La danza di Susiya

Palestina/Israele

Gruppi sparsi di persone, chiacchiere e qualche bicchiere di te prima che tutto abbia inizio. Gli autobus da Israele arrivano uno dopo l’altro, così come i pulmini e le macchine palestinesi provenienti da tutta l’area delle colline a sud di Hebron e del resto della Cisgiordania.
In questa mescolanza di colori e persone, nitido si distingue un cartello bianco, più grande degli altri, sul quale sono stampate alcune fotografie che ricordano a tutti il motivo per cui il 22 Giugno  più di 500 persone si sono riunite per manifestare per i villaggi palestinesi di Susyia e Wadi Jehesh.

Ogni immagine rappresenta un ordine di demolizione consegnato il 12 Giugno: i provvedimenti emanati in totale sono sei e riguardano 50 strutture presenti a Susiya e nell'adiacente villaggio di Wadi Jehesh.
Le mani che hanno consegnato l’ennesima condanna sono quelle dell’amministrazione civile israeliana: l’attuazione di tali provvedimenti implica la totale evacuazione del villaggio.
Il corteo pacifico è partito con l’obiettivo di raggiungere il sito archeologico poco distante, quello stesso sito che, già nel 1986, è stato utilizzato come giustificazione formale al fine di evacuare l’intera comunità palestinese dall’area, in ragione della presenza di alcune rovine di una sinagoga, stratificate insieme a quelle di una chiesa e di una moschea.
Più di 500 persone iniziano ad avviarsi lungo la strada, accompagnate da una colonna sonora di slogan cantanti e tamburi ma, già dopo pochi metri, il cospicuo concentramento di forze armate, schierato per l’occasione, inizia a reprimere il corteo.
Subito vengono sparati gas lacrimogeni e alcune bombe sonore in direzione della folla che viene inoltre fermata da un lungo blocco di soldati e polizia.
Il rapido e caotico susseguirsi degli avvenimenti non ha impedito alle centinaia di palestinesi, israeliani e internazionali presenti di continuare a perseguire l’obiettivo della manifestazione: dimostrare solidarietà e indignazione nei confronti della politica dell’occupazione perpetuata nell’intera area, non solo nel villaggio di Susyia.
Dall’inizio di quest’anno sono stati, infatti, consegnati alla comunità palestinese delle colline a sud di Hebron oltre cento provvedimenti, tra ordini di demolizione e di fermo dei lavori.
La strategia israeliana in Area C, completamente sotto controllo civile e militare israeliano, è quella di impedire lo sviluppo delle comunità locali attraverso un’intensa e continuativa gestione delle attività di pianificazione e urbanizzazione.
Gli ordini di demolizione recentemente consegnati coinvolgono almeno 126 persone, le stesse che ieri erano presenti al corteo, insieme a chi, come loro, rischia di vedersi portare via tutto, la casa, la terra, la dignità di un’esistenza il più possibile normale.
Mentre esercito e polizia cercavano di far indietreggiare con la forza i manifestanti, le donne, figlie, nonne e madri, provenienti dai villaggi di tutta l’area, ballavano intorno ai soldati gridando “basta basta occupazione, Palestina libera!”: quale risposta migliore all’ennesimo tentativo immotivato di repressione, della vitalità di una danza per dimostrare il proprio diritto ad esistere?
Nel primo pomeriggio le persone presenti hanno iniziato a defluire, a tornare nelle proprie case, grotte e tende, nell’aria la consapevolezza che i tentativi di cancellare questi luoghi e la vita delle persone che li abitano saranno ancora molti.
E per ognuno di essi ci sarà un’altra Susyia, perchè i palesinesi continueranno a resistere, come sempre hanno fatto.