Settembre 2020

SITUAZIONE ATTUALE

Proseguono le indagini sulla morte di Mario Paciolla, collaboratore della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia, rinvenuto senza vita lo scorso 15 luglio a San Vicente del Caguán in circostanze ancora da chiarire. La testata nazionale colombiana El Especator ha riportato la notizia della decisione della Procura di Roma di aprire un’indagine per omicidio, abbandonando quindi la prima ipotesi di suicidio, alla ricerca della verità di ciò che è accaduto al giovane napoletano. Anche la vice Ministra italiana per gli Affari Esteri e della Cooperazione, Marina Sereni, ha dichiarato che le Nazioni Unite devono collaborare per arrivare alla verità, in quanto l’accaduto presenta “fatti non comprensibili” ed è “molto difficile credere alla versione del suicidio”.
Un bellissimo ricordo ed un racconto vivo su chi era Mario lo ha lasciato l’inviato del Tg3 Rai, Valerio Cataldi, in un articolo che descrive la professionalità e la passione di Mario nel suo lavoro di cooperante in Colombia.
Nel frattempo non si è fermata nel Paese sudamericano la scia di violenza, non solo contro leader sociali e difensori/e dei Diritti Umani; sono infatti balzate alla cronaca le terribili immagini degli scontri tra la polizia e le forze speciali dell’Esmad, ai danni della popolazione civile che stava manifestando pacificamente contro la brutalità con cui alcuni agenti della forza pubblica hanno causato la morte di un avvocato di 46 anni, Javier Ordóñez, lo scorso 9 settembre.

Il giovane avvocato avrebbe violato la quarantena quando è stato fermato ed aggredito da due agenti di polizia che ne hanno causato la morte con percosse e l’uso del taser. Le immagini dell’aggressione sono girate nel web provocando una serie di manifestazioni nella capitale e nelle periferie di Bogotà che hanno provocato la morte di almeno dieci persone e 400 feriti tra manifestanti e agenti dell’ordine che non hanno esitato, a quanto pare, ad usare le armi contro la popolazione inerme. Alcune organizzazioni sociali hanno denunciato anche arresti arbitrari di leader sociali, tanto che la stessa ONU ha condannato apertamente “l’uso eccessivo” della forza da parte della forza pubblica.
La stessa denuncia che condanna i casi di brutalità della forza pubblica è stata mossa dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani che ha ricordato al Governo colombiano che è suo dovere proteggere il diritto alla vita, all’integrità e alla libertà di manifestazione. La Commissione ha inoltre ribadito che fatti isolati di vandalismo non possono trasformare le proteste dei movimenti sociali in una minaccia per l’ordine pubblico mentre esercitano il loro diritto di protesta.
Verso la fine del mese di settembre altri due orribili massacri hanno allungato la lista di vittime in Colombia per mano di gruppi illegali presenti nel territorio. Nel Cauca almeno sei morti, tra cui un minore di età, nel municipio di Buenos Aires, uccisi dal lancio di granate e l’utilizzo di fucili da parte, secondo le informazioni date dall’esercito, di dissidenti delle FARC. Pochi giorni dopo, il 22 settembre, nella regione di Cordoba, a San José de Uré altre quattro vittime, tra cui una guardia indigena, in una zona rurale che dallo scorso luglio aveva avuto 279 persone sfollate a causa della violenza provocata dai gruppi neoparamilitari del Clan del Golfo e dei Caparrós. Secondo i dati di Indepaz (Istituto di studio per lo sviluppo e la pace) i 61 massacri avvenuti dall’inizio di quest’anno hanno causato la morte di 246 persone.
Mentre l’ex presidente Álvaro Uribe Vélez rimane agli arresti domiciliari in attesa del processo che lo vede coinvolto con l’accusa di aver manipolato vari testimoni, il senatore Ivan Cepeda (portavoce del Movice, Movimento di vittime contro i crimini di Stato) , la sua famiglia, vari suoi collaboratori sino ad alcuni magistrati della Corte Suprema di Giustizia che hanno ordinato la detenzione di Uribe, di cui Cepeda è parte offesa, sono stati fortemente minacciati.
L’Associazione Libera si è unita all’allarme lanciato dalla società civile colombiana affinché “siano attivate tutte le misure necessarie per garantire la protezione della vita e l’integrità di Ivan Cepeda e della sua famiglia”.
La Comunità di Pace di San Josè di Apartadò continua, nonostante tutte le difficoltà dovute alla presenza di gruppi armati illegali nel territorio e alla pandemia, a coltivare il sogno di pace e giustizia nonostante un’ulteriore notizia renda ancora una volta dolorosa e difficile la via della verità. Lo scorso giugno infatti è morto il generale Héctor Jaime Fandiño senza che la Magistratura abbia potuto chiarire la sua o meno partecipazione al massacro del 21 Febbraio 2005 a Mulatos e Resbalosa dove perdettero la vita 8 persone della Comunità di Pace. Il massacro, perpetrato dall’esercito insieme ai paramilitari del Bloque Héroes de Tolová, vedeva tre gli indagati di più alto rango proprio il generale Fandiño.