Donne disarmanti

Palestina/Israele

E' sabato, giorno di festa per gli ebrei e giornata di azioni nonviolente nelle colline a sud di Hebron. Le famiglie palestinesi che vivono nei villaggi di quest'aerea lottano ogni settimana per far valere il diritto di accesso alla propria terra. Vanno tutti insieme sui loro campi e ne rivendicano il possesso. Vorrebbero coltivarli ma da anni gli è impedito a causa della presenza dei coloni.

Ettari ed ettari di terra sono stati loro sottratti negli anni, ma da quando un villaggio ha scelto la lotta nonviolenta come forma di resistenza e di conquista della giustizia, anche i villaggi vicini lentamente hanno cominciato a risvegliarsi. Hanno iniziato a scoprire che hanno dei diritti e che possono farli valere. Hanno iniziato a scoprire che il metodo più efficace per ottenere la giustizia è questa lotta che non prevede l'uso della violenza e dell'odio.
La nonviolenza è come una medicina omeopatica, spesso non ha effetti immediati sui sintomi, ma da subito inizia a curare tutta la persona. Si inizia dalla consapevolezza dei propri limiti e dei propri punti di forza, ci si ascolta e ci si mette alla prova. Piano piano i frutti si vedono. Il cammino parte da se stessi e inizia proprio a trasformare le persone che lo vivono. Cambiano i rapporti interpersonali, cambia la visione del futuro, cambia il rapporto con il nemico. E infatti qui, in una realtà rurale, musulmana e tradizionale, contrariamente a quello che ci si aspetterebbe, la lotta nonviolenta ha reso le donne protagoniste in prima linea.

La bambina
I soldati arrivano subito e a volte sono già sul campo ad aspettare le persone, immaginando il loro arrivo. Formano un cordone davanti alle persone per non farle passare e per non permettere loro di raggiungere la terra agognata. La soluzione più immediata che l'esercito ha per risolvere la situazione è dichiarare l'aerea "zona militare chiusa", così hanno un pretesto per scacciare le persone e per arrestare chiunque si rifiuti di andarsene. Ci sono le famiglie da una parte e i soldati dall'altra a difendere con le armi una terra contesa. In mezzo c'è una bambina che non si lascia intimidire dai mitra dei soldati. Corre al di là dal cordone, poi torna indietro dalla famiglia e poi di nuovo oltre il cordone. Semplicemente cuce un intreccio che lega i soldati, la terra e la sua famiglia, senza paura.
I soldati armati di tutto punto non sanno bene che fare con questa gonnellina svolazzante che sosta in mezzo a loro sprezzante del pericolo, delle minacce e delle armi. Quindi la lasciano fare. La lasciano andare e venire e sostare, fiera davanti a tutti, nella zona proibita.

Le donne
Le donne sono fisicamente in prima fila. Vengono arrestate meno facilmente degli uomini e per questo si mettono davanti a loro. Si interpongo tra gli uomini e i soldati.
Si posizionano di fronte ai loro figli e ai loro mariti quando rischiano di essere arrestati così come si mettono davanti alle case, ai piloni dell'elettricità o alle moschee quando rischiano di essere demolite.
Oggi un ragazzo è stato preso da un soldato. E' un giovane palestinese che è già stato arrestato durante la scorsa azione. Forse i militari credono di aver riconosciuto in lui uno degli organizzatori, oppure lo vedono semplicemente troppo attivo. Forse pensano che arrestando lui anche gli altri si placheranno e torneranno con calma al loro villaggio. Ma le donne si avvicinano. Dicono al soldato che non è giusto, urlano, schiamazzano, creano confusione. Le più grandi prendono il ragazzo per il braccio, lo portano lontano e vi si parano davanti. Il soldato è frastornato. Non se l'aspettava, non capisce cosa sia successo. Allora il suo sguardo diventa più grave e arrabbiato, cerca di chiarire la sua posizione di autorità. Cerca di far capire chi è che comanda, cerca di imporsi , di spaventare... ma dall'altra parte non sono d'accordo con lui. Le donne non cedono al suo comando, si rifiutano di accettare la sua autorità. Mentre alcune portano via il ragazzo le altre continuano a gridare le proprie ragioni e la propria verità. Il soldato è solo, circondato da donne. Chissà forse è quasi imbarazzato. Forse non vuole mostrare ai colleghi che ha perso il suo "detenuto" a causa di un gruppo di donne. Allora sbuffa, si gira, fa finta di controllare qualcosa, poi raggiunge gli altri, come se nulla fosse. Per oggi ne ha avuto abbastanza.

Le nonne
E poi ci sono le nonne che raggirano i cordoni dei soldati e scattano in avanti. Vanno a reclamare con forza la terra su cui esse stesse sono cresciute. Superano i soldati e si siedono per terra.
Stanno semplicemente sedute disarmate, senza ferire nessuno. I soldati le incitano ad alzarsi a spostarsi, ma esse non si muovono di un millimetro. I militari puntano i loro mitra, ma non sortiscono nessun effetto. Provano a urlare, ma per contro le nonne iniziano a raccontare. Raccontano la storia di quella terra che è anche la loro storia. Stanno sedute e spiegano. Parlano in arabo e non si preoccupano nemmeno di sapere se i loro interlocutori comprendono quella lingua oppure no.
I militari si guardano attorno, cercano l'appoggio dei commilitoni o le direttive dei superiori. Non sanno come affrontare questa situazione. Sono armati di tutto punto, ma di fronte a queste anziane velate sedute per terra con la fronte rivolta verso la bocca del loro fucile, non sanno cosa farsene delle armi, e nemmeno degli ordini che hanno ricevuto. Restano fermi davanti a loro, basiti. Aspettano un nuovo ordine, o forse aspettano di capire. Restano così... disarmati e inermi.

La soldatessa
Poi una soldatessa si stacca dal gruppo. Fissa da lontano un volontario come se volesse parlargli. Dopo qualche secondo in cui gli sguardi si scrutano lui si avvicina. Spesso noi volontari parliamo con i soldati, e spesso ci sentiamo dire le stesse cose: "voi internazionali siete qui solo per provocare, per dire che l'esercito è cattivo, ma come faremmo a sopravvivere senza un esercito? siete amici dei palestinesi, non sapete niente di qui e venite a dirci cosa dobbiamo fare..."
Invece questa volta qualcosa ci sorprende. La ragazza ha parole nuove dentro di sé. Si avvicina e dice "volevo solo dirvi che sono con voi"... e, prima che il volontario riesca a rispondere, la soldatessa riceve un ordine a squarcia gola da un superiore: " non parlare con loro!" e di nuovo lei dice " ecco lo vedi come mi trattano..." poi si allontana. Il volontario è stato colto di sorpresa. Tutte le frasi che si era preparato non sono servite. Ma questa è una sorpresa piacevole, che ha il sapore della speranza. E' bello sentire che la nostra presenza ha creato lo spazio necessario perché una parola nascosta nel profondo potesse prendere vita.
In fondo ci sembra che sia proprio questo il nostro compito qui: permettere che la coscienza umana possa parlare. E' un grande segno di speranza poter dare voce e fiato alle coscienze degli uomini che incontriamo attraverso la voce e il fiato che noi diamo alla nostra coscienza.
Oggi siamo felici.

A volte le azioni vanno così. Si rientra a casa tutti, senza nessun arresto, soddisfatti delle proprie azioni e carichi di soddisfazione per aver conquistato un po' di terra per un po' di tempo.
A volte invece si rientra con un po' di amaro in bocca perché hanno arrestato qualcuno, oppure perché la rabbia ha preso il sopravvento e si è riusciti a controllare i gesti ma non le parole.
In ogni caso la settimana dopo ci si riprova. Ci si confronta, ci si corregge, si vede come migliorarsi e poi ci si riprova... cercando sempre di essere come le bambina, come le donne, come le nonne e come quella soldatessa, così disarmati da disarmare.

Guarda le foto: http://www.operazionecolomba.it/galleries/palestina-israele/2013/donne-disarmanti/

A.