Quel bambino che correva

Palestina/Israele

La sveglia suona, parte la musica e con un po' di fatica ci si alza in fretta.
Sono le 6.25 e il sole è ancora basso, un caffè al volo.
Eccomi qua seduta sulla solita pietra, la camera puntata verso l'avamposto in attesa che i bambini compaiano.

L'attesa si fa più lunga, l'esercito è  in ritardo.
Guardo la strada e come ogni mattina vedo il bus verde passare, ed eccolo comparire con la sua cartella. Quel bambino che vive nella colonia di Ma'on tutte le mattine è in ritardo, corre affannosamente per raggiungere la scuola. Cerco di riconcentrarmi per l'attesa dei bambini che devono raggiungere Tuwani, eppure il mio pensiero ritorna a quel bambino che correva.
Mi chiedo come sia la sua vita, a cosa possa pensare nel vedermi tutte le mattine lì seduta su una pietra ad aspettare.
Quando finalmente vedo i bambini comparire tutti i pensieri svaniscono.
I soldati camminano lenti, mantengono la distanza dai bambini e fingono di non vedermi.
Anche questi bambini corrono affannosamente, una canzone risuona nel villaggio di Tuwani, è la canzone che preannuncia l'inizio della scuola.
I bambini sono in ritardo, con il loro grande sorriso mi salutano e riprendono la corsa verso la scuola.
Torno anche io verso il villaggio e ripenso ai tempi della scuola, alla spensieratezza con cui io potevo percorrere la strada che andava da casa a scuola.
Il pensiero di quel bambino che corre affannosamente ogni giorno non mi da tregua, vorrei dirgli che c'è un'alternativa, vorrei dirgli che il mondo non è tutto dentro quel filo spinato e quelle barriere.
Che quando sono arrivata qui ho capito che tanti concetti che ritenevo morali sono immorali, che erano solo convenzioni umane fabbricate e imballate dalla prepotenza di uomini-oppressori.
Vorrei potergli dire che avevo paura anche io, ma che ora non ne ho più perché le "leggi del mondo" che avevo accettato per non essere diversa ora non fanno più parte di me.