C’è ancora vita da celebrare!

Oggi è il 23 marzo 2022, 25esimo anniversario della costituzione della Comunità di Pace di San José de Apartadò (CdP).

Già dalle prime luci dell’alba, risuona negli altoparlanti l’inno della CdP: fervono i preparativi, numerosi sono gli ospiti da accogliere, nazionali ed internazionali. Sento forte l’affetto di tutti coloro che qui hanno trovato un esempio di resistenza, lotta, rispetto, cura di sé e degli altri - perché, senza gli altri, non siamo niente.

I giorni precedenti, appena arrivata, sono stati forieri di esperienze nuove, perché qui ci si occupa tutti insieme del buon esito della festa, dai più piccini ai più anziani, ed io non ho voluto sottrarmi nemmeno alle attività che in Italia non avrei voluto esperire, perché quando si lavora insieme, la fatica si divide e la soddisfazione si moltiplica.

Il viavai non ha mai sosta, sbocciano sorrisi sui volti di chi da anni supporta la CdP e di chi per la prima volta ne conosce la realtà, attività di ogni genere proliferano e scambi di esperienze e contatti si concretizzano con la speranza che questa data non sia una mera celebrazione simbolica, ma il punto di inizio di collaborazioni fruttifere tra i collettivi e le realtà istituzionali presenti. Partecipano rappresentanti di comunità sfollate, indigene ed afro presenti sul territorio: il loro confronto è necessario per costruire insieme strategie efficaci per un futuro di pace.

Ad aprire la celebrazione ufficiale è una marcia, a cui partecipiamo tutti, accompagnati dalle note diffuse dalle radio, che intonano gli slogan che la CdP ha prodotto nel corso della sua travagliata e fiera storia. Ma il suono più forte, l’abbraccio più stretto, li percepisco nel silenzio in cui ci si stringe per commemorare chi fisicamente non può più accompagnare, ma nello spirito continua ad essere una guida. E’ a questo punto che Padre Javier Giraldo prende la parola e ricorda uno dei massacri sofferti dalla CdP, proprio nel luogo in cui si consumò. Si respira resilienza, fierezza, dignità, e anche dolore, un dolore sordo, e la concretezza dell’attesa di Giustizia che, ancora, non si è realizzata.

La marcia si conclude in un altro luogo di rilevante importanza per il territorio, ossia il centro di commercializzazione del cacao, dove una giovane declama alcuni stralci della Dichiarazione costitutiva della CdP: ho provato una forte commozione nell’osservare la consapevolezza di una diciassettenne, che ai miei occhi ha la maturità di un’adulta.

Seguono diverse testimonianze e presentazioni, tra le quali mi colpisce molto quella di uno degli avvocati che ha seguito il caso di uno dei massacri più crudeli che ha colpito la CdP: illustra, infatti, le tecniche utilizzate dallo Stato per negare le azioni offensive intraprese ai danni della CdP, che, secondo l’interpretazione del team legale, configurano la fattispecie di genocidio a tutti gli effetti.
Segue Gloria Cuartas, Sindaca del Municipio di Apartadò quando il conflitto ad alta intensità iniziava, ed attualmente difensore dei Diritti Umani: ci presenta la situazione attuale che si vive nella regione, sottolineando il bisogno di solidarietà da parte di tutti gli attori coinvolti, nazionali ed internazionali.
Anche i membri della Comunità prendono la parola ed io non posso che provare un’ammirazione infinita per persone, anche anziane, che hanno passato la vita nel campo, troppo spesso senza accesso all’istruzione, in grado di esprimere lo splendore e al contempo la perversione dell’Essere Umano con una chiarezza ed una semplicità affilate, una sapienza antica, che sa di terra bagnata e cacao amaro.

E poi… si canta e si balla, perché c’è ancora la Vita da celebrare, un futuro da costruire, obbiettivi da raggiungere. Si susseguono gruppi musicali e solisti, la cui bravura colpisce nel profondo, più a fondo del cuore, perché si canta di migrazioni forzate e legami ancestrali, di sacrifici per amore e amore per il sacrificio, quando libera dalle catene, dei saperi del contadino e della forza delle madri, delle matriarche che hanno saputo salvarci e degli uomini di cui abbiamo perso il nome, ma non l’eredità morale.

Alcuni membri della Comunità inscenano poi un’opera teatrale che hanno creato, di concerto con un gruppo di artisti, nella quale ripercorrono la storia della CdP. E così scopriamo quanti talenti si nascondono in una Comunità così piccola, eppure grande allo stesso tempo. Vedo la professionalità, senza supporti professionali continui, di chi è riuscito a raccontare una storia crudele e brutale, rendendola comprensibile a chi non ha mai provato una violenza così cruda e diretta, facendo persino ridere con caricature. Perché il riso può curare l’anima, anche quando si lacera. Non è del resto arte la capacità di trasmettere emozioni?

Alla fine di una giornata intensa e piena, trovo il tempo di domandarmi come mi possa sentire a casa in un luogo che non ho mai visitato prima, ma in cui c’è spazio per tutti, cibo per tutti, una parola buona per tutti, tempo per tutti.

E credo mi sia stato concesso un incredibile privilegio solo per averne fatto parte.