Intervista completa di OC al sacerdote gesuita Javier Giraldo

Sulla 48a sessione del TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI (TPP)
“Genocidio politico, impunità e crimini contro la pace in Colombia”
1° aprile 2021

Il sacerdote gesuita colombiano Javier Giraldo è un difensore dei Diritti Umani e ricercatore sociale. Laureato in Filosofia e Teologia con studi specialistici all’Università di Parigi, è, sin dalla sua fondazione, anche accompagnante politico e spirituale della Comunità di Pace di San José de Apartadó. Nel 1988 ha creato la prima “banca dati” che raccoglie tutte le violazioni dei DU, conosciuto oggi come CINEP (Centro de Investigacion y Educacion Popular).
È grazie ad un incontro con lui avvenuto in Italia, che OC arriverà poi a conoscere e accompagnare la Comunità di Pace in Colombia.
Attualmente è uno dei vicepresidenti del TPP per l’America Latina.

OC: Cos’è il TPP?

JG: il TPP è stata una idea nata negli anni ’60 quando si stava combattendo la guerra del Vietnam. Pochi anni prima, c’era stata la seconda guerra mondiale durante la quale la umanità conobbe il genocidio nazista. Finita la seconda guerra mondiale, gli alleati, che rappresentavano le grandi potenze del momento a parte la Germania, riuscirono a creare un Tribunale Militare Internazionale per condannare i criminali nazisti (Tribunale di Norimberga), che prevedeva, anche, la pena di morte. Le potenze, che parteciparono in questo tribunale, alcuni anni dopo parteciparono alla guerra del Vietnam con l’obiettivo di distruggere in modo barbaro l’esperienza comunista del Paese asiatico. Utilizzarono tutte le armi proibite universalmente, bombardarono e distrussero popoli interi, villaggi interi e nessuno protestò. Tutto il mondo, attraverso il silenzio, approvò tanta violenza e crudeltà.
Alcune persone, forti di principi etici, non sopportavano questo silenzio: tra queste persone, il filosofo inglese Bertrand Russell. Russell scrisse vari articoli di protesta, molti dei quali però furono censurati dai quotidiani degli Stati Uniti. Russell, vedendo che nessun Paese, nessuno Stato, protestava, pensò di convocare un tribunale di opinione: era la prima volta nella storia che si convocava un tribunale di opinione. Invitò persone molto riconosciute in quel momento nel mondo come filosofi, scrittori, premi Nobel, leader sociali, politici, religiosi e convocò una giuria internazionale. Sceglie la Francia come luogo dove incontrarsi per la prima volta, per essere il Paese dove si fece la prima dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino durante la Rivoluzione francese. Quando però arrivarono i primi delegati internazionali, la Francia negò loro l’ingresso al Paese. Il governo francese, presieduto dal generale De Gaulle, affrontò pubblicamente Jean-Paul Sartre, designato presidente di questo tribunale. De Gaulle esplicitò che la Francia avrebbe continuato ad essere la terra dei Diritti Umani però non poteva accettare che un Paese amico dello Stato francese fosse giudicato nel suo territorio per un tribunale che non aveva nessun mandato ufficiale, nessuna autorità e che, al contrario, era nominato dal popolo, dall’umanità, dalla società civile.
Il tribunale si riunì quindi in un paesino della Danimarca e poi in Svezia, a Stoccolma. Lì, emise una sentenza, famosa in tutto il mondo. Questo tribunale è oggi conosciuto come il Tribunale Russell. Era la prima volta che un tribunale di opinione metteva sotto processo le maggiori potenze del momento, come gli Stati Uniti.
Dopo questo tribunale, il senatore italiano Lelio Basso, relatore nel Tribunale Russell, fece un viaggio in America Latina, constatando che, nel continente, molti Paesi erano sotto dittatura militare, la dittatura di seguridad nacional.
In particolare, alcuni brasiliani gli chiesero la possibilità di convocare un secondo Tribunale Russell per portare a processo le dittature del continente latinoamericano. Russell, morì proprio in quegli anni.
Lelio Basso, quindi, consultò una fondazione per la pace fatta nascere da Russell, trovando pieno appoggio nell’idea di convocare un secondo Tribunale Russell che potesse processare le dittature dell’America Latina. Questo secondo tribunale si sviluppò in tre sessioni: una a Roma, una a Bruxelles e l’ultima nuovamente a Roma, dove venne emessa la sentenza. Terminata questa terza sessione, nell’anno 1974, Lelio Basso propose di creare una fondazione internazionale per difendere i Diritti dei Popoli e una Lega Militante Internazionale con l’obiettivo di riunire tutte le organizzazioni mondiali che erano contro l’oppressione: le lega venne nominata “Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli”.
Pochi mesi dopo, Lelio Basso convocò, ad Algeri, una conferenza internazionale invitando molti esperti di diritto internazionale e leader di movimenti di liberazione nazionale per proclamare la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli. Questa dichiarazione, conosciuta come la Dichiarazione di Algeri (o Carta di Algeri, 1976), ha tracciato il cammino del futuro TPP.
La idea di Lelio Basso era quella di far nascere un’organizzazione tripartitica: la Fondazione, la Lega e completarla con un tribunale permanente che potesse prolungare l’esperienza del Tribunale Russell. Quando lo statuto per questo tribunale era già quasi pronto, Lelio Basso, nel dicembre del 1978, morì. I suoi amici, che avevano partecipato alla Dichiarazione di Algeri o che condividevano con lui la vita politica - dato che Lelio Basso è stato, anche, un senatore progressista della Repubblica Italiana che elaborò uno degli articoli con maggior contenuto sociale della Costituzione italiana - crearono il TPP che iniziò ad operare a Bologna nel 1979.
Da lì in poi, il piano di lavoro del TPP trovava le sue basi sulla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli.  Il TPP iniziò ad affrontare le situazioni di maggior oppressione nel mondo: dittature militari e i problemi dei movimenti di liberazione che non erano ancora Stati perché sotto schiavitù od oppressione di altri Stati come, per esempio, il popolo Saharawi (sahariano), il popolo curdo, il popolo palestinese.
Si sono, quindi, susseguite varie sessioni del TPP, alcune polemiche, altre molto interessanti e profonde come, per esempio, quella dell’anno 1992 quando si commemorarono i 500 anni di ciò che è stato chiamato ‘la scoperta dell’America’ ma che in realtà fu l’invasione europea dell’America. Per l’occasione, si convocò il TPP che giudicasse il Diritto Internazionale. È stata una delle sessioni più profonde, con una sentenza finale molto molto interessante. Ci sono poi state sessioni del TPP in America Latina sulle dittature come quella in Argentina, in Salvador, in Guatemala. Sessioni del TPP in ex Jugoslavia, in Afghanistan. Sessioni del TPP sui problemi mondiali come la difesa dell’ambiente o quanto successo a Chernobyl.
Per concludere, il TPP iniziò a processare situazioni in cui gli Stati, i Tribunali nazionali e internazionali non mettevano sotto processo. Il TPP acquisì una autorità etica universale. Il 50% dei giudici erano esperti di Diritto Internazionale, giuristi molto famosi e ciò permise di dare alle sentenze una grande forza morale e giuridica.
Mi ricordo la prima sessione qui in Colombia, fu una sessione congiunta con altri 11 Paesi dell’America Latina sulla impunità dei crimini di lesa umanità. La sentenza fu così esaustiva e così profonda che fu tenuta in conto immediatamente dall’ONU e che portò le stesse Nazioni Unite a nominare un relatore speciale sull’impunità dei crimini di lesa umanità. L’ONU nominò, come primo relatore, proprio un membro del TPP, Luis Janet, che fece un profondo lavoro di elaborazione di un testo di principi contro l’impunità all’interno delle Nazioni Unite, adottato poi dall’Assemblea Generale.
Il TPP, quindi, trova validità in sé stesso. Sono sentenze che trovano legittimità nel loro potere morale e in nessun gruppo statale o di organismi internazionali avvallati dagli Stati.

OC: Qual è il suo ruolo all’interno del Tribunale?

JG: nel 1980 entrai in contatto con la Fondazione Lelio Basso a Roma. All’epoca, c’era Linda Bimbi come segreteria. Ebbi un lungo dialogo con lei. Io stavo studiando in Francia ma ero quasi pronto per ritornare in Colombia. La situazione in Colombia era così grave che in molti credevamo che il governo dell’epoca terminasse per proclamare una dittatura militare. Nel frattempo, avevo iniziato a prendere contatto con alcune organizzazioni di Diritti Umani in Europa perché fossero pronte ad agire nel caso la situazione in Colombia fosse precipitata. Nel dialogo con Linda Bimbi, però, ci fu una sorpresa: lei, invece che offrirmi un appoggio nel caso la situazione in Colombia fosse divenuta ancor più grave, decise di chiedermi di creare una sessione della Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, in Colombia. Linda Bimbi mi riempì quindi di documenti che misi nella valigia prima di fare rientro al mio Paese. Una volta ritornato, iniziai a parlare con alcuni amici di questo progetto, in particolare con coloro che erano esperti di Diritto, giuristi. Incontrai in loro, sin da subito, un entusiasmo enorme. Dopo pochi mesi, riuscimmo a creare la Lega e a presentarla a Bogotà. All’evento di presentazione vi  partecipò anche Piero Basso, figlio di Lelio Basso, che viaggiò dall’Italia per poter essere presente. La Lega faceva attività di solidarietà con Paesi del Centro America, del Sud America, dell’Africa, con il popolo palestinese. È stata un’epoca davvero interessante.
I membri del TPP, verso il 2000, mi chiesero di accettare la seconda vicepresidenza del TPP perché volevano che ci fosse una vicepresidenza per continente. In quel momento io ero in grande difficoltà perché sotto minaccia di morte. Ero stigmatizzato davanti l’opinione pubblica come guerrigliero. Riportai la mia situazione ai membri del TPP e, nonostante ciò, ratificarono la mia elezione come vicepresidente specificando che, a maggior ragione, era importante per me accettare questo incarico viste tali circostanze.
Nell’anno 2015 sono stato nominato anche come parte della giuria di una sessione del TPP in Germania, a Brema, sul genocidio dei Tamil in Sri Lanka. La situazione di questo popolo è terrificante. Con i Tamil esiliati in Germania, ho continuato a rimanere in contatto tanto che circa una settimana fa mi chiesero di partecipare ad un incontro virtuale sulla situazione attuale dello Sri Lanka.

OC: Com’è nata questa 48a sessione del TPP, la terza in Colombia?

JG: in Colombia si sono tenute tre sessioni del TPP. La prima tra il 1989 e il 1991, insieme ad altri 11 Paesi dell’America Latina, nella quale assunsi il ruolo di segretario ad hoc, ruolo che mi permise di visitare tutti questi Paesi che stavano uscendo da terribili dittature militari. Il TPP fu l’occasione affinché tutte le atrocità commesse durante le dittature militari venissero alla luce. Furono sessioni molto dolorose. Una persona aveva bisogno di nervi davvero saldi per riuscire ad ascoltare tutto quello che venne a galla durante le udienze in Argentina, Paraguay, Uruguay, Brasile, Perù, Panamà, Guatemala. L’udienza finale fu a Bogotà. Avevamo in realtà pianificato di farla in Cile, Paese in cui stava per finire la dittatura di Pinochet e si stava inaugurando un governo costituzionale nel quale si era creata una Commissione della Verità e della Riconciliazione. Dopo un lungo confronto con il ministro plenipotenziario appartenente ad un movimento cristiano, il presidente della Commissione ci supplicò di non fare l’udienza finale a Santiago del Cile perché avrebbe potuto interferire negli sviluppi dei lavori della stessa. A Bogotà, quindi,  giunsero le delegazioni degli 11 Paesi in cui erano avvenute le udienze nazionali per la sentenza del TPP finale sull’impunità dei crimini di lesa umanità.
Nel 2005-2006 si chiese al TPP di convocare una seconda sessione in Colombia: era il momento in cui le imprese multinazionali si stavano impossessando del Paese attraverso un saccheggio terribile delle risorse naturali, imprese che avevano inoltre una stretta relazione con i gruppi paramilitari. Tali imprese stavano incrementando terribili violazioni dei Diritti Umani. Il TPP, accettò. Le udienze, erano udienze specifiche su imprese multinazionali di alimenti come Coca-Cola e Nestlè, udienze sulle imprese estrattive di petrolio, carbone, udienze su imprese di servizi pubblici, altre su imprese a maggior impatto ambientale e altre udienze riguardanti il genocidio indigeno. Il TPP convocò la maggior parte delle etnie indigene del Paese alla Sierra Nevada de Santa Marta. La sentenza finale fu un’altra sentenza dalle notevoli ripercussioni per i movimenti sociali e per i Paesi. Il governo colombiano, però, ignorò completamente la sentenza.
L’origine di questa terza sessione, la n. 48 del TPP, risale allo scorso anno quando iniziarono ad uscire le prime analisi sul processo di pace tra la guerriglia delle FARC e il governo colombiano. La maggior parte dei movimenti sociali di base iniziarono a vedere che stava andando tutto in frantumi, che non si stavano compiendo i punti dell’Accordo, che la violenza, invece di diminuire, era stata riutilizzata e addirittura aumentata e che il processo di pace era un inganno.
La novità, di questo movimento, costituito per la maggior parte da gruppi di organizzazioni sociali di base, da movimenti sociali, è stata quella di iniziare a chiedersi: è da 40 anni che stiamo parlando di processi di pace e tutti sono andati in frantumi. Si firmano questi accordi e l’effetto più visibile è l’assassinio delle persone che firmano tale Accordo. Cosa sta, quindi, succedendo in Colombia?
Questo movimento ha iniziato a guardarsi indietro e a chiedersi: “da dove veniamo?”. La repressione in Colombia, l’oppressione, la forma di violazione dei Diritti Umani da dove viene? Viene da molto lontano? Iniziarono a rendersi conto che, i massacri perpetrati un secolo fa, avevano come base gli stessi procedimenti, gli stessi metodi e gli stessi pretesti di oggi. Iniziarono, quindi, a pensare che ci fosse un qualcosa che non corrisponde semplicemente alla sola circostanza dell’atto crudele. C’è, piuttosto, un qualcosa di incuneato nello stesso modello di Stato. Iniziarono, quindi, ad analizzare la “categoria” del genocidio. Abbiamo ottenuto l’aiuto di Daniel Feierstein, grande esperto argentino sul tema del genocidio, che ha pubblicato moltissimi studi a riguardo.
Molti gruppi di avvocati qui in Colombia e attivisti sociali iniziarono a leggere i suoi libri e giunsero alla conclusione che in Colombia esiste un genocidio permanente, espansivo e strutturale che si identifica con il modello di Stato. È, quindi, lo Stato colombiano, uno Stato genocida.
Iniziarono quindi a fare il resoconto di tutto ciò che ogni movimento sociale, ogni settore sociale, ogni etnia indigena, ogni organizzazione popolare aveva vissuto. Ed è stato dopo tutto questo resoconto, che è stata fatta, lo scorso anno, la petizione al TPP firmata da quasi 400 entità: 130 organizzazioni e molte personalità o gruppi di Diritti Umani.  Il TPP, vedendo la realtà del Paese grazie anche ad altre informazioni che stava ricevendo, un Paese che stava soffrendo un fenomeno scandaloso e senza freno di sterminio di leader sociali permanente, accettò la petizione. Si è costituito, quindi, un gruppo di coordinamento che ha lavorato intensamente durante vari mesi per la preparazione della sessione n.48 del TPP.
Il 26 gennaio 2021 c’è stata la sessione di apertura nella quale si sono convocate le udienze per il 25, 26 e 27 marzo 2021. Sono state udienze impressionanti nelle quali i circa 60 interventi hanno mostrato un panorama terrificante.


OC: questa sessione verte sul "Genocidio Politico in Colombia": ci può spiegare meglio cosa si intende per genocidio politico e perché in Colombia?

JG: la riflessione che in questo periodo abbiamo portato avanti sul genocidio, e in particolare sul genocidio politico, ci ha mostrato quello che stiamo realmente vivendo in Colombia. Nell’anno 1948, l’ONU emanò una convenzione internazionale contro il genocidio. Tale convenzione cita le vittime di genocidio di gruppi razziali, etnici, religiosi o nazionali ma non menziona le vittime di genocidio di gruppi politici. Questo tema fu oggetto di polemica tra molti giuristi e tribunali nazionali e internazionali. Nel 1946, l’ONU, prima della convenzione, aveva emesso una dichiarazione sul genocidio che invece menzionava i gruppi politici come possibili vittime di genocidio. Questa dichiarazione entrava a far parte del Diritto Internazionale Consuetudinario. La diatriba, quindi, se un gruppo politico si poteva o meno considerare vittima di genocidio, è andata verso la risoluzione di un concetto più ampio di genocidio, sorretto dagli scritti dell’autore di Raphael Lemkin, l’inventore della parola genocidio, un giurista polacco, che introdusse, all’interno delle Nazioni Unite il termine “genocidio”. Raphael Lemkin scrisse molto sul genocidio, impressionato in particolare dal genocidio armeno.
La dottrina che lui sviluppa sul genocidio mostra che il genocidio non è solamente una mattanza di un determinato gruppo. Il genocidio cerca, oltre all’eliminazione fisica, di imporre ai sopravvissuti il modello di società degli oppressori.
Daniel Feierstein, per esempio, ha fatto uno studio molto interessante su cosa è stata la dittatura militare argentina. Una dittatura che aveva l’obiettivo di rifondare la società argentina senza la “sinistra”, che significava riconfigurare completamente la base di una convivenza sociale.
Tutto questo è stato di grandissimo aiuto per capire cos’è successo in Colombia, non solamente in questo ultimo secolo, ma dall’ indipendenza dalla corona spagnola.
Il concetto di genocidio, quindi, si traduce  nello sterminio fisico di un gruppo che abbia una identità collettiva e l’imposizione, al resto della società, dell’ideologia e del modello dell’oppressore.
Feierstein analizza per esempio anche il genocidio nazista: Hitler non voleva solamente eliminare gli ebrei. Hitler voleva anche riconfigurare l’identità dell’Europa intera. Una Europa senza ebrei e senza tutti gli altri gruppi da lui perseguitati.

OC: Come si è sviluppata la sessione?

JG: sin dall’inizio, il comitato di coordinamento del TPP iniziò ad invitare i sindacati, le organizzazioni indigene, afrocolombiane, le organizzazioni politiche, le organizzazioni degli studenti, le organizzazioni della popolazione civile, per iniziare il resoconto di ciò che avevano sofferto. Molti dei gruppi facenti parte di questa enumerazione non esistono più, come per esempio il gruppo politico della Union Patriotica, il Partito Comunista che sopravvive ora con pochissimi gruppi perché la maggior parte dei militanti sono stati uccisi, il movimento A luchar,  il Fronte Popular, il Frente Amplio. Molti di questi movimenti o partiti oggi non esistono più, però esiste la loro storia, la storia delle proprie vittime, i ricordi delle torture, delle persecuzioni. Tutti questi gruppi hanno, oggi, dei sopravvissuti che conservano quanto accaduto in passato e a tutte queste persone è stato richiesto di raccontare quanto successo e di scrivere la storia della propria eliminazione.
Abbiamo raccolto studi molto, molto approfonditi, molto completi fatti non solamente di resoconti cronologici ma anche di profonde analisi del perché di questa eliminazione. Ci sono state, per esempio, etnie indigene vittime di leggi dello Stato che ordinavano la loro uccisione per aprire lo spazio all’ingresso delle compagnie petrolifere. Queste leggi sono state in vigore per più di 50 anni.
Un grandissimo e profondo lavoro di preparazione.
Anche la Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò è intervenuta come “modello” di genocidio: nella testimonianza, si sono elencate le sette strategie attraverso le quali lo Stato colombiano ha cercato di eliminare la Comunidad de Paz. Questa esposizione ha fatto molta impressione tanto che alcuni gruppi, che avevano previamente letto il testo, hanno preso quelle righe come traccia per capire le strategie di sterminio che avevano, a loro volta, sofferto.

OC: Abbiamo letto i nomi di stimati giurati. Ci può condividere alcune sensazioni vissute da lei e/o dai giurati sulle tantissime testimonianze di denuncia che avete ascoltato?

JG: La giuria di questa sessione del TPP è stata una giuria di grandi nomi. Luigi Ferrajoli, un’autorità mondiale di Diritto Garantista, autore di molti libri, tradotti in molte lingue e membro del TPP da molti anni. Luciana Castellina, già parlamentare europea e parlamentare italiana. Philippe Texier, membro della Corte Suprema francese e delegato del governo francese all’ONU per coordinare un gruppo di lavoro sui diritti economici e sociali all’interno dell’organizzazione. Michel Forst, attualmente relatore delle Nazioni Unite sui Diritti dei Difensori e Difensore dei DU. Esperanza Martinez, una leader dell’Ecuador con un lungo percorso in difesa dei DU, che si è occupata molto dei problemi alla frontiera tra Ecuador e Colombia. Andres Barrera, messicano, professore di Diritto Internazionale all’Università Autonoma del Messico, che ha diretto il TPP che si svolse in Messico sui diritti economici e sociali. Daniel Feierstein, il grande esperto di genocidio, che dirige il centro di studio sul genocidio a Buenos Aires. Graciela Daleo, argentina, vittima della dittatura militare, torturata in maniera terribile e che piano piano è riuscita a recuperare la forza fisica e spirituale per iniziare a lavorare con i gruppi di Diritti Umani argentini, con la Madre de Plaza de Mayo, con movimenti internazionali in difesa dei Diritti Umani. Lottie Cunningham Wren, indigena del Nicaragua, che ha una esperienza lunghissima come leader in difesa dei DU nel Paese. Monsignor Raúl Vera di Saltillo, Messico, successore del vescovo di San Cristobal, Chiapas. Antoni Pigrau Solé, spagnolo, professore di Diritto Internazionale a Barcellona, un leader molto importante nelle ultime sessioni del TPP. Mireille Fanon Mendès-France, figlia dell’autore del bestseller mondiale “I dannati della terra”. Lei dirige la fondazione Frantz-Fanon.
Una giuria, quindi, formata da persone di altissima rilevanza e molto numerosa. Però non solamente la giuria. Anche tutti i testimoni che hanno preso parte a questa sessione del TPP sono persone di altissimo rilievo. C’era Aida Avella, leader della Union Patriotica, partito sterminato. Lei è stata per 17 anni in esilio. Scelse poi di fare rientro al suo Paese trovando che avevano soppresso la personalità giuridica del partito della Union Patriotica ma è riuscita a recuperarla. C’erano il presidente del Partito Comunista, i leader di movimenti già estinti come il Fronte Popular, A luchar, leader di gruppi che ancora esistono nonostante le migliaia di vittime come Marcha Patriotica, leader indigeni che hanno presentato studi davvero profondi su quanto hanno vissuto: la UNIC, il CRIC, la etnia Barì, gli  indigeni del Catatumbo vittime della legge di sterminio per favorire le petrolifere, i sindacati. Per riassumere, erano presenti i leader e gli analisti più importanti dei movimenti ormai estinti o in via di estinzione.
Il PCN (Proyecto Comunidades Negras), per esempio, hanno fatto una esposizione estremamente profonda ed esaustiva sul genocidio degli afro in Colombia, lo stesso gli indigeni.
In questo senso, credo che il TPP sia stato caratterizzato da udienze molto dolorose, perché le atrocità che attraverso le testimonianze si son viste, sono terribili. Dall’altro lato, sono state udienze molto stimolanti nel senso di una presa di coscienza molto grande, in particolare su ciò che è stato il genocidio in Colombia.

OC: Il governo colombiano non si è presentato al processo per condividere la sua verità nonostante anche la richiesta di invito firmata da una trentina di parlamentari. Cosa significa per lei questo rifiuto?

JG: c’è una normativa nello statuto del TPP che dà la possibilità di notificare alle entità accusate, siano esse Stati o imprese, per offrire loro uno spazio di difesa. È questa una normativa universale di giustizia. Il TPP ha sempre notificato ai governi accusati questo spazio di difesa e l’ha fatto anche in questa sessione, notificando al governo colombiano rappresentato dal Presidente della Repubblica, la Cancelliera e un ufficio creato alcuni anni fa in Colombia che si chiama Ufficio giuridico di Difesa dello Stato, ufficio incaricato di rispondere ad accuse davanti a tribunali internazionali.
Nonostante ciò, il governo non si è presentato e non ha risposto alla notifica. Pochi giorni prima dell’inizio delle udienze un gruppo di parlamentari aveva inviato una carta al governo sollecitandone la presenza. Ma il governo non rispose. L’unica risposta ricevuta è stata quella dell’Ufficio di Difesa dello Stato che in una nota comunicava che non avrebbe potuto partecipare perché il capo Ufficio non si trovava a Bogotà in quei giorni. Una risposta non accettabile dato che se lui non c’era, e sapendo che in quell’Ufficio c’è altra gente, avrebbe potuto delegare un’altra persona.
Il comitato di coordinamento del TPP, in accordo con la presidenza e la segreteria del TPP, cercò un avvocato esperto nel controllo della stampa, dell’opinione pubblica, dell’opinione del governo, della risposta del governo a organizzazioni internazionali, incaricato di elaborare una difesa d’ufficio. E così è stato. Un giurista, raccogliendo tutto il materiale, elaborò una difesa d’ufficio e la presentò nell’ultimo giorno di udienze. Ad alcuni la risposta risultò molto strana perché, dopo tutte le accuse ricevute, appariva che il governo si fosse prodigato contro il genocidio menzionando molti elementi della legge colombiana, di firma di trattati internazionali come la firma del governo contro il genocidio ed elencando, con tanto di date precise, la grande quantità di firme di trattati in difesa dei DU. Inoltre, il governo aveva spinto per l’implementazione di una serie di azioni volte a introdurre la tipizzazione del genocidio nel codice penale colombiano. La Colombia è uno dei pochissimi Paesi che, nel codice penale, ha, tra le tipologie, il genocidio politico. La Colombia appare quindi, paradossalmente, come un Paese esemplare nella lotta contro il genocidio. Quando però si analizza tutta questa presentazione, si vede come lo Stato così rappresentato, è uno Stato rappresentato solamente su un pezzo di carta dove tutto firma e niente applica: vuole mantenere una immagine internazionale secondo la quale lo Stato colombiano ha sottoscritto tutti i trattati sui Diritti Umani ma che nella realtà, li sta violando. In alcuni miei articoli che ho scritto tempo fa, definivo tutto ciò come “lo Stato schizzofrenico”: uno Stato, cioè, con due personalità e due modi di presentarsi e identificarsi. Una, come Stato di diritto dove mostra tutte queste firme di trattati e convenzioni e l’altra, nella pratica, dove tutti i suoi funzionari devono adattarsi alla violenza dello Stato, ai crimini dello Stato, evadendo tutte le proprie le responsabilità.

OC: La sentenza definitiva, che uscirà a maggio, aiuterà secondo lei a smuovere la coscienza etica della comunità internazionale sulla grave situazione di violazione dei DU in Colombia?

JG: è la prima volta che il TPP fa richiesta di un tempo così lungo per elaborare la sentenza. Solitamente, quasi tutte le sentenze del TPP sono state presentate nell’ultimo giorno del TPP. Questa volta invece, vedendo la mole di documenti inviati dalla Colombia a Roma e da lì distribuiti a tutti i giudici, si è sin da subito vista la necessità, da parte dei giudici, di richiedere un tempo più lungo. All’inizio chiesero 15 giorni, ma, iniziata la prima sessione, la mole di documenti divenne ancora più consistente obbligandoli a fare una richiesta di avere a disposizione 2 mesi per elaborare la sentenza. Credo che questa sentenza, per il tempo richiesto e per il volume di documenti così cospicuo, sarà una sentenza storica.
L’obiettivo della sentenza non è quello di incarcerare nessuno. L’obiettivo della sentenza è quello di contribuire alla coscienza dei cittadini, della popolazione, della società civile, aiutarli a leggere, alla luce del Diritto Internazionale, la propria esperienza vissuta. Sviluppare la coscienza collettiva e spiegare alla comunità internazionale, a tutti i Paesi, ai tribunali internazionali, alle organizzazioni internazionali la logica della violazione dei DU in Colombia.

 OC: "El pueblo se levanta por el pueblo" si legge nella locandina di promozione dell’evento: qual è il significato profondo di questa frase?

JG: si è aperto un bando per gruppi di artisti nazionali al fine di scegliere un simbolo per questo tribunale con una frase. Sono arrivate 15 proposte e, attraverso una votazione, si è scelto lo slogan “El pueblo se levanta por el pueblo” per essere la più interessante. È una frase che tocca l’essenza del TPP. Il TPP non è un organo autoritario, di un “potere” che viene a giudicare ma al contrario, tutti gli elementi per il giudizio finale arrivano dal popolo, lo stesso popolo che ha chiesto al TPP la sessione, lo stesso popolo che ha elaborato tutta la propria storia che ha presentato davanti al TPP. In questo senso è “il popolo che si alza per il popolo”. Su questo slogan si è riflettuto anche in riunioni con movimenti sociali, eventi pubblici in preparazione al TPP perché è il popolo che deve cercare una giustizia propria. In Colombia abbiamo la peggiore esperienza di ciò che è un apparato giuridico, un apparato terribilmente corrotto che ha prodotto una totale impunità. C’è una esperienza, come quella della Comunidad de Paz, di una rottura totale con la giustizia. Io stesso ho rotto con la giustizia, rottura che trova il suo fondamento in un documento di 40 pagine da me scritto e inviato a tutti i tribunali per dire che non avrei più collaborato con l’apparato giuridico.
L’esperienza del TPP mostra che è il popolo stesso che deve prendere coscienza e accudire i principi di giustizia a favore del popolo stesso per proteggerne i suoi gruppi, le sue comunità, le sue etnie, i suoi settori sociali vittimizzati, ecc...
Non è l’apparato di giustizia statale che salverà il popolo.

OC: Ci sono però realtà come quella del popolo Mapuche o quella del popolo palestinese nelle quali è difficile alzarsi, sollevarsi…

JG: io credo che il caso di Israele sia una vergogna per la Comunità Internazionale perché l’ONU ha dettato una quantità di risoluzioni che cercano di condannare l’attitudine di Israele il quale non solo non le prende in considerazioni, ma ci passa sopra. Negli ultimi giorni ho sentito, per la prima volta, che la CPI ha aperto un espediente contro Israele per tutte le violazioni contro il popolo palestinese. Speriamo possa prosperare, ma la Comunità Internazionale è guidata da poteri molto forti dove, per esempio, esiste il potere di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La stessa struttura dell’ONU sta chiedendo una riforma. Un nicaraguense, ministro al tempo del sandinismo, che ha lavorato nella Segreteria dell’ONU, scrisse una proposta di riforma che rimase però su un pezzo di carta.
Sicuramente, l’ONU si è creata, dicono, per evitare un’altra guerra mondiale ma ciò che ha fatto è stato quello di essere “segretaria” di molte guerre mondiali.
In Colombia l’appoggio al partito uribista è molto ampio. Molti milioni di colombiani appoggiano questa strategia di guerra, di violenza tipica dell’uribismo. La stessa cosa succede in Cile, dove l’appoggio a Pinochet non è finito. E così in altri Paesi, in Brasile, Stati Uniti. Questo è un problema che affrontiamo in tutto il mondo.
Però noi ci appoggiamo al popolo oppresso, ai settori oppressi della società, a coloro ai quali vengono negati i propri diritti ed è da lì che sorgono proposte globali di trasformazioni sociali. Tutta la logica della ribellione, un diritto oggi non riconosciuto, si basa sulla logica più elementare di ciò che è una democrazia e che ritroviamo nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo emanata dalle Nazioni Unite.
Quando ho dovuto partecipare ai dialoghi alla Avana, in una commissione chiamata “Commissione storica del conflitto e le sue vittime”, nel capitolo da me scritto nel documento finale, baso la mia tesi su uno studio fatto da un giurista inglese di Oxford sul diritto alla ribellione: uno studio chiarissimo e profondo che dimostra che uno Stato ha come obiettivo principale, come necessità obbligata, difendere i diritti di tutti coloro che fanno parte di tale Stato, senza privilegio alcuno. Se questo Stato inizia a dividersi e a difendere solamente i diritti di un gruppo e a negare i diritti dell’altro gruppo che solitamente è la maggioranza della popolazione, è in questo contesto che si applica il diritto alla ribellione per cambiare il modello.