Finché non ho visto...

Palestina/Israele

Arriva il vento della sera a spazzare un po' delle nubi della giornata.
Quando arrivi in casa e ti puoi togliere gli scarponi e sai che inshalla questa giornata è finita.
Il rettangolo della porta di casa incornicia i bimbi che giocano a piedi nudi sui sassi, le case che si confondono con i gradoni della collina. Tutto è indaco, quasi pacifico. Ma cosa è successo prima?
Prima di questa tregua protetta dal canto della moschea.

Ci si sveglia alle 6, i bambini vanno a scuola e bisogna controllare che i soldati si presentino e li scortino per quel tratto di strada che separa il loro paesino dalla scuola e che, coincidenza, passa proprio fra la colonia e l'avamposto.
Nel passato quando i bambini attraversavano quella strada puntualmente venivano attaccati dai coloni. Attaccati, che in gergo da campo significa rincorsi e picchiati con spranghe di ferro.
Ora con la scorta non succede quasi più, ma i coloni si arrogano comunque il diritto di urlare e insultarli. Ho sempre avuto paura di trovarmi in situazioni di tensione, finché non ho visto un bambino di dieci anni correre, cadere, alzarsi e correre ancora verso di me, terrorizzato dalle urla del colono. Il loro spavento e poi il loro sollievo nel vedere che eravamo lì con loro è stato quello che mi ha fatto sollevare la telecamera e puntarla verso il boschetto dell'avamposto.
E sono solo le dieci.
Poi si accompagnano i pastori in valle. Ma più che le valli sono le colline che mi preoccupano. A perdita d'occhio solo curve di sassi e cespugli bassi di rovi, un quadro impressionista, solo che al posto dei blu e dei verde brillante ci sono tutte le variazioni del marrone: marrone terra, marrone foglia, marrone secco, marrone caldo, marrone militare, marrone del mio cuore.
Queste gobbe ispide s'interrompono contro un cielo spietato, azzurro, tagliato dai raggi del sole, solcato da nuvole di burrasca o velato dall'afa di quei 30 gradi di inizio estate. Qui inizia l'appostamento, sotto il sole, la pioggia, il vento (o tutte e tre le cose insieme) a controllare che i coloni non vengano a dare fastidio ai pastori, o che non chiamino l'esercito. Si sta in due, occhi stretti a scrutare le colline:
"Legolas, cosa vedono i tuoi occhi da elfo?"
"Boh, io non vedo niente!"
"Ma dai, quel gruppo di pecore là in fondo….vedi quei puntini che si muovono?"
"Non sono sassi quelli?"
"Ma no! Si muovono! Guarda un po' più a destra, sulla cresta della collina, superato il secondo monte dopo la valle che i pastori fanno sempre, dopo il terzo gradone vicino a quel sasso dalla forma un po' più sassosa degli altri! Ora li vedi?”
"Io non vedo niente!!!".
La sera si dice una preghiera per l'inventore del collirio.
Sempre sull'attenti, sempre vigili.
Quando hai attimi di cedimento ti viene da pensare a come sarebbe bello stendersi su uno di quei bei massi bianchi a prendere il sole, con il vento che ti culla e i canti degli uccellini che si rincorrono.
Poi ti ricordi che non sei in un Paese normale, niente di ciò che ti circonda è normale, non puoi metterti a prendere il sole con gli elicotteri che volano sempre più bassi fino a entrare nelle valli, non hai tempo di ascoltare il canto degli uccelli quando le orecchie sono tese a captare ogni rumore, dagli aerei militari, alle detonazioni delle bombe da esercitazione qualche valle più in là, alle voci dei coloni.
Se tutto va bene e non ci sono checkpoint serali o emergenze, si può tornare a casa a godersi un po' di riparo dal vento e magari un tè con le famiglie.
I piedi sono callosi e rossi di vesciche; le gambe, le spalle, la schiena, indolenziti dalle camminate, dagli scatti improvvisi e dalle ore seduti nella polvere; gli occhi lacrimano e la pelle brucia, ma nonostante la fatica, nonostante il sonno che tende agguati meschini, il cuore è aperto.
Il vento della consapevolezza che ci passa attraverso ti sussurra che per quanto tu possa essere stanco, arrabbiato, frustrato, il popolo di Tuwani avrà sempre sopportato più di te.
La forza che vedi in loro è anche la tua forza, l'esempio che loro ti danno diventa anche il tuo.
E' questa la Resistenza.
La vedi negli occhi dei bambini che imperterriti continuano a giocare e ad andare a scuola.
Io non rinuncio alla mia infanzia per te, anche se mi arresti e ho solo 14 anni, anche se mi insulti mentre sto andando a scuola, anche se mi tiri le pietre, io gioco lo stesso, rido lo stesso, immagino lo stesso.
Immagino un mondo dove mio padre possa portare le pecore dove vuole senza che nessuno gli dica niente, immagino un mondo dove a mia madre non debbano tirare su il velo ai checkpoint e dove le strade possano essere percorse da tutti.

M.