Restare umani o arrenderci

Palestina/Israele

Nel Paese c'è un clima di tensione crescente, attentati quotidiani sia dentro che fuori i Territori Palestinesi. Stiamo forse entrando in una terza intifada stile 2014, dove i sassi lasciano posto ad un'insofferenza che si sfoga in disperati atti di violenza suicida. Dico "stiamo" non tanto perché parlo da qui, ma perché parlo da abitante di questo mondo sempre interdipendente nel bene e nel male.


I soldati con cui ci interfacciamo quotidianamente nelle Colline a Sud di Hebron sono gli stessi che quest'estate erano di stanza a Gaza, noi possiamo solo immaginare gli effetti negativi che questo abbia avuto sulle loro vite attraverso la repressione sempre maggiore che stanno esercitando sui palestinesi e anche sui volontari internazionali.
Il dialogo che questi resistenti ci hanno insegnato a cercare con l'oppressore, che tanto mi ha fatto lavorare su di me trovandomi davanti a specchi in cui non volevo guardarmi, sta divenendo sempre più difficile. Come chiedere ad un soldato di fare al meglio il suo lavoro nello scortare a scuola 10 bambini palestinesi quando quest'estate a Gaza ne ha visti morti e mutilare a migliaia, forse anche per mano sua... e lui in fondo è un 20enne oppresso da un sistema che ha bisogno di guerra per permettere di esistere a tutti coloro che ne fanno parte.

Questa settimana io ed altri due volontari di Operazione Colomba siamo stati stati violentemente arrestati, in gesti e parole, dopo una demolizione in un villaggio palestinese-beduino a cui vogliamo bene, per poi essere rilasciati a tarda notte con un foglio di via per due settimane dalle Colline a Sud di Hebron. Violenza cieca e inutile poiché noi non ci arrendiamo, continuiamo a stare al villaggio con una maggiore attenzione nel confronto con le forze israeliane.

I palestinesi con cui viviamo, che da più di 10 anni portano avanti una scelta di resistenza popolare e nonviolenta, certo si interrogano molto sul significato che sta avendo la loro scelta oggi. "La nostra scelta non sta portando risultati ora come un tempo, anzi, le forze armate e i coloni israeliani se ne approfittano sapendo che da noi non avranno risposte violente ai loro abusi. Questo mi fa impazzire" ci ha confidato un palestinese qualche giorno fa. Nonostante i crescenti dubbi, i sensi di colpa che ti porta  la violenza anche e soprattutto se ti viene inflitta, vedo questi uomini e queste donne far rinascere un fiore in questo deserto.
Il comitato popolare che si prepara  ad azioni nonviolente nuove ogni sabato, che si scervella per far si che nessuno si senta solo, le donne della cooperativa che riprendono il loro progetto di collaborazione con donne israeliane, un progetto fermato d'estate a causa della guerra a Gaza, gli adolescenti che ciondolano intorno a casa nostra che si stanno responsabilizzando sulla comunicazione e usano nuovi canali come facebook con precisione ed impegno crescenti, anche chi ci usa per sfogarsi... così che poi per qualche ora almeno si possa tornare a ridere insieme più leggeri.

Da parte nostra, qualcuno ci ha detto "siete colombe si, ma non è che potete volarvene via come volete". E' vero, perché ci tarpano le ali con violenze sempre più dirette a noi, come se non bastassero quelle dirette ai palestinesi e a noi di rimbalzo, e perché siamo uomini e donne e i piedi stanno sulla terra.
Ma dico che fino a che i piedi staranno saldi su questa terra in cui scegliamo di credere e il cuore e la mente proiettati a quell'orizzonte infinito, che è la giustizia, la pace e la nonviolenza, che ci chiede di essere rincorso, non ci sarà bisogno di altre ali per essere colombe.

Dalle parole di un palestinese dopo le ripetute demolizioni nel villaggio di Um Al Kher: "It's a challenge of humanity. Now and here we decide if we want to stay human or to give up". E' una sfida di umanità. Qui ed ora decidiamo se restare umani o arrenderci.

Le colline a sud di Hebron, el jabel janoub Al Khalil, (r)esistono. E noi con loro.

un abbraccio

S.