne i suoi gruppi, le sue comunità, le sue etnie, i suoi settori sociali vittimizzati.
È necessario appoggiare il popolo oppresso, i settori oppressi della società, coloro ai quali vengono negati i propri diritti: è da lì che sorgono proposte globali di trasformazioni sociali.

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