Running free

Palestina/Israele

Uscire per fare una camminata, una corsa, magari un po' di jogging la mattina per tenersi in forma, sono attività che paiono innocue nella loro quotidianità; ma se si vive in un territorio occupato, dove la vita è scandita da luoghi dove si può o non si può andare, le cose possono cambiare drasticamente.

Ed ecco che una mattinata estiva può diventare un'occasione per comprendere appieno l'assurdità di una situazione che imprigiona occupato e occupante, dove la paura e la rabbia di un popolo vengono messe a dura prova da due coloni che, come per caso, si trovano a passare nel mezzo di un villaggio palestinese.
Per chi viene cacciato da quando ha memoria dalle proprie terre, per chi ogni giorno vede limitata la propria libertà di movimento, per chi non ha la tranquillità di tornare a casa da scuola e ha bisogno di una scorta, trovarsi due persone che in pantaloncini e maglietta si fanno una corsetta può essere troppo da sopportare.
La nonviolenza è un valore che viene messo alla prova ogni giorno in maniera diversa e imprevedibile, che va coltivato e che può portare alla comprensione dell'altro. Anche quando l'altro in questione non si pone minimamente questo problema.
Non ci può essere riconciliazione senza perdono, non ci può essere perdono finché non cesseranno le ingiustizie. Voler correre dentro un villaggio può essere un enorme ingiustizia se qualcuno questa corsa non la può fare: un palestinese che volesse correre nella strada di una colonia, se anche riuscisse a superare le reti di sbarramento messe a protezione di questa, sarebbe come minimo arrestato; per un colono correre all'interno di una recinzione può avere lo stesso significato dell'ora d'aria di una prigione dove egli stesso si è voluto rinchiudere, che è una situazione altrettanto alienante.
Palestinesi e coloni vivono fianco a fianco, ma sono separati da distanze incalcolabili usando un metro e inconcepibili se non si è qui a vedere e provare a capire.
Aiutare diventa difficile in situazioni come queste, provare a spiegare lo è ancora di più; resta lo sconforto di sapere che nessuno qui è libero di correre trovando nuove strade, ma anche la convinzione che grazie alla resistenza quotidiana, un giorno le strade saranno di tutti e per tutti.
Così la speranza di un popolo di vedersi finalmente libero si specchia nella violenza di chi gli vive affianco senza provare a comprenderlo, mentre il fittizio bisogno di sicurezza di chi si barrica dietro il proprio odio prevarica la capacità di capire che un muro non può essere mai una medicina e che se si sceglie di rinchiudersi dietro reti e barricate non si può poi pretendere di poter correre dove si vuole.

Fra