Vivere secondo verità, coerenza, dignità e perseveranza

Una lunga fila indiana di persone, muli, cavalli e cani cammina unita per raggiungere un villaggio nascosto in cima alla selva colombiana: sono i membri della Comunità di Pace che all'unisono e alla spicciolata si spostano per ritrovarsi tutti in un unico luogo designato per l'Assemblea Generale.
Siamo in tanti noi internazionali che accompagniamo questa carovana umana, sempre attenti a stare al passo del suo leader.
La strada mi sembra meno faticosa e lunga di altre volte e questa sensazione è sicuramente legata al fatto di essere in molti e di condividere le difficoltà; perché in Comunità di Pace todo se comparte, dalle azioni nonviolente al cibo e alle amache.
Quando arriviamo a destinazione, alla fine di una fangosa salita, un orizzonte inimmaginabile si staglia di fronte ai nostri occhi: è il Golfo dell'Urabà che si apre in fondo alle montagne sovrastate da foreste e sotto a un cielo plumbeo, ma contemporaneamente avvolto dal chiarore del tramonto.

Questo momento collettivo tanto atteso, che richiama appartenenti alla Comunità di Pace dalle aree più disparate, ha inizio il giorno dopo il nostro arrivo.
In questi giorni di riunione, noi accompagnanti presidiamo e monitoriamo la zona e, al contempo, giochiamo coi bambini, aiutiamo a preparare i pasti comunitari e chiacchieriamo con chi incontriamo.
Nonostante l'impegno e la concentrazione che questo momento richiede, alcuni membri della Comunità sono ulteriormente impegnati nella produzione del miel de caña nel "tempo libero". L'unico tempo libero rimasto per quest'attività risulta essere la sera, fino a tardi, e noi siamo lì con loro, vigili, per tutte le ore che servono.
Si danno il cambio nel portare a termine tutti i procedimenti necessari alla creazione di questo dolce nettare, che verrà direttamente impiegato per il consumo interno della Comunità.
Nell'alternarsi, qualcuno si appoggia alla canna da zucchero assopendosi, qualcun altro invece chiacchiera, raccontando aneddoti divertenti di vita condivisa.
L'atmosfera è allegra e mi ricorda quella vissuta con i gruppi di volontari della Colomba in altre parti del mondo. La luce della luna illumina il paesaggio, creando un effetto diurno inaspettato.


Soltanto quando loro hanno terminato il lavoro, ci congediamo.
L'indomani, l'incontro riprende e al suo termine veniamo chiamati insieme agli altri accompagnanti.
La Comunità tutta ci ringrazia per il nostro lavoro, per il nostro essere presenza costante al loro fianco, anche nel pantano, e ci dà l'opportunità di parlare.
Il nostro gruppo, rappresentato dalle parole di Monica, ringrazia a sua volta e sottolinea come il nostro sogno sia quello che un giorno la nostra presenza non sia più necessaria perché vorrà dire che la Comunità di Pace vivrà finalmente e veramente in Pace.
L'elezione di Petro come nuovo Presidente del Paese fa sperare in questa direzione, ma le questioni e le ferite aperte sono infinite, quindi bisogna aspettare per vedere cosa si concretizzerà.
I ringraziamenti della Comunità mi ricordano tanto quelli che mi rivolge una delle fondatrici di San Josecito, prima della mia partenza per l’Italia: "Grazie per aver camminato con noi nel barro (fango) della nostra terra.
Spesso l'uomo per ottenere potere, o avere la sensazione di esso, intraprende i sentieri di vita più sbagliati, quando alla fine ciò che davvero più ci appaga nel profondo è vivere secondo verità, coerenza, dignità e perseveranza".
Queste parole, che condivido con i membri della Comunità di Pace attraverso il mio percorso con Operazione Colomba, continueranno a risuonarmi dentro.
E ritornano fuori a Bogotà quando, alla mostra fotografica del celebre Jesús Abad Colorado, dedicata alle vittime del conflitto colombiano, vedo immortalati i volti della Comunità di Pace insieme a quelli di noi volontari della Colomba: anche noi, stando a fianco di questi "giganti dell'anima", rappresentiamo un piccolo grande pezzo di storia di questo martoriato e ricchissimo Paese.

G.