Febbraio 2021

SITUAZIONE ATTUALE

La descrizione della situazione dei difensori dei Diritti Umani in Colombia, presentata a febbraio con l’uscita del report di Human Rights Watch intitolato “Líderes desprotegidos y comunidades indefensas - Asesinatos de defensores de derechos humanos en zonas remotas de Colombia”, lascia ben poco spazio a dubbi riguardo l’inefficacia delle misure del governo colombiano rispetto alla continua ondata di violenza che imperversa nel Paese. Josè Miguel Vivanco, direttore per l’America Latina di Human Rights Watch, afferma che “il governo del presidente Ivan Duque condanna frequentemente questi omicidi, però la maggioranza dei programmi governativi per prevenire questi assassinati appena funzionano o presentano gravi deficienze”.
Critiche e preoccupazioni che sono giunte anche a Ginevra attraverso la voce di Juliette de Rivero, rappresentante in Colombia per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, attraverso un rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Nel documento si sottolinea la mancanza di un avanzamento nella politica pubblica per lo smantellamento delle organizzazioni criminali e la mancata protezione della popolazione civile e dei suoi leader soprattutto tra la popolazione indigena, afro e contadina di Antioquia, Cauca, Chocò, ecc., dove si lamenta la mancanza della presenza integrale dello Stato.

L’organo delle Nazioni Unite manifesta inoltre preoccupazione per le affermazioni di discredito e mancata imparzialità fatte contro il Sistema Integrale di Verità, Giustizia, Riparazione e non Ripetizione nato con l’Accordo di Pace nel 2016 a cui hanno fatto seguito anche dure ripercussioni all’annuncio della JEP (Giurisdizione Speciale per la Pace) di voler investigare almeno 6402 casi di esecuzioni extra giudiziarie (falsos positivos) compiute da agenti dello Stato tra il 2002 e il 2008. Tale proposta infatti ha suscitato, fra i settori più critici dell’Accordo di Pace, una nuova istanza per chiedere la cancellazione con questa forma di giustizia transizionale.
Il quadro si oscura ancor di più con le dichiarazioni dell’ex capo paramilitare delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), Salvatore Mancuso in carcere negli Stati Uniti, che ha affermato che “le Autodefensas sono state una politica di Stato e non mele marce, anzi sono state implementate dagli alti comandi, tanto militari che politici del Paese”.
Salvatore Mancuso, di cui è possibile una estradizione in Italia per i suoi crimini legati al narcotraffico, dichiarerà di fronte alla Commissione per la Verità l’utilizzo di forni crematori come armi da guerra durante gli anni in cui lui comandava le sue truppe.
Di fatto la pace sembra sempre più lontana; a fine febbraio a causa di un combattimento tra le AGC e la dissidenza delle FARC, una giovane donna incinta al nono mese è stata uccisa e 114 persone della zona di Peque, in Antioquia, sono state costrette allo sfollamento forzato, mentre altre 200 sarebbero in forte rischio di dover abbandonare l’area.
Altri massacri sono avvenuti a febbraio suscitando paura e morte tra la popolazione civile, tanto che tre Vescovi, Mons. Juan Carlos Barreto Barreto (Quibdó), Mons. Mario de Jesús Álvarez Gómez (Istmina–Tadó) e Mons. Hugo Alberto Torres Marín (Apartadó), hanno deciso di visitare varie comunità nel Chocò e Antioquia per ascoltare le vittime di tanta violenza e denunciare sfollamenti, omicidi di leader, minacce e reclutamenti di minori.

CONDIVISIONE, LAVORO E NOVITA' SUI VOLONTARI

Il mese di febbraio ha impegnato i volontari in alcuni accompagnamenti ai membri della Comunità di Pace che continuano nel loro lavoro agricolo migliorando e organizzando i propri spazi di lavoro per garantire l’autosufficienza alimentare a tutte le famiglie. Nonostante la presenza sempre costante dei gruppi armati illegali che impongono regole ed estorsioni attraverso il controllo sociale della popolazione civile e conseguentemente del territorio, i membri della Comunità non cedono nella loro lotta etica e morale, per fare di questo angolo di mondo un luogo di pace. Un elemento fondamentale di questo popolo che cammina in cerca di giustizia è il fare memoria delle persone care che hanno dato la vita per questi ideali. Ri-cordare appunto, riportare al cuore i volti, i sorrisi, le parole di chi ha tracciato solchi profondi tra queste montagne per seminare nuova vita nonostante la barbarie della morte che li ha portati via alle loro famiglie.
Con questo animo i membri della Comunità, insieme ai volontari/e di Operazione Colomba e di altre organizzazioni internazionali e nazionali, si sono recati a Mulatos e Resbalosa per commemorare le vittime del massacro lì avvenuto il 21 febbraio 2005 per mano dell’esercito regolare e dei gruppi paramilitari.
A perdere la vita tra la rigogliosa vegetazione e le acque limpide del fiume Mulatos, l’allora leader della Comunità di Pace Luis Eduard Guerra, la sua compagna Bellanira, il figlio Deiner di soli 10 anni; e poi ancora, a una sola ora a piedi di distanza, alla Resbalosa altre vittime innocenti: Sandra e il marito Alfonso con i loro due figli Santiago di 18 mesi e Natalia di 7 anni. Sul luogo del massacro di Mulatos oggi sorge una cappella di pietra, e mentre la luce del sole attraversa i mosaici delle sue finestre per illuminare il dipinto di Brigida che racconta la tragedia di quel momento, fuori, nei volti della gente della Comunità, si riflette ancora una volta la luce di uno spirito reso ancora più forte dall’esempio di questi martiri.
E’ infine arrivato a far parte del gruppo di volontari/e in Colombia, Otto a cui auguriamo un buon cammino in questa terra latina.