Comete nere nel cielo sopra Tuwani

Palestina/Israele

E’ scesa la notte su Tuwani. Esco fuori e mi lascio la pesante porta della casa alle spalle. Dentro, la luce; fuori, io e il buio. Il cielo è colorato da stelle luminose, minuscoli puntini che si rincorrono nella galassia, una delle poche certezze di questo mondo assurdo. Alzo lo sguardo, e mi perdo nell’infinito. Le osservo con minuzia, ad una ad una. Le immagino e le distruggo, le costruisco e le cancello, come un Piccolo Principe in giro per l’universo. Le stelle sono innocenti, brillanti e pure. Quanto contrasto con quello che succede qui sulla Terra.

 

Mi inoltro nell’oscurità sconfinata, e attraverso con lo sguardo ogni singolo puntino luminoso di questa notte stellata mozzafiato. Chiudo gli occhi, non ho bisogno di vedere, le immagini scorrono veloci nella mia mente. I morti di Gaza, i pianti dei sopravvissuti, i volti segnati dalla vita. Come in una proiezione cinematografica. Ma non sono al cinema, non sono seduta su nessuna poltrona. L’unico schermo che ho davanti, qui, è la vita.

Riapro gli occhi, all’improvviso. Appena in tempo per cogliere, nel buio del cielo, una luce flebile. Che si muove, in silenzio. Non è una lucciola, e non è neanche una stella cadente. Indica una via, una rotta, come una cometa. E’ un drone, un marchingegno volante telecomandato, uno dei tanti frutti della nostra tecnologia d’avanguardia, supermoderna e occidentale. Trasporta missili, e porta morte. Lo vedo sfrecciare così nel cielo, indisturbato e silenzioso. Lui, come tanti altri. Lui come tanti altri aerei militari e cacciabombardieri, che invece annunciano il loro arrivo con il tuono rombante del motore. Li sento in lontananza. E li vedo, comete nel cielo sopra Tuwani. Quale notizia annunceranno? Cerco in cielo la risposta e, per un attimo, per un solo istante, mi illudo che tutto questo non sia vero. Ma il rombo assordante mi riporta con i piedi per terra. Ora guardo l’orizzonte, oltre le colline. E’ quella la rotta delle comete di morte, è lì che sono dirette. Si allontanano, indisturbate. Io rimango ad osservare il cielo. Sento il peso sulle spalle, e nel cuore, di tutta la volta celeste.

Ancora una volta sono stata testimone, ancora una volta impotente. Ho assistito al prologo, allo svolgimento e, probabilmente tra poco, all’epilogo di questa tragedia. Una tragedia come tante altre.

Impotente testimone di morte. Impotente, con il naso rivolto verso il rombo degli aerei che cancellano, distruggono, devastano. Aerei che non lasciano scie, ma solo vuoto. E poi, all’orizzonte, il bagliore – lo immagino solo, non lo vedo – e la luce dell’esplosione. Il buio che sanguina, per pochi, eterni secondi.

Mentre li osservo allontanarsi penso che tra poco andrò a dormire, nel mio sacco a pelo, mentre qualcun altro, quasi nello stesso istante, non si sveglierà più. Mentre cerco di non perdere di vista il puntino luminoso sempre più lontano, ma sempre più vicino, penso che qui non serve alcuna sfera di cristallo per predire il futuro, basta guardare il cielo. La guerra è là, all’orizzonte, oltre i minareti di Yatta.

Stanotte non voglio dormire, non posso dormire. Ho visto la morte, e non ho fatto nulla. Sono rimasta a guardare, prigioniera della mia impotenza.

La morte per me non è silenziosa, è un puntino luminoso che porta con sé un rombo assordante. Vola, nel cielo, ma è pesante. Che colore ha la morte, per i Gazawi? Penso a quel missile che ormai il drone avrà sganciato su di una casa qualunque, colpendo una vittima qualunque, in una carneficina senza senso. Quello stesso missile, che mi è passato proprio sopra la testa, ora non c’è più. E qualcuno, in questo momento, sta raccogliendo i frammenti di una vita spezzata tra le macerie di Gaza.

Sento il mio cuore che si frantuma in mille pezzi, come un bicchiere che si disintegra, cadendo, non appena tocca il suolo. Non voglio raccogliere i frammenti, non valgono più di quelli di una vita palestinese. Voglio che il vento li disperda, li porti lontano.

Mentre scrivo mi accorgo di quanto le mie parole siano dure. Ma, almeno con le parole, non voglio lasciare via di scampo: mi voglio inchiodare e vi voglio inchiodare, a vedere quello che sta succedendo, a non voltare lo sguardo verso un altro orizzonte.

Cronache di morte annunciata. Il rombo degli aerei mi rimbomba dentro, mi abita ormai, non mi abbandona. Come fa la vita pur se insensata, assurda, ingiusta e folle, a vincere contro una morte precisa, veloce ed efficiente ?

L’uomo crea la morte, la costruisce, la perfeziona, e la rende letale. Sogno uno specchio, che inchiodi nel proprio riflesso disumano chi sceglie la morte degli altri, chi preme il bottone, chi decide la strategia. Uno specchio che non lasci vie di fuga all’anima.

Stanotte non ho visto la guerra, ma ho sentito la morte. Stanotte, in questo cielo immenso sopra Tuwani, non ho visto stelle cadenti o annunci di liete novelle, ma solo tante, troppe comete nere. Volteggiavano libere nel cielo, portando morte. Come sarà l’alba di Gaza?