Training nonviolento a Tuwani

Tuwani, 14 ottobre 2007

Si è svolto a Tuwani domenica 14 ottobre 2007 il sesto ed ultimo degli incontri sulla nonviolenza e riconciliazione, finanziati dal fondo Partnership for Peace dell’Unione Europea,.

Gli ospiti della giornata erano Peter Hammerle e sua moglie Garlinde, entrambi austriaci. Due persone molto semplici ed umili, hanno voluto conoscere i villaggi, le persone, i problemi e le potenzialità della zona, prima di mettersi in cattedra e parlare di nonviolenza.

Infatti Peter e Garlinde sono scesi a Sud di Hebron il giorno prima l’incontro, hanno visitato Tuwani, Ummfakkra, Qwawiss, Imnesil e Susya. E’stato un bel briefing, anche se accompagnato da una bruttissima notizia: quella mattina era morto un padre di famiglia di Ummfakkra... 40 anni e 13 bambini. Domenica mattina c’erano una sessantina di persone, compreso i due team internazionali della zona, i Christian Pacemaker Team ed i Michigan Pacemaker Team. Peter Hammerle ha condotto un incontro a metà tra una lezione ed un laboratorio, infatti ha richiesto più volte la partecipazione dei presenti. Peter e Garlinde prima si sono presentati personalmente, poi hanno toccato i seguenti temi.

Gandhi sosteneva che ci sono tre possibili reazioni ad una situazione di violenza/ingiustizia/conflitto:

- Passività - cioè non fare nulla o scappare;
- Contro violenza – reagire usando gli stessi mezzi degli avversari, è già meglio che non fare nulla. E’ una reazione normale, profondamente radicata in tante culture. Il problema è che usare la violenza per sconfiggere l’ingiustizia richiede essere almeno tanto forte quanto l’avversario. Poi questa reazione innesca una spirale ed una escalation di violenza in quanto fornisce le scuse, le ragioni per essere ancora violenti.
- Nonviolenza attiva – Gandhi la chiama terza via tra passività e violenza. Non è solo rimozione della violenza, ma anche una proposta alternativa. Nelle rispettive lingue la parola italiana nonviolenza assume sfumature differenti: per Gandhi era la forza/il potere della verità, per MLK la forza della giustizia, per entrambi la forza dell’amore.

Cosa è dunque la nonviolenza attiva? E’ lotta per la giustizia e la pace, basata sul principio di dignità di ogni essere umano come valore inviolabile, e sul principio che ogni uomo ha radicata in sé la coscienza che permette di distinguere il bene dal male. Quindi la nonviolenza attiva è una attitudine di vita e non solo un metodo oppure l’unica strategia rimasta.

Tra le caratteristiche della nonviolenza attiva c’è la democraticità, in quanto tutti possono prendere parte alla lotta nonviolenta, senza limiti di età, sesso, religione. Poi la nonviolenza attiva è creativa poiché porta a trovare forme di resistenza diverse da luogo a luogo, da cultura a cultura.

Peter chiede al pubblico quali potrebbero essere le risorse per una lotta nonviolenta qui in Palestina.

Poi Peter riassume quanto detto fin’ora mostrando la maglietta che indossa. Maglietta della associazione Wi’am di Betlemme, membro anch’esso dell’IFOR.

L’azione nonviolenta richiede una previa e profonda analisi del contesto, può chiamarsi preparazione. Anzitutto la formazione di gruppi di analisi, che guardino e ricerchino con verità le cause dell’ingiustizia. Sia cause in campo nemico, sia quelle in campo amico e che aiutano a mantenere il sistema di ingiustizia. Peter paragona l’ingiustizia ad un cono ( V ) che sta in piedi in equilibrio molto instabile, dunque perché si possa mantenere ha bisogno di pilastri che lo sostengano, sia a destra che a sinistra. Peter chiama sei ragazzini per mostrare visivamente questa idea, poi chiede al pubblico quali sono i pilastri che sorreggono l’ingiustizia in Palestina.

Peter invita anche a individuare i pilastri dalla parte palestinese... e la gente produce delle ottime analisi.

Poi l’azione nonviolenta utilizza soprattutto il canale del dialogo. Dialogo basato sulla verità, ricercare la propria verità, e quindi ammettere i propri errori; ricercare la verità dell’altro, e quindi anche gli altrui pregi. Ma spesso il dialogo fallisce o non è possibile. Quindi il dialogo ha bisogno di essere provocato.

L’azione nonviolenta ha dunque tre obiettivi:
- portare l‘ingiustizia a conoscenza di un pubblico più vasto,
- guadagnarsi altro supporto,
- creare spazio per tornare al dialogo.

Quindi azioni pubbliche, azioni simboliche, azioni economiche. Peter ha citato l’esempio del villaggio di Larzac, quando i contadini del Sud della Francia hanno portato 100 pecore a pascolare sotto la torre Eiffel, mostrando i manifesti di opposizione alla costruzione di una zona di esercitazione militare sulle loro proprietà. Ha portato anche l’esempio del boicottaggio dei prodotti degli Afrikaner in Sud Africa.

Ha ricordato che l’arma più forte è la disobbedienza civile o non cooperazione con l’ingiustizia, anche con l’ingiustizia istituzionalizzata.

Infine l’azione nonviolenta deve portare anche una proposta positiva. Peter ha portato a esempio le
”comunità di pace” in Colombia. Piccoli villaggi che hanno rifiutato la collaborazione con l’ingiustizia a carissimo prezzo. Rinnegando ogni rapporto con le bande dei narcotrafficanti, contro i paramilitari e l’esercito governativo, ed esponendo diversi cartelli fuori dal villaggio “qui non entrano le armi”.

Il pubblico è rimasto molto colpito dalla chiarezza e semplicità degli esempi portati. Esempi di vite simili alle loro. Tanto che dopo la conclusione dell’incontro si sono avvicinati anche gli uomini più scettici per fare domande.