Come costruire la resistenza guardando attraverso nuove finestre

Palestina/Israele

In queste calde giornate di maggio la sera si inizia a dormire all'aperto, la brezza notturna concilia il sonno molto più dell'interno afoso delle case, per questo motivo scegliamo, ogni sera, di portare i materassi fuori e guardare le stelle, possiamo decidere se avere un tetto sopra o sotto la testa, dando per scontata la normalità di questi gesti.

Vicino a noi, al villaggio di Al Mufagarah, dopo la recente emissione dell'ennesimo ordine di demolizione, dall'inizio di Maggio si stanno costruendo alcune case: qui dormire o meno sul tetto perde di banalità e diventa una questione viscerale.
Lo scorso Novembre l'esercito israeliano è entrato e ha abbattuto alcune strutture, tra cui la moschea e delle case; due ragazze sono state arrestate nel tentativo di opporsi alle demolizioni, dovendo così scontare otto giorni di detenzione nonostante non sia stata formulata alcuna accusa specifica nei loro confronti.
Durante la demolizione è stato distrutto anche il generatore che garantiva l'energia a tutto il villaggio, lasciandolo completamente isolato. Questo accadeva e accade ogni giorno nei villaggi palestinesi, mentre colonie e avamposti, per quanto illegali, continuano ad essere perfettamente dotati di ogni servizio e struttura sussidiaria.
La determinazione della comunità di Al Mufagarah e di quelle dei villaggi limitrofi da subito si è palesata in tutta la sua forza, circa ottanta persone si sono riunite il venerdì successivo in prossimità dei resti della moschea, dove si è tenuta la preghiera a seguito della quale sono cominciati i lavori di ricostruzione.
L'esistenza o meno di un diritto all'abitazione non è questione di recente acquisizione, il diritto alla casa trova protezione in molti Trattati Internazionali, tra cui all'articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e all'articolo 11 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali: in entrambe le norme viene sottolineata l'importanza di un'abitazione adeguata quale presupposto per l'esercizio di un'altra serie di diritti, primo tra tutti quello ad avere un tenore di vita dignitoso.
Risulta chiaro il motivo per cui il diritto alla casa, inteso come diritto fondamentale, viene tutelato da diverse fonti internazionali: la mancanza di un'abitazione adeguata è globalmente considerata come uno dei più urgenti problemi da risolvere in ragione del ruolo cruciale che questo fattore ambientale riveste nello sviluppo di condizioni di vita adeguate, in mancanza delle quali facilmente e rapidamente si possono creare situazioni patologiche come epidemie e tensione sociale, destinate ad inasprirsi in contesti di guerra o conflitto.
In questo contesto tali premesse teoriche si scontrano con la complessità della realtà: secondo le stime delle Nazioni Unite al momento è proibito costruire nel 70% della Cisgiordania, mentre nel restante 30% le restrizioni imposte dall'autorità israeliana sono tali da rendere praticamente impossibile ottenere i permessi necessari per costruire nuove abitazioni.
Inoltre, secondo un recente rapporto di Amnesty international, Israele sta mantenendo in Area C un totale controllo sulle attività di pianificazione e urbanizzazione, intensificando al contempo le demolizioni di diversi tipi di strutture palestinesi, rimpolpando in questo modo le fila degli sfollati.
Le autorità israeliane oltre ad ostacolare ogni possibilità di poter vivere in un'abitazione adeguata, sia impedendone la costruzione sia non garantendone la non demolizione, grazie alla macchina dell'occupazione riescono a controllare anche lo sviluppo delle strutture sussidiarie, come reti elettriche, idriche e strade.
Sempre a Novembre, infatti, un bulldozer e 25 soldati hanno abbattuto un totale di sei piloni della luce che avrebbero dovuto collegare At-Twani al vicino villaggio di Al Mufagarah, impedendo ogni tentativo da parte della comunità locale di migliorare le proprie condizioni di vita.
Alla luce di quanto finora brevemente descritto, emerge chiaramente l'obiettivo della campagna lanciata nelle ultime settimane ad Al Mufagarah, quello che sta venendo rivendicato è il diritto di queste persone ad esistere.
Si sono susseguite, infatti, una serie di azioni nonviolente che hanno visto come loro protagoniste anche molti israeliani e internazionali accorsi sul luogo per dimostrare moralmente e fisicamente solidarietà al villaggio, attraverso la costruzione di diverse abitazioni che, a fine campagna, dovrebbero ammontare a quindici.
La comunità stabilisce collettivamente a quali famiglie vengono attribuite le nuove case, decisione quest'ultima che sottolinea ulteriormente l'unità del villaggio nella scelta di questa forma di resistenza all'occupazione.
A conclusione della prima azione si è tenuta un'assemblea pubblica alla quale hanno preso la parola i rappresentanti della comunità di Al Mufagarah, del comitato di resistenza popolare delle colline a sud di Hebron e del Popular Struggle Coordination Commitee.
Dai loro interventi forte è emersa la convinzione che non importa quante case verranno nuovamente demolite, quel che conta è quante abitazioni continueranno ad essere ricostruite per poter continuare a vivere nella terra che da sempre a loro appartiene.
E mentre la prima casa veniva costruita, grazie alla fatica e al lavoro di tutti i presenti, vedevamo aprirsi nelle pareti di calce fresca nuove finestre, che chissà quante cose nuove ci riveleranno.

Charlie