Persone tra le persone

Il campo di Eleonas, l'unico vicino al centro abitato di Atene, chiuderà.
La battaglia sembra persa, la resistenza dispersa.
Sebbene lottare per mantenere aperto un campo sia un paradosso per tutti noi, la distanza e la separazione che ci attendono paiono ancora più violente.
Negli ultimi mesi sono stati effettuati numerosi trasferimenti, molte persone se ne sono andate e il campo si è svuotato: vi risiedono ancora pochi uomini soli e qualche nucleo familiare; gran parte delle donne e dei bambini sono stati trasferiti e la spina dorsale del movimento di resistenza, costituita prevalentemente dalle donne congolesi, è andata via via disgregandosi.
Sembra la fine pacifica di una battaglia, ma non è così, perché non c'è nulla di pacifico in questo epilogo: i trasferimenti delle persone sono stati tutti imposti, prima mediante l'utilizzo della forza (https://www.youtube.com/watch?v=rtHy_AS-erk) e poi mediante l'arma del ricatto da parte delle stesse autorità del campo.
Non c'è scelta quando ti minacciano di sospendere la tua procedura d'asilo se non te ne vai.
Non c'è scelta quando l'alternativa al trasferimento è perdere l'unica possibilità di ottenere dei documenti.
Ma dove andranno, dove sono, gli abitanti di Eleonas?

Andranno via se ne avranno la possibilità, andranno in altri campi se non avranno alternative: campi lontani dai centri abitati, lontani dai servizi, dalle scuole, dalle chiese, dagli ospedali.
Lontani da noi.
Un'altra chiusura affianca quella del campo di Eleonas: quella del progetto ESTIA, dedito a fornire alloggi ai richiedenti asilo e alle loro famiglie su tutto il territorio greco.
Gli sfratti dagli appartamenti sono iniziati da poco, con l'obiettivo di indirizzare i migranti verso gli stessi campi a cui sono state destinate anche le persone cacciate da Eleonas.
Come se non bastasse, ciò che stiamo vedendo in prossimità della capitale potrebbe verificarsi molto presto anche sull'isola di Lesbo, dove è in costruzione un nuovo campo.
La domanda che viene da porsi è la stessa: dove andranno queste persone, una volta trasferite dal campo di Kara Tepe (o Moria 2), prossimo alla chiusura, o dagli appartamenti di Mitilene messi a disposizione dal progetto ESTIA?
In mezzo al nulla, in un'area deserta al centro dell'isola, all'interno di una struttura da cui non potranno uscire: un campo di reclusione, costruito sul modello di quello già operativo a Samos.
La strategia di allontanamento non farà che infliggere ulteriori sofferenze alle persone migranti, con l'aggiunta che qualsiasi segno di violenza resterà invisibile, nascosto alla vista, così come saranno invisibili i volti scomodi di coloro che quei segni se li portano addosso. Si tratta di un piano strutturato di isolamento, un sistema umiliante e vergognoso, anche per quell'Europa che contribuisce a crearlo e attuarlo.
Basterebbe che ciascuno di noi trascorresse pochi minuti con una di queste famiglie sfrattate, prendesse in braccio un solo bambino, sorridesse in risposta ad un sorriso, guardasse gli occhi di una persona che dice di essere trattata come una bestia, per accorgersi che questa ingiustizia è anche la propria.
In questo ultimo mese alcuni degli abitanti di Eleonas hanno fatto sentire la loro voce, ormai profondamente cambiata rispetto a quella delle prime proteste, lasciando trasparire umiliazione, senso di solitudine, stanchezza.
Più volte hanno sottolineato la differenza della nostra posizione rispetto alla loro: una posizione privilegiata per la quale spesso proviamo vergogna, ma che ci permette di spostarci, raggiungerli, avvicinarci come possiamo.
Era questo il significato del loro appello: abbiamo perso la battaglia, ma noi abbiamo ancora bisogno di voi, "non lasciateci se ci trasferiranno, sosteneteci anche se saremo lontani, venite dove saremo".
Resta da chiederci se e come sarà possibile essere ancora vicini a seguito di questo piano politico di isolamento, che ci impedisce di essere tutti, semplicemente, persone tra le persone.