Il tempo del realismo magico

È un giovedì di lavoro comunitario, ossia il giorno prescelto dalla Comunità di Pace di San José de Apartadó per impegnarsi, collettivamente, in attività produttive e di manutenzione in aree territoriali condivise. Dopo varie occasioni mancate, finalmente posso accompagnare i lavoratori in una località che, per una ragione o per l’altra, finora non ho mai raggiunto: mi fa molto piacere perché so che, proprio lì, vive un simpatico anziano, che ho incontrato più volte in Comunità e che, pochi giorni prima, era stato vittima di un piccolo incidente a cavallo (e alla veneranda età di circa 80 anni, continuare a cavalcare è già di per sé un invidiabile traguardo).
Giunti in loco, raggiungiamo l’abitazione dell’uomo ma, dopo qualche chiacchiera e un caffè, scoppia uno di quegli acquazzoni che solo i Tropici sanno regalare, per cui si rientra a dorso di mula e io, priva delle capacità del mio amico cavaliere, sono grata all’animale che, passo dopo passo, mi riconduce a San Josecito.
Il buon umore, però, ha ben poca durata.

Paro armado”.

Sulla bocca di tutti: “paro armado”.
Mi chiedo cosa sia uno “sciopero armato”, in un contesto di conflitto, e non ho motivi per dubitare che la situazione sia grave, molto grave. In poco tempo si ricostruiscono gli ultimi fatti, di cui io, senza linea telefonica, tv o radio, non ero a conoscenza. Ebbene: la sera precedente si è concretizzata l’estradizione negli Stati Uniti di
Dairo Antonio Úsuga, alias Otoniel, ossia il massimo capo del “Clan del Golfo”, gruppo neo-paramilitare che si autonomina “Autodefensas Gaitanistas de Colombia” (AGC), arrestato nell’ottobre dell’anno passato. Ciò che colpisce è la rapidità di questo trasferimento, portato a termine – peraltro – contro il parere del Consiglio di Stato, che ne aveva chiesto la sospensione fino a che “non sarà risolta una causa di tutela interposta dalle presunte vittime contro il processo amministrativo, che intende trasferirlo negli Stati Uniti.
Con sgomento, apprendo che l’organizzazione neo-paramilitare ha indetto uno “sciopero armato”, (praticamente un coprifuoco totale) e dunque la cessazione forzata di tutte le attività sociali, economiche, educative e culturali, come conseguenza della scelta del governo colombiano di estradare alias Otoniel; estradizione che, stando a quanto si legge dal volantino diffuso attraverso le reti sociali dalle AGC, “[…]
calpesta il diritto delle vittime e della società in generale a conoscere la verità del conflitto, verità che lesiona seriamente gli interessi di questa classe politica […]”.

Ebbene, nel giro di pochissime ore, le AGC hanno oggettivamente paralizzato varie regioni del Paese, sicure dell’effetto detentore scatenato dal terrore infuso nei cittadini, che hanno ubbidito agli ordini impartiti, nella convinzione che lo Stato non li avrebbe protetti. E si sono consumati sia omicidi selettivi che rappresaglie nei confronti di chi non si è uniformato, ma anche ulteriori azioni violente, come l’incendio di negozi e veicoli.
Peraltro, in varie località del Paese è cessato il rifornimento di gas, impedendo di fatto il diritto all’alimentazione e aggiungendo così ulteriore disagio a una situazione già critica.

In questo lasso di tempo, breve e infinito, ho avuto la possibilità di constatare, per l’ennesima volta, la capacità della Comunità di Pace di resistere agli ordini provenienti da attori esterni, per quanto minacciosi e potenti, in quanto le attività programmate non hanno subito alcun tipo di variazione.
Ciò non significa affatto ignorare il contesto storico che permea la quotidianità, bensì poter rivendicare, con maggior forza che mai, la fermezza della propria posizione di distacco totale da attori armati, legali e non, in quanto del tutto privi di un interesse reale nella protezione dei civili.E’ stato un tempo dilatato dai racconti di chi ha già esperito tanti altri “paros”, ma la preoccupazione è sempre lì, in un tempo presente cristallizzato, un tempo intimo, di timore e sospensione, ma anche collettivo, di condivisione e vicinanza. Un tempo “estemporaneo”, di dinamiche sempre nuove eppure sempre uguali, poiché sottese alle logiche di un potere che muta per mantenersi, ma calpesta sempre e comunque chi incontra/scontra.

Ma c’è un’immagine che mi porterò sempre ben stretta, nella sua dimensione di carnale surrealtà: nel bel mezzo di un momento storico di altissima tensione, poche settimane prima delle elezioni presidenziali, con il rischio di attacchi armati, un gruppetto di contadini analizzano con lucidità di Capi di Stato una situazione dalle mille complessità, e ridono. Ridono. E non ridono perché sono sciocchi, ridono perché la leggerezza (non la superficialità) salva la vita e tanto, anche piangessero, la sonata non cambierebbe.
Mentre li osservo, e cerco qualcosa di intelligente da aggiungere, uno di loro mi sorride, dicendo: “Eso es el realismo magico, esa es Colombia”.
E un po’, allora, viene da ridere anche a me.

N.