Ottobre 2013

SITUAZIONE ATTUALE - Una marcia per la Vita

''...si è verificato qualcosa di storico, per la prima volta si è visto un gruppo disarmato andare incontro ad un gruppo armato'' con queste parole di Padre Javier Giraldo, da sempre sostenitore della Comunità di Pace, si è conclusa la quattro giorni di 'Marcia per la Vita'.

Il pellegrinaggio, organizzato dalla Comunità stessa, ha voluto essere un segno di solidarietà e sostegno alle famiglie di Rodoxalli, La Hoz e Sabaleta, villaggi limitrofi agli insediamenti della Comunità che, a causa delle violenze e delle minacce perpetrate dai gruppi paramilitari dell'Autodifesa Gaitanista Colombiana (AGC), alcuni mesi fa sono state costrette allo sfollamento forzato.

La mobilitazione, che ha visto tra i suoi protagonisti rappresentanti delle popolazioni indigene di differenti zone del Paese, delegati di organizzazioni per la difesa dei diritti umani e della stampa nazionale, accompagnanti internazionali e, ovviamente, i membri della Comunità di Pace, possiede radici lontane, quelle dell'albero della Resistenza Nonviolenta che, dal 1997 (anno di nascita della Comunità) ad oggi, continua a crescere; una resistenza che si traduce in una giornaliera lotta pacifica per riconquistare un diritto universale, quello alla libertà, quello che dovrebbe essere garantito ad ogni uomo, ma che in questa zona della Colombia non viene più tutelato da fin troppo tempo.
La proposta è arrivata dopo il più recente di una lunga serie di abusi: lo scorso agosto infatti è stato sequestrato dall'AGC un giovane contadino nel villaggio La Hoz, sotto gli occhi degli impotenti genitori e degli altri abitanti; conseguenza immediata è stato lo sfollamento di tutte le famiglie ivi residenti, le quali hanno così abbandonato anche il lavoro nei campi, unica loro fonte di sostentamento. Del resto la 'politica del terrore' messa in atto dai suddetti gruppi armati, attraverso le continue incursioni, sta raggiungendo in tempi spaventosamente brevi l'obbiettivo ultimo di costringere i contadini all'abbandono definitivo delle terre, al fine di ottenere un controllo militare sul traffico della coca e delle imprese minerarie che già posseggono i permessi di estrazione delle materie prime.
Ed è a questo punto che la forza dell'unione si manifesta nella sua forma più emblematica: si organizza una marcia, un lungo fiume che, con il solo disarmante senso di giustizia, scorra lungo gli stessi luoghi invasi dalla prepotenza armata.
La 'Marcia per la Vita'  si è posta obbiettivi concreti di grande entità: andare fisicamente a cercare i paramilitari in una zona, denunciata dalle comunità come luogo di una delle loro basi, per tentare il confronto diretto con questi 'squadroni della morte'; raccogliere le testimonianze di chi li ha visti agire; conoscere la sorte del ragazzo rapito ad agosto; tutto ciò mostrando la stessa dignità, la coerenza e la neutralità rispetto a qualsiasi attore del conflitto, che da anni caratterizza l'agire di questi contadini.
Cominciata ufficialmente il 6 ottobre e composta da circa 120 persone, la carovana è stata divisa in due gruppi, entrambi partiti da San Josecito e con destinazione Nuova Antioquia, luogo comunemente conosciuto nella regione come 'centro operativo' del paramilitarismo.
Il primo, formato da 70 partecipanti, si è avviato la domenica, a piedi e con le mule, passando per il villaggio La Union, per arrivare il giorno seguente nel centro abitato di Nuova Antioquia, mentre l'altro si è mosso con un bus, partendo il lunedì stesso per raggiungere il punto d'incontro; e da qui il vero inizio di una camminata che è durata quattro giorni, duranti i quali le ragioni della Comunità di Pace sono apparse sempre più evidenti.
Nuova Antioquia è un paese dall'aria spettrale e ambigua, la via principale conta una vasta serie di negozietti e drogherie, la cui ragion d'essere pare insolita data l'assenza di abitanti; la calma apparente è palpabile, evidenziata dal fatto che, in un centro di dimensioni così ridotte e completamente disabitato, vi siano ben due stazioni della Polizia di Stato, per altro fortemente barricate, una proprio lungo la via principale, e un avamposto su una collina adiacente alla cittadina, elementi che non fanno altro che rimarcare la tangibilità del conflitto armato.
Dopo un breve colloquio con la Forza Pubblica, proposto da Padre Giraldo, durante il quale il comandante si è premurato di negare la presenza di qualsiasi forza illegale, la Commissione ha ripreso il suo cammino alla volta di Rodaxallì, villaggio non appartenente alla Comunità di Pace, ma altrettanto 'visitato' dai paramilitari. Prova ne è la testimonianza di una delle poche persone rimaste, nelle cui parole si avvertiva tanto l'entusiasmo per l'arrivo della carovana, quanto la preoccupazione per le eventuali conseguenze: ''...che allegria che siete venuti, ci sentiamo accompagnati, però abbiamo paura perché pare che da Nuova Antioquia abbiano avvisato che avreste raggiunto questa zona attraversando i monti, e non sappiamo cosa potrà accadere quando ve ne sarete andati...''.
Il giorno seguente, martedì 8 ottobre, i marcianti sono arrivati a Sabaleta, villaggio confinante al precedente, dove però le dichiarazioni dei contadini, nonostante evidente e comprensibile riluttanza iniziale, sono state più dettagliate, fornendo particolari rispetto all'AGC; da qui il rientro a Rodaxallì e la partenza il giorno successivo verso Mulatos (epicentro della Comunità di Pace),  partenza congedata dopo pochi minuti di cammino con tre colpi di fucile delle AGC: ''non ci avete visti, ma siamo qui''.
Il giovedì, giornata conclusiva, a Mulatos la Commissione si è nuovamente divisa in due gruppi: indigeni e membri della Comunità si sono fermati per l'annuale appuntamento con l'Università Contadina, mentre gli altri hanno chiuso il cerchio tornando a San Josecito. I partecipanti si sono salutati con un incontro in cui Padre Girlado ha tenuto un toccante discorso sugli scopi raggiunti dalla marcia e sulla forza rappresentata da un gruppo di persone che perseguono obbiettivi tanto onorevoli, ricordando chi prima di loro ha pagato con la vita.
Sulla via del rientro abbiamo attraversato il Chontalito, punto più alto del cammino, e da lì, dopo aver ammirato un paesaggio a cui nessuna descrizione renderebbe il giusto onore, si è costretti a guardare oltre ciò che si vede, gli occhi si posano sul Golfo di Urabà e sui risultati della guerra: monocoltivazioni di banane, macroprogetti di tek e l'impressionante riduzione della selva, che viene abbastanza facile immaginare non debba essere un desiderio di chi in questa macchia verde è nato e cresciuto, ha lavorato e continua a lavorare duramente solo per sopravvivere dignitosamente, di chi in questo verde ha visto scorrere il sangue della propria, innocente, famiglia.
Però se il male scorre, scorre anche il bene, e il Fiume per la Vita non si arresta: ''...non sappiamo se tra 10 o 15 anni saremo ancora vivi o se la Comunità di Pace esisterà ancora, sarà il tempo a dirlo; ma un giorno o l'altro, invece che accusarci, dovranno riconoscere la nostra forza etica e morale.'' così Berta Tuberquia (membro del Consiglio della Comunità) racconta la Resistenza Nonviolenta, la lotta che pensa a lungo termine, ma che celebra anche ogni giorno il senso più profondo della vita, con unità, coerenza e infinita dignità.

CONDIVISIONE E LAVORO - VOLONTARI

 

 

Nel mese di ottobre i volontari di Operazione Colomba sono stati impegnati in vari accompagnamenti in città con i membri del Consiglio. Sono ritornati  a Cordoba per una visita con un membro del Consiglio nelle veredas di Nain, las Claras e Porto Nuevo, dopo una lunga assenza. Hanno partecipato alla Carovana Umanitaria e hanno fatto varie attività con i bimbi de La Holandita, tra cui la costruzione di un canestro per giocare a basket e una gita al fiume.
Due membri del Consiglio infine sono partiti a fine mese per una serie di incontri in Europa che li terranno impegnati fino a dicembre.
Un bentornato sul campo a Monica e a Giorgia.