Dalla parte giusta

Da tre mesi accompagno la Comunità di Pace di San José de Apartadò in Colombia. E questo è ciò che per me significa "accompagnare".

Innanzitutto, accompagnare è rimanere informati.

Leggo, mentre bevo il caffè, le notizie sulle manifestazioni di protesta che in questi giorni inondano le città colombiane. Ogni mattina mi preoccupo e sconvolgo per la repressione violenta attuata contro chi chiede "Cambiamento".

39 omicidi[1] presumibilmente commessi da membri delle forze dell’ordine
379 desaparecidos[2]
16 casi di violenza sessuale[3]

Accompagnare è anche, e soprattutto, una presenza partecipata e coinvolta; in altre parole: condivisione quotidiana.

Vado a trovare Brigida nel suo patio rigoglioso di piante. Porto con me l'uncinetto, il filo di lana verde e l'astuccio che sto creando. Approfitto del suo esser guida per chiederle consiglio riguardo il mio lavoro. Ci vuole pazienza nello sciogliere le centinaia di nodi compiuti per poi ripartire, nodo dopo nodo, a causa di un singolo errore commesso alcuni strati prima. Ma la soddisfazione nel vedere la tua opera crescere, ordinata e compatta, è grande.

Metto in pausa i miei impegni, quando vedo Waco avvicinarsi a fatica, sostenuto dal suo solido bastone. Lo raggiungo al tavolo fuori casa e mi unisco al "Nero", il suo cane, nel fargli compagnia sotto un tetto di frasche. Gli chiedo come sta, sapendo che la risposta sarà quella di ieri: "mi fa male, oggi mi fa molto male". Si riferisce alla sua caviglia, il cui equilibrio si è ormai spezzato dal peso di una vita trascorsa a lavorare nel campo. Lo ascolto quando si mostra attraverso i suoi racconti.

Esco per fare gli auguri a Pupillo e lo incontro che chiacchiera assieme ai ragazzi. Un secchio di plastica azzurro è appeso alle sue spalle, in attesa di essere riempito dal raccolto. Un altro giorno di lavoro lo aspetta. "Non festeggi un po' oggi che compi gli anni?" gli chiedo. "Mah no... Io sono una persona semplice, umile... Ciò che importa è la salute! Finché c'è quella, io sono felice".

Così mi spiega, sorridendo, mentre termina la sua sigaretta "Rumba". Ci salutiamo e lo invito a passare da noi nel pomeriggio. Torno quindi a casa e gli preparo una torta, con le banane dell'amico Oscar e le uova della vicina Aurora.

Gioco, rigorosamente in coppia, un'interminabile serie di partite a domino: Italia - Colombia. Osservo le mie tessere ed elaboro una strategia. Provo a seguire e a sostenere il gioco della mia compagna di squadra. Penso a come far passare i miei avversari: Héctor e Oscar. La loro esperienza li rende abili giocatori. Ma Héctor, è risaputo, è assai testardo: cerca sempre di imporre il suo gioco, noncurante del compagno. Ciò compensa con il mio scarso livello, rendendo le partite almeno equilibrate. Battute e risate si alternano a momenti carichi di tensione.

È "solo" un gioco... ma io voglio vincere!

Inoltre, accompagnare è un lungo spostamento, attraversando le verdi montagne.

Viaggio per ore seduto sulla schiena di una mula. La mia mente rimane attenta e ricettiva, il mio sguardo vigile e concentrato: su di loro, uomini, donne e bambini che accompagno; su di lei che li accompagna assieme a me; sulla mula Inés affinché percorra il cammino corretto al giusto ritmo; sul cane Alegría, compagno fedele ma indisciplinato, che si perde nella giungla rincorrendo i "Tis Tis" (scimmie). "Non perdersi di vista" è l'imperativo che guida il nostro andare.

Cammino, in un sentiero appena aperto tra la vegetazione più fitta, fino a giungere al loro luogo di lavoro. Cerco una roccia, o un tronco caduto, su cui sedermi a osservare i membri della Comunità. Scavano buchi, cilindrici e profondi, nel terreno e vi infilano rigidi pali di legno. Dal caldo accecante la mattina, al fresco dell'ombra la sera, il recinto del bestiame prende forma. Il tempo intanto scorre, lentamente.

Accompagnare è, infine, scrivere.

Scrivo a me stesso, per aiutarmi a capire il cambiamento che sto attraversando. La Comunità, nella forza della sua resistenza e nel suo radicamento alla terra, stimola la mia consapevolezza: della persona che sono e del sistema a cui appartengo. La Comunità mette in discussione le mie certezze, mi pone di fronte un esame di coscienza a cui non posso sottrarmi.

Ma scrivo anche a te, che nonostante, fisicamente, mi sei distante, io ti sento vicino. Il legame che ci unisce segue il flusso del denaro che spendi. Perché se non sei consapevole, il tuo consumo rischia di sostenere un'impresa che qui espropria. L'allevamento intensivo di carne, la monocultura di banane, la costruzione di una diga, l'estrazione di petrolio e di carbone: queste si impongono su terre svuotate dalla violenza. Quindi scrivo per farti conoscere chi a questo sistema resiste: difendendo e curando la sua terra. Perché "senza terra, non c'è vita". 

Non so se il mio "accompagnare" possa portare a un cambiamento. Di certo, qui sento di stare dalla parte giusta e, quando il sistema è troppo forte per essere cambiato, non c'è niente di più importante.

Otto

[1] http://www.indepaz.org.co/wp-content/uploads/2021/05/INFORME-CIDH-VIOLENCIA-POLICIAL-PROTESTA-SOCIAL.pdf
[2] https://www.france24.com/es/am%C3%A9rica-latina/20210507-colombia-protestas-desaparecidos-gobierno-cifras-disimiles
[3] http://www.indepaz.org.co/wp-content/uploads/2021/05/INFORME-CIDH-VIOLENCIA-POLICIAL-PROTESTA-SOCIAL.pdf