Giugno 2013

APPROFONDIMENTO CONTESTO

In occasione della prima giornata dell'Università Campesina, organizzata dalla Comunità di Pace, si è tenuto un seminario sui temi riguardanti la legislazione colombiana, con riferimento soprattutto alla "Ley de Victimas" e “Restitucion de tierra” ed alle sue eventuali applicazioni concrete rispetto alle Comunità Indigene, Contadine ed Afrocolombiane. Il relatore, German Romero, è un avvocato membro della "dh Colombia - Red de Defensores No Institucionalizados" di Bogotà.

Il punto di partenza ha riguardato la differenza, non solo semantica, ma anche culturale e quindi sostanziale, tra il concetto di "terra" e quello di "territorio".
Si parla infatti di territorio riferendosi ai luoghi antropogeografici nei quali si incontrano le comunità umane che qui vivono le loro socialità, culture, economie, interagendo con l'ambiente circostante.

Il nudo concetto di “terra”  quindi non è sufficiente per esplicare tutte le variabili connesse alla vita territoriale e contadina ed alle conseguenze che implicano una spoliazione o requisizione di un territorio.
In questo modo, svuotando di ogni significato tradizionale e/o culturale il concetto di “terra”,  lo si riduce ad un mero supporto fisico per la produzione di beni agroalimentari, tralasciando le implicazioni socioculturali. E' un primo presupposto fondamentale per riuscire a giungere al punto chiave che si nasconde dietro la “Ley de Restitucion de Tierra”, cioè a quella legge dello Stato colombiano che prevede la restituzione della quantità di  terra perduta dalla famiglia sottoposta a “sfollamento”  o ad altre forme di violenza culminate con la perdita o l'allontanamento dal territorio d'appartenenza.
In effetti, ciò che inevitabilmente accade date le attuali condizioni del paese, è di avere restituita la terra, ma non le condizioni di base per poter lavorare e vivere degnamente.

Ed è qui che va inserita una fondamentale analisi rispetto allo sfondo in cui la legge si inserisce, ossia rispetto al contesto colombiano attuale.
La  Colombia, con  l'entrata  nel  TLC (Trattato di  Libero Commercio), ha  sposato una  idea  di “sviluppo”   economico, inteso in  termini  essenzialmente neo-liberali.  Il  che significa  libertà  di competere sul “mercato”  nazionale (ed internazionale) in  tutti  i  settori possibili  senza valutare approcci differenti rispetto, per esempio, al tipo di economia praticata o alle dimensioni aziendali e men che mai rispetto alle culture e tradizioni preesistenti.
In  termini  pratici,  si  inserisce in  un  contesto già provato da guerra e sottosviluppo, l'idea  di “competitività”, applicato a popolazioni che sono lontane anni luce culturalmente da questo concetto e dall'individualismo di fondo che sottende.
Così facendo il  contadino, con la sua abitudine alla policoltura/allevamento, legata all'auto- sostentamento ed al piccolo scambio commerciale comunitario/intercomunitario, deve convertirsi in “produttore”,  pena la perdita di  competitività,  in  un nuovo scenario che vede il  settore rurale completamente subordinato allo sviluppo urbano ed a ciò che lì si decide. E questo nonostante ancora oggi il  75%  degli  alimenti  consumati in  Colombia sia prodotto dalle  piccole  comunità contadine.
Per cui nello specifico le famiglie si vedono restituita la terra, ma non il “territorio”, nell'accezione di cui sopra. Ossia si ritrovano a lavorare “decontestualizzati”  rispetto ad un tessuto sociale che garantisce le conoscenze, gli aiuti ed il micromercato locale necessario ad uno sviluppo sostenibile ed in linea con le esigenze minime relative a cibo, salute, educazione, trasporti ed infrastrutture varie.
In più, non sono previsti aiuti  economici o sviluppi di istituti  microcreditizi,  lasciando appunto i contadini  alla mercé del mercato, quasi alchemico regolatore delle diseguaglianze. Questa situazione obbliga il  contadino ad entrare nell'idea dello sviluppo competitivo, che si traduce, in termini concreti, in un impoverimento che il più delle volte lo spinge a vendere la terra per pochi soldi ad un qualche grande proprietario o ad una multinazionale (questi sì “competitivi”), divenendo operaio agricolo per un misero salario oppure andando ad ingrossare la periferia di una qualche città con la prospettiva di cercare un generico e probabilmente malpagato lavoro.
Quindi il problema di fondo della “Ley de restitucion de Tierra” è che restituisce una terra, ma non un territorio, né tanto meno aiuta a creare le condizioni minime per poterne ricreare uno nuovo.
Il contadino, afrocolombiano o indigeno, anche se in maniera diversa, porta con sé un sistema di valori, una cultura, un tempo, uno spazio. Il produttore, invece, non ha legami di questo tipo e non ha bisogno di un territorio, ma solo di terra per produrre per il mercato, in una catena che lo vede asservito ad un sistema su cui non possiede alcun controllo.

Quindi, si può concludere che, date le condizioni oggettive della Colombia odierna, la “Ley de restitucion de Tierra”, aldilà delle difficoltà legali e burocratiche che pone, è una legge che non può non favorire altro che il mercato della terra, ma quasi esclusivamente nel senso di una sua sempre maggior concentrazione. Per un altro lato, invece, va ad aggravare  ulteriormente il  processo di sradicamento del contadino, con i  valori di  cui  è portatore, favorendo così il  diffondersi  di  un approccio meramente produttivistico alla terra, con tutto ciò che ne può conseguire in termini di inquinamento ed impoverimento biologico e sociale, contribuendo ulteriormente alla distruzione di un territorio già sotto attacco da decenni.

SITUAZIONE ATTUALE - CONDIVISIONE E LAVORO - VOLONTARI
Il mese di giugno i volontari sono stati impegnati sia sul fronte degli accompagnamenti che sulla presenza nella Comunità di Pace in occasione di diversi eventi legati alla “Università Campesina “ e all'anniversario della  morte di  Eduard Lanchero, membro e leader ideologico della  Comunità, avvenuta il 27 giugno del 2012.
Alla “Università Campesina” hanno partecipato alcuni rappresentanti di tribù indigene colombiane,

Gloria Cuartas (ex sindaco di  Apartadò e  sostenitrice della  Comunità), Padre Javier Giraldo, un'avvocatessa del Collettivo, German Romero della “Red de Defensores No Institucionalizados", un'antropologa e alcuni giovani studenti del sud del Paese.
Paolo, volontario di Operazione Colomba, ha dato il suo contributo in un laboratorio di cartografia previsto all'interno della “Università Campesina”.

Nella prima settimana del mese, un accompagnamento alla vereda la Esperanza ha messo di nuovo in evidenza la delicatezza della situazione in molte zone del Municipio  di San Josè, dove sono presenti gruppi  armati regolari e non, che si  stanno scontrando duramente, il  più  delle  volte incuranti  della presenza di  civili.  Durante la permanenza dei volontari nella sopracitata vereda, infatti,  una truppa dell'esercito, probabilmente coinvolta alcuni giorni prima in un combattimento con la guerriglia in un'altra proprietà privata e in presenza di donne e bambini (dove sono stati gravemente feriti tre soldati), si è accampata in un terreno adiacente all'abitazione di un membro della Comunità in cui erano alloggiati anche i volontari.
Nonostante la richiesta fatta al comandante di allontanarsi dal luogo perché proprietà privata ed in quanto la loro presenza metteva in pericolo dei civili, la truppa si è allontanata dal luogo solo dopo due giorni, ubicandosi a circa 10 minuti dal terreno della Comunità dove, dopo poche ore, è stata attaccata da un gruppo armato illegale. Lo scontro, protrattosi per più di un'ora, di cui i volontari sono stati testimoni, rimarca ancora una volta come sia insicuro per gli abitanti vivere, lavorare e spostarsi in questi luoghi.

Un altro fatto grave è accaduto il 7 giugno a San Josè dove l'esplosione  di un ordigno collocato dalle Farc in una casa abbandonata del villaggio (detonato dagli stessi guerriglieri) ha provocato il grave ferimento di quattro soldati. Anche in questo caso l'attentato è avvenuto in pieno giorno e in un centro abitato; l'esplosione ha anche danneggiato anche alcune aule della scuola da cui fortunatamente gli alunni erano già usciti.