Tempo di missione

“Gli occhi che piangono di più sono anche quelli che vedono meglio…” (Victor Hugo)

Per il mondo cattolico, ottobre è il mese “missionario”, dedicato a chi, religioso o laico, donna o uomo e di ogni età, dona la propria vita per compiere un mandato in qualsiasi parte del mondo, ma spesso fuori dalla Patria di origine.
Mi piace però pensare alla parola “missione” in una prospettiva ancora più ampia, dove non esistono luoghi o spazi o competenze precise per svolgerla, ma, semplicemente, si faccia missione laddove c’è una sfida, dove alberga un’ingiustizia, dove venga violato un diritto.
Così ognuno di noi troverebbe la sua missione molto facilmente e ciò di cui avrebbe bisogno non sarebbe un abito, una professione o una abilità specifica, ma solo tanto coraggio e coerenza.
Sarebbe troppo pensare che, così facendo, cambieremmo il mondo?
Credo di no, perché significherebbe che tutti, ma proprio tutti, almeno una missione di giustizia la potremmo compiere nella nostra vita.
E ancora di più mi piace pensare e sperare che, anche fin da bambini, si possa essere protagonisti di un cambio di rotta che faccia approdare l’umanità verso l’accoglienza e la tenerezza.

Da alcuni angoli di mondo, come qui nella Comunità di Pace di San José de Apartadó, certamente ci si trova spettatori privilegiati di un impegno verso la ricerca della giustizia del tutto fuori dal comune.
In qualche modo, la sofferenza subita in tanti anni di conflitto non ha mai fatto prendere loro la via della vendetta, ma piuttosto quella del perdono e del cor-aggio, cioè dell’agire con il cuore.
Da come lasciano scivolare tra le dita i semi di riso o i chicchi di mais nel terreno a come dipingono sui muri o sui gusci del seme del totumo la storia della loro lotta e resistenza, i contadini e le contadine della Comunità di Pace costruiscono il cambio di rotta; da come respirano uniti come fossero un solo polmone e, nello stesso tempo, agiscono in modi distinti, poiché ognuno sa bene qual è il proprio ruolo, la Comunità di Pace compie la sua missione.
Queste persone hanno versato e versano tante lacrime, a causa delle ingiustizie e delle numerose vittime innocenti in un Paese difficile e violento, ma i loro occhi non hanno mai smesso di guardare ben al di là del male, per veder molto chiaramente il cammino che vogliono fare, il cambio che vogliono essere.
Per questo credo che ciascuno di noi sia chiamato a questo cambio, perché anche le nostre lacrime creano uno spazio fertile alla missione di giustizia sia che sia rivolta a se stessi o agli altri.
Basta a volte anche solo un gesto, lo sporgersi verso l’altro, il saper ricevere dall’altro.
Certo una sfida ai nostri limiti e timori, ma anche un dovere nei confronti di chi ha scelto, come missione di vita, la pace e la libertà ed è disposto a morire per ottenerle, compiendo questo gesto anche per tutti noi.