Proibito ammazzare i civili

Quando mio nonno, nato nel 1926 e vissuto in una valle bergamasca, decise di scrivere le sue memorie, lessi con grande curiosità di un mondo che mi sembrava lontano, immerso in un tempo a me sconosciuto, calato in un paesaggio nel frattempo mutato dall’intervento di tecnologie volte al progresso.
Nei suoi scritti, narra di un conflitto – la Seconda Guerra Mondiale – che scoppiò quando lui era ancora adolescente: racconta della solidarietà tra i contadini, soprattutto verso le famiglie più povere, dei soprusi che dovettero patire da parte di chi il potere – invece - ce l’aveva, della rassegnazione e della rabbia, ma anche delle strategie per non arrendersi davvero, non del tutto.
E della speranza in un futuro meno ingiusto, meno sanguinoso perché, in fondo, “c’era ancora qualcuno che pensava che fosse proibito ammazzare i civili”.
Eppure, anche dopo la pace, la violenza non scomparve completamente.
E quando nel Vecchio Continente si spensero i conflitti armati, iniziarono gli scontri di carattere economico, travestiti da progetti per lo sviluppo.
Quello stesso “sviluppo” che io, bambina, non ero in grado di mettere in discussione ma che, in un mondo globale, è diventato insostenibile perché le risorse del nostro pianeta Terra non sono inesauribili.

Inoltre, che piaccia oppure no, l’opulento stile di vita occidentale si basa sullo sfruttamento incondizionato di altre ampie regioni, collocate in tutto il globo, le cui popolazioni sono costrette a vivere schiave della miseria e delle minacce, dei ricatti e delle barbarie, spesso da parte di attori sia legali (Governi ed eserciti) che illegali (criminalità organizzata, organismi paramilitari, guerriglie).
A patirne le conseguenze sono tutti gli esseri viventi.
Perché di questo si tratta: del possesso della terra, fonte di Vita, e delle sue ricchezze.
A germogliare in questo contesto atrofizzante è stata la Comunità di Pace di San José de Apartadò (CdP), che si trova in uno dei territori più fertili e ricchi di petrolio e minerali preziosi della Colombia, nonché situato in un’area strategica per i corridoi del narcotraffico.
E’ qui che un gruppo di contadini, forzati ad abbandonare i propri terreni da molteplici attori armati, ha deciso di stabilirsi e rispondere alla guerra interna con la nonviolenza, dichiarandosi Zona Umanitaria neutrale il 23 marzo 1997.
La fermezza e la dignità di queste persone non sono state scalfite dai massacri, dalle diffamazioni, dalla riduzione alla fame, dalle denunce.
Il prezzo da pagare è stato inestimabile e necessario il ricorso alla presenza di accompagnatori nazionali ed internazionali, che hanno garantito protezione fisica e risonanza mediatica.

Giungo nella CdP, per la prima volta, nel 2022: sono passati 25 anni dalla sua fondazione, un traguardo che, a detta dei più anziani, sembrava un miraggio.
Ed io, oggi, posso testimoniare che questa comunità, grazie allo spirito collettivo e all’etica condivisa, ha molto più da insegnarmi sulla convivenza che la società da cui provengo, perché l’individualismo e il bisogno di (di)mostrarci migliori gli uni degli altri ci hanno schiacciato sotto il peso di una perfezione apparente e irraggiungibile.
A chi mi chiedeva perché volessi partire, rispondevo che avevo bisogno di un’ispirazione, un modello che mi restituisse un po’ di fiducia nell’Essere Umano.
E ora so di averlo trovato.