La solitudine dei resistenti

Quasi 12 chilometri di marcia quelli fatti dai membri della Comunità di Pace e da noi volontarie di Operazione Colomba per rendere omaggio, il 23 dicembre scorso, a Huber Velasquez, leader sociale assassinato presuntivamente da un gruppo di neo paramilitari sulla porta della sua casa, di fronte ai suoi bambini e alla moglie, la sera del 17 dicembre.
La sua colpa sarebbe quella di aver denunciato varie irregolarità nel rifacimento della pavimentazione stradale che porta dalla città di Apartadó a San José. Voleva resistere ed opporsi all’ingiustizia e, per questo, non ha esitato a dire a gran voce che la verità doveva venire alla luce.
Era solo a farlo.
Solo, perché tutti qui sanno qual è il prezzo da pagare per esigere giustizia.
Una solitudine indotta e forzata, non perché gli altri intorno non vedano il male, ma semplicemente perché sanno che raccontarlo costa la vita.
La solitudine dei resistenti pare il comune denominatore di molti uomini e donne che hanno lottato per il cambiamento e per il Diritto alla libertà e alla vita in tutto il mondo.

Un denominatore comune, quello della solitudine, anche quando la resistenza la fa una Comunità o un gruppo o un movimento, specialmente in aree dove il conflitto e l’ingiustizia dettano il ritmo di azioni e scelte.
Anche la Comunità di Pace vive qui in Colombia questa solitudine, soprattutto in questi ultimi anni in cui, contrariamente a quello che si poteva e voleva immaginare, l’Accordo di Pace si è trasformato spesso più in un turbine di violenza che in venti di vera pace.
Le centinaia di piedi marcianti di grandi, vecchi e bambini dello scorso 23 dicembre non riescono  a commuovere né a muovere le coscienze di chi provoca tanto dolore e che, forse anch’egli padre, non si fa scrupolo ad uccidere un innocente sulla soglia di casa e davanti ai suoi figli.
La solitudine della Comunità di Pace si è sentita ad ogni passo di quei lunghi 12 chilometri dove nessun’ altra persona del posto ha potuto, più che voluto, unirsi a quel cordone di umanità che stava rendendo omaggio ad un’altra vittima di questo Paese.
Soli, come fossero arroccati in un castello,  mentre da fuori i “barbari” cercano in ogni modo di romperne le mura.
Ma ancora una volta la Comunità di Pace è riuscita a stupire e quella marcia si è trasformata in un vortice di colori e sorrisi, di parole che volevano uscire dai cartelloni e rimbalzare sulle coscienze intorpidite del nostro mondo e delle nostre responsabilità.
La dichiarazione finale della Comunità, letta nella casa di Huber, è avvenuta nella più totale assenza di altri cittadini solidali, ma è stata senza dubbio un vero inno alla vita e alla verità.
Ha rappresentato il concretizzarsi di quelle parole dolorose  e, allo stesso tempo, magnifiche dette dalla giovane leader indigena Cristina Bautista assassinata il 29 ottobre 2019: “se parliamo ci uccidono. Se stiamo in silenzio ugualmente ci uccidono. Quindi parliamo”.
Le parole, lette da una giovane della Comunità, scorrevano decise dentro a quella solitudine che pareva piano piano trasformarsi in corazza di coraggio.
“...La nostra Comunità di Pace ha lottato in mille modi contro il silenziamento della verità. La memoria di tutti quelli che hanno avuto il coraggio di difendere i principi di giustizia e solidarietà, nel mezzo di situazioni di orribile repressione, è qualcosa che ha sostenuto la nostra motivazione a mantenere viva la nostra lotta per la verità e la giustizia…”.
La solitudine dei resistenti ha lo spessore della dignità e l’audacia di chi ama la vita e la rispetta a costo di perdere la propria per difendere il Diritto di tutti, anche il tuo.