Perché?

Palestina/Israele

Il primo consiglio che ho ricevuto appena arrivata qui è stato: "non farti troppe domande".
La domanda che aveva motivato questa risposta era stata: "perché c'è una sedia abbandonata fuori dalla nostra porta?". Dopo pochi giorni ho capito che non esiste consiglio più prezioso di questo e che qui si rischia di impazzire se ci si interroga su ogni cosa apparentemente priva di senso che si vede.

Eppure, anche se ormai è passato un mese, non riesco a smettere di sorprendermi.
Quando sono seduta sul divano con un tè in mano e vedo, dalla nostra porta sempre aperta, passare una gallina, un tacchino o un gregge di pecore che corrono. Quando, sempre sulla stessa porta, vedo un asino che cerca di entrare in casa.
Perché c'è un gregge che corre davanti alla porta? Perché c'è un asino libero che cerca di entrare in casa?
Ogni volta mi sento come una bambina e non posso fare a meno di scoppiare a ridere.
Mi sento come M., che è davvero una bambina, e che quasi ogni giorno entra in casa, si siede al tavolo e inizia a comporre un puzzle, sempre lo stesso puzzle.
Quando M. trova due pezzi che combaciano mi guarda e ride, come se quei due pezzi non fossero esattamente gli stessi due che aveva incastrato il giorno prima. Come se alla fine l'immagine composta non fosse sempre quella. Ogni giorno c'è la stessa sorpresa nei suoi occhi ed è lo stesso per me. Avrei dovuto abituarmi al fatto che non ci sia nulla di strano se un asino si affaccia alla porta, invece non è così. Questa è una porta su un mondo che non conoscevo e non c'è bisogno di cercare una logica per tutto, basta godersi ogni singola scena e, perché no, ridere di gusto quando qualcosa di bizzarro accade, senza farsi troppe domande. Ed è bello così.
I veri problemi iniziano quando si esce fuori di casa e ci si guarda un po' intorno, senza bisogno di andare troppo lontano dal villaggio.
Perché c'è un ragazzino con un arma in mano? Perché un uomo ritiene che due pastori minorenni costituiscano un pericolo e perché scende dall'auto armato per intimidirli, minacciando di chiamare la polizia? Perché al check point di entrata in Israele solo i cittadini palestinesi devono scendere dall'autobus ed io, italiana, posso rimanere comodamente seduta? Perché quei coloni hanno così tanta paura da vivere autoreclusi dentro le proprie recinzioni?
Sembrano essere loro i veri prigionieri di tutta questa storia. A volte si vedono delle donne correre come criceti all'interno della loro gabbia. Se solo provassero ad uscire forse capirebbero. Capirebbero, forse, che K. non è una minaccia.
La seconda volta che sono stata in casa di K. questa, da buona mamma preoccupata, mi ha sommersa di coperte di lana, perché gli ajaneb (gli stranieri), dice lei, si ammalano sempre. E nel frattempo la sua bimba si era addormentata e K. la cullava tenendola in braccio ed il suo velo, quello stesso velo di cui tanto ci piace discutere in Europa, era diventato una copertina per la sua bambina, che solo così trovava la giusta riparazione per dormire in mezzo a tutte le persone che rumoreggiavano intorno. Quel giorno non potevo fare altro che chiedermi perché K., suo marito o i suoi figli, dovessero essere considerati a prescindere dei potenziali pericoli, solo perché palestinesi o solo perché musulmani. Per ora non ho trovato una risposta sensata a questa domanda.
Qui è pieno di leggi, vere o fantomatiche, che impongono determinati comportamenti e ne vietano altri, eppure non ci sono diritti ed è tremendamente assurdo vedere quanto questo influisca sulla vita di persone in carne ed ossa.
Come A., che ogni giorno si deve alzare alle 3 di notte per andare a lavorare in Israele, a causa dei check point infiniti che altrimenti lo farebbero arrivare tardi al lavoro; come J., che ha 6 anni e arriva a scuola scortato da un gruppo di estranei armati, sempre stringendo la mano di sua sorella; come S. che vuole far pascolare le sue pecore su quella terra che sarebbe sua, ma forse non è più sua, perché come dicevo non c'è Diritto e ormai in realtà a S. non interessa nemmeno più se la terra è sua o non è più sua, gli basterebbe poter vivere senza la paura di essere arrestato, minacciato o picchiato. Gli basterebbe vivere in pace.
Eppure le persone da qui non se ne vanno, non vogliono farlo, dunque non possono far altro che resistere con pazienza, giorno dopo giorno; come M. ed il suo puzzle, come H. e le pietre che toglie una ad una per preparare la terra da arare.
E intanto aspettiamo tutti la pioggia e tempi migliori, continuando a chiederci perché.

B.