Israele: report da Haifa

L'Operazione Colomba da oltre tre anni opera anche nel conflitto mediorientale: "siamo stati a Gaza per diverso tempo" raccontano i volontari della Colomba "attualmente collaboriamo con alcune associazione pacifiste israeliane e siamo presenti con i nostri volontari in due villaggi palestinesi in Cisgiordania: ad Aboud, paese a nord di Ramallah, dove svolgiamo un'azione di monitoraggio e denuncia soprattutto rispetto alla costruzione del muro di separazione che anche in quell'area sta avanzando a dispetto delle proprietà degli abitanti della zona; ad At-Tuwani, a sud di Hebron, villaggio vicino ad alcuni insediamenti ebraici da dove, solo pochi mesi fa, mentre i volontari dell'Operazione Colomba accompagnavano alcuni bambini palestinesi a scuola, sono usciti estremisti incappucciati che hanno violentemente picchiato i nostri ragazzi, alcuni ferendoli anche in modo grave". "Ma non ci siamo fermati" continuano "attualmente, sempre ad At-Tuwani, accompagniamo i pastori minacciati a pascolare le proprie greggi nei campi della zona, con la consapevolezza che anche una presenza internazionale nonviolenta è motivo di deterrenza ad ulteriori violenze". "Inoltre sosteniamo le azioni di chi da dentro il conflitto, con coraggio e amore, costruisce in modo nonviolento la convivenza e la pace, azioni come quella di Itzik Shabbat" aggiunge don Benzi, "ragazzo di 28 anni, israeliano di Sderot, che recentemente ha deciso di rifiutare di prestare servizio nell'esercito israeliano dichiarando che - solo questo tipo di opposizione mette fine alla pazzia che sta crescendo e frantuma la falsa percezione che tutti supportano questa inutile guerra basata su motivi camuffati-".

Provocati da quanto sta accadendo tra Libano ed Israele, i volontari dell'Operazione Colomba si sono recati in questi giorni anche ad Haifa, nel nord di Israele, per portare sostegno e solidarietà alla popolazione civile e condividere la sofferenza e la paura di chi vive sotto la minaccia dei razzi Katiuscia, di chi corre al suono della sirena d'allarme per cercare un riparo e ne attende la fine pregando, tremando, con la paura nel volto.

Lunedi 7: arrivo a Nazareth

Partiti da Gerusalemme lunedì mattina, prendiamo il bus per Afula perchè non ci sono bus diretti per Nazareth. Al punto informazioni dei bus ci informano che il viaggio non è sicuro. Discutiamo  tra noi per verificare se ci sono ripensamenti, ma nessuno si tira indietro, si decide di andare avanti.
Il bus è pieno di soldati, nessun turista... pare che anche noi stiamo partendo per la guerra, ma se non fosse per l'ortodosso che legge un giornale pieno di immagini di ciò che sta avvenendo al confine, il clima è tale che sembrerebbe quasi di stare su uno di quei bus che portano le famiglie nelle gite domenicali in Italia. Ad Afula, dove scendiamo e dove i Katiuscia hanno centrato per ora "solo" campi e strade, i soldati sono tanti. Ci informano che è una zona piena di basi militari.
Jack ,il taxista che ci porta da Afula a Nazareth ci dice candidamente, come se stesse parlando di una partita di calcio, che se l'ONU e l'Europa non intervengono, Israele entro due mesi riuscirà ad uccidere tutti gli Hezbollah. La guerra intesa come strumento per eliminare una volta per tutte i cosiddetti terroristi è un convincimento di tanti... Per assurdo abbiamo avuto modo di sentirlo dire sia da israeliani che da palestinesi. Pochi qui parlano di pace, molti credono di non avere scelta.

Padre Ricardo Bustos, francescano guardiano della Chiesa dell'Annunciazione di Nazareth, ci dedica un po' del suo tempo per spiegarci che cercano volontari per tenere aperta l'unica Chiesa in Terra Santa non condivisa con altri culti. L'ombra della guerra ricompare quando il frate ci parla del danno economico che una città turistica come Nazareth sta subendo in questi giorni. Anche l'Ostello Casanova gestito dai francescani è chiuso come tutte le altre strutture per il turismo, compreso l'ufficio informazioni. Lo Stato d'Israele ha chiesto tramite lettera a tutti i commercianti di quantificare l'entità del danno economico, perchè risarcirà i guadagni mancati. Qui la guerra è lontana. Pur essendo la prima città ad essere stata colpita dagli Hezbollah, a Nazareth la gente è tranquilla, non si sentono sirene e se non fosse perchè non ci sono turisti tutto sembrerebbe normale.
Trascorriamo la notte ospiti delle Suore di Nazareth

Martedì viaggio ad Haifa

Ancora una volta è la gente a darci le chiavi di lettura della percezione della guerra in nord Israele. L'autista del bus da Nazareth ad Haifa ci dice che lui ora, con nessuno in giro, guida senza difficoltà sulle strade trafficate della Haifa turistica.
Prima impressione della città...desolata...tutti i negozi chiusi, nessun turista in giro…solo tre colombe e qualche lavoratore che sta per la maggior parte del tempo chiuso in ufficio. La municipalità ha chiesto ai cittadini di non uscire da casa se non in caso di grave necessità.
Haifa, terza città d'Israele per numero di abitanti, è sopratutto un porto commerciale e turistico intorno al quale si è sviluppato il più importante centro industriale dello Stato. Intorno è nata una zona industriale nella quale sono sorti gli impianti di raffinazione del petrolio proveniente dal Mar Rosso. La città è suffragata da un vecchio detto secondo il quale a "Tel Aviv ci si diverte, a Gerusalemme si prega e ad Haifa si lavora". Nella città ogni struttura per turisti è chiusa e troviamo ospitalità presso le Suore del Carmelo che ci dicono, però, di non avere un rifugio. Perdiamo un'ora in attesa di un pullman che non arriva e finalmente in serata siamo dalle Suore.
Lì ci raggiunge il Padre Maronita Salim che ci parla della città.
Haifa è abitata da 260.000 persone di cui 230.000 ebrei, 9.000 mussulmani e 19.000 arabi cristiani, un terzo dei quali di culto greco-ortodosso. La comunità dei maroniti non supera le 2.000 unità, quella dei protestanti le mille unità; ma ad Haifa, che proprio per questo motivo si è conquistata la fama di città tollerante, hanno trovato rifugio i dissidenti dell'Islam: qui risiedono più di tremila tra Drusi, seguaci della fede Bahai e ascemiti.
Padre Salim discute con noi per quasi due ore e ci aiuta ad avere un'idea più chiara del contesto. Qui la gente di culti e cultura diversa convive da secoli senza problemi e a noi torna in mente inevitabile il confronto con la realtà della Cisgiordania e di città come Hebron dove i coloni ebrei che vivono ai piani alti dei palazzi, gettano l'immondizia sui palestinesi e non c'è dialogo interculturale né rispetto della diversità.

Mercoledì 9 agosto 2006 Haifa

Primi 4 allarmi Katiuscia....
Mentre camminiamo per strada arriva il primo allarme Katiuscia. Entriamo in un negozio di generi alimentari dove abbiamo la prima percezione della paura della gente nel volto di una ragazza che spaventata si fa il segno della croce in attesa che la sirena cessi.
Ci spiegano che si può uscire solo dopo 5 minuti dalla fine dell'allarme, perchè i missili sono sparati in serie e tra il primo e l'ultimo vi è uno scarto di tempo.
La seconda sirena arriva mentre siamo in visita al Centro di Beit Hagefen Arab Jewish. Questo centro interculturale vede insieme in vari progetti culturali gente di diverso credo e cultura.
Il terzo allarme arriva dopo la fermata dei bus e troviamo riparo seguendo una coppia con una bimba sotto la tettoia di una casa.
In realtà i rifugi che troviamo durante i diversi allarmi non sono strutture adibite "ad hoc" ma semplicemente scantinati, sotterranei dei palazzi, zone più riparate nelle case.

Qui ad Haifa l'ufficio del turismo è aperto. Ci accolgono due impiegate, una intorno ai vent'anni e l'altra sui quaranta. Sono molto gentili e parliamo un po'. La più giovane ci è grata quando viene a conoscere il motivo per cui siamo lì e i propositi di condivisione del progetto "Operazione Colomba". L'altra, che è madre di un ragazzo che da due mesi ha finito il servizio militare, ci dice invece che all'idea che il figlio sia richiamato per la guerra ha paura, ma esclude l'ipotesi che lui si rifiuti di partire, perchè lo Stato di Israele è piccolo e parla di dovere e di onore a costo del sacrificio della vita.
Il capo ufficio, che arriva poco dopo, vanta la capacità dello Stato di Israele di "andare avanti" senza bisogno di nessuno e di aver organizzato la vita dei cittadini a un'ora dallo scoppio della guerra.
Usciti dall'ufficio del turismo con tutte le informazioni che ci servivano per girare più agevolmente la città, veniamo fermati per strada da una signora che scopriremo poi essere stata ferita durante lo scoppio del Katiuscia caduto nel giardino delle vicine Suore del Rosario. Si percepisce ancora molta paura per quello che è successo e sta succedendo. Ci intratteniamo con lei a parlare per un po', appare chiaro che non vuole restare sola e che è vivo il trauma per essere stata ferita in casa...luogo che considerava sicuro.

Segue l'incontro con le Suore del Rosario e la documentazione dei danni provocati dal Katiuscia che è caduto nel loro giardino.

Passiamo poi a visitare l'ospedale Italiano di Haifa e incontriamo Suor Emanuela che ci racconta il coraggio del personale sanitario che non si assenta per garantire interventi e prestazioni. Solo chi abita ancora più a nord di Haifa a volte non riesce ad arrivare a lavoro.

La visita all'Ospedale di Haifa è però quella che da più senso al nostro viaggio. Lì andiamo a trovare Roberto Punzo, capitano dell'aeronautica impegnato nella missione disarmata IFIS dell'ONU ferito in Libano. Roberto è felice di vederci e di parlare un po' con noi. Gli parliamo dell'Operazione Colomba e delle nostre presenze in Kossovo, Palestina e Uganda.

Rimaniamo poi stupiti nel vedere la reazione dei parenti e degli amici dei soldati israeliani feriti, ricoverati nel suo stesso reparto. In una stanza vicino a lui c'è un militare israeliano che avrà si e no 19 anni e che non ha più le gambe. Intorno a lui non c'è tristezza. Ha servito la Patria e questo sembra essere il più grande onore per un israeliano. Gli amici suonano la chitarra, portano dolci, palloncini e non c'è tristezza visibile neanche nei parenti.
Qui forse è stata la parte più difficile e significativa della nostra presenza ad Haifa, perchè siamo andati a visitare i soldati israeliani feriti sul fronte.
Mentre ci tornano agli occhi certe immagini di sofferenza, distruzione e morte, come quelle del sud del Libano, pensiamo che "la sofferenza non ha colore, nel dolore siamo tutti uguali, bisognosi di aiuto e che pertanto la solidarietà non deve avere né confini né fare distinzioni"; non è questione di neutralità rispetto alle parti in conflitto che a volte, di fronte ad un'ingiustizia, è persino sbagliata, ma di "equivicinanza" di fronte al dolore umano…
e noi siamo qui per portare la nostra solidarietà e il nostro sostegno all'uomo oltre la sua divisa, oltre le sue idee e la sua storia ma con la sua sofferenza e il suo dramma scolpito nel corpo…

La nostra giornata è continuata con un approfondito colloquio con due giovani Israeliani ex-soldati di fronte al Pronto Soccorso dell'ospedale, che aspettavano amici soldati feriti in Libano.
Avevano la visione di un Israele attaccato da terroristi e quindi da difendere, giustificando la guerra e la distruzione di un Paese come prezzo per i due soldati catturati. La nostra presenza lì, in quella situazione, ci ha permesso però di essere "credibili" nonostante fossimo pacifisti, nonviolenti, con progetti in Cisgiordania. E alla fine anche loro hanno riconosciuto che i coloni di Hebron creano molti problemi, anche a loro, perché rovinano il nome di tutto il popolo. E il racconto della scorta militare israeliana che, dopo mesi di interposizione nonviolenta e anche di alcuni nostri volontari feriti, abbiamo ottenuto per difendere i bambini palestinesi di Tuwani dalla violenza dei coloni, è stato per loro un momento imbarazzante... sapevano anche del conseguente ordine di sgombero dell'insediamento di Avat Màon. La conversazione è durata più di un'ora, con obiettività da entrambe le parti, tanto che quando uno di loro voleva appellarsi alla shoah, gli altri due lo hanno subito fermato chiedendoci scusa.
Abbiamo finito con ringraziamenti per il confronto e strette di mano.

Giovedì 10 agosto 2006 Haifa

La prima sirena ci ha colti di sorpresa dalle Suore. Erano da poco passate le nove ed eravamo intenti a prepararci per una nuova lunga giornata, chi era in bagno, chi guardava dalla finestra e chi preparava panini. La nostra percezione del rischio in quel momento era molto bassa. La mattina è trascorsa a visitare quello che resta delle palazzine colpite dai Katiuscia domenica scorsa, in cui ci sono stati diversi morti.
Il secondo allarme è arrivato mentre eravamo nei pressi di un edificio pubblico della città. Poteva essere un ufficio INPS con impiegati in pausa caffè da una vita. Qui tra noi ha prevalso il desiderio di documentare.
La terza sirena ci ha visti cercare un rifugio con un poliziotto dentro l'ingresso di un palazzo.
L'ultimo allarme è stato il più rischioso per il contesto.
Camminavamo su uno stradone in una zona non abitata, con una rete che ci divideva dalla ferrovia e dall'altra spazio aperto e mentre incrociavamo un distributore di benzina è scattata la sirena. Ci siamo guardati intorno e non c'era nessun riparo, e mentre Giacomo suggeriva di ripararci dietro l'unica palazzina presente in zona, notavamo che la stessa aveva bombole del gas all'esterno e tutte le pareti a vetrate... Se fosse arrivato vicino a noi il Katiuscia probabilmente non ci sarebbe stato scampo... Abbiamo passato dei brutti 5 minuti...

Ritorno a Gerusalemme


Il ritorno a Gerusalemme è seguito con una discussione con una famiglia del Nord che ha lasciato la casa, molto arrabbiata con la stampa internazionale perchè poco obiettiva e contro Israele... Ci prendono per giornalisti, ma quando gli diciamo che noi al Nord ci siamo andati proprio per la situazione attuale di guerra, e che secondo noi Israele non ha proprio tutte le ragioni nel conflitto Israelo-Libanese, se ne vanno e non dicono più niente. Marito e moglie salgono in macchina, sembrano escludere che tra noi ci possa essere dialogo, parlano e ci osservano increduli. Forse si chiederanno come mai tre giovani e pure stranieri scelgano di andare in guerra per "condividere le sofferenze della gente che subisce il conflitto". L'unico spiraglio di dialogo si apre con un signore di mezza età che vorrebbe farci capire perchè Israele in questa guerra è nel giusto. Di nuovo riemerge la convinzione che Israele sia un'altra volta da sola a difendersi contro il mondo. Tutti i non Israeliani, se dissentono sono nemici o probabilmente terroristi. L'unico spiraglio di speranza è il giovane del gruppo, che dice che non tutti tra di loro la pensano così e ci chiede di contattarlo via cellulare fra qualche giorno per parlare. È possibile un dialogo??!

La percezione, dopo questo viaggio, è che ad Haifa la gente viva l'ombra della guerra, perchè nonostante i morti di domenica e le sirene, la gente sta in casa e se deve andare a lavorare sa dove trovare un riparo. La paura si sente e si vede in alcuni volti come in quello della ragazza che si fa il segno della croce e prega mentre aspetta la fine del suono della sirena, o della signora ferita dall'onda d'urto di un missile, che pur di non stare da sola ci "raccoglie per strada", ci ospita in casa, ci parla di dieci generazioni della sua famiglia e pur di non lasciarci andar via, ci offre mille cose da mangiare e da bere.

In conclusione, sebbene quattro giorni sotto il tiro dei Katiuscia non possano definirsi una condivisione nel senso più ampio, questo viaggio dentro l'Israele della guerra ci ha aiutato a cogliere aspetti del pensiero degli israeliani che forse prima non ci erano così chiari.