Grazie perché ci accompagnate

Pareti di fango in salita e in discesa, sulla mula o a piedi, per ore e ore, senza sapere quale sarà il prossimo ostacolo, con il rischio di scivolare o di cadere, senza sapere se chi si incontra sul cammino è un volto amico o nemico, se sorridere o glissare.
Meglio glissare sempre, nel dubbio.
Livello di concentrazione sul cammino molto alto.
Occhio attento a non perdere i compagni di viaggio e soprattutto chi accompagniamo che è altrettanto attento a non perdere di vista noi, non solo perché la nostra presenza aumenta il loro livello di sicurezza ma anche per premura nei nostri confronti.
Noi che non siamo avvezzi a questo genere di percorsi, a questo genere di clima e che ignoriamo i rischi nascosti dalla selva.
Nonostante il pensiero ulteriore che rappresentiamo per le persone della Comunità di Pace, abituate a “volare” sul fango e a correre su questi ardui e infiniti cammini, continuiamo a essere un notevole valore aggiunto per loro.
Non mancano di ripetercelo a ogni sosta “grazie che ci accompagnate, grazie che ci accompagnate”.
E a me continuano a sembrare eroi, non per mitizzare, ma per essere onesti e per rendere reale una parola che ormai, in questo mondo, ci sembra possa essere riempita soltanto di significati virtuali ed effetti speciali.

Invece loro sono piccoli ma forti, fisicamente e moralmente, sono tenaci come la cabuya (un filo che non si può spezzare), sono strategici nel perseguire il bene, sono perseveranti, non si arrendono, e lavorano, giorno dopo giorno, come formiche instancabili per seminare e raccogliere cibo e vita in luoghi sterminati.
Ci tengono, infatti, a mostrarci i loro terreni, distanti gli uni dagli altri, ma vasti e ampi come il resto del territorio mozzafiato che li circonda.
Ne sono orgogliosi perché sanno che stanno lottando per proteggerli e tutelarli dagli interessi più miopi e sconsiderati.
A ogni passo però la sensazione di essere seguiti, visti o controllati dai gruppi armati illegali, non li abbandona mai.§
Il pensiero di essere in una zona contesa e di essere sempre in qualche modo circondati, in qualsiasi veredas o villaggio ci si trovi, è costante.
Chi li saluta oggi lungo il cammino, può pugnalarli alle spalle domani.
E quando li ascolto parlare e apprendo della complessità del contesto circostante, mi chiedo “perché non prendono una scorciatoia ogni tanto, come altri fanno qui?” e la risposta mi viene immediata, la leggo sui loro volti: loro hanno scelto di essere giusti, non furbi.
Provare a essere giusti in questa parte dell’emisfero, facendo parte di una grande Comunità di persone a cui relazionarsi e rendere conto, significa portare sulle spalle una marea di ricchezza, varietà e bellezza umana, ma anche di responsabilità, pensieri, preoccupazioni e fatiche. 
Per questo, mi meravigliano le attenzioni che ci riservano sempre, ma più vado avanti più mi rendo conto che questa è la normalità: la straordinarietà di un’esperienza comunitaria come quella della Comunidad de Paz qui, diventa ordinarietà nella sua eccezionalità.
E ci sentiamo tutti uniti, come i personaggi della Compagnia dell’Anello, disposti a compiere un viaggio nell’ignoto al fine di custodire le vite di coloro che hanno capito come il segreto dell’esistenza non consista nella brama di potere che corrompe l’animo umano, bensì nel rispetto del Creato in tutte le sue forme.

G.