La zia diventa emerita

Cominciamo col dire che il mio profilo non corrisponde affatto a quello di una volontaria-tipo della Colomba; innanzitutto perché non sono giovane, anzi sono piuttosto attempata, poi perché sono assai individualista. Il che significa che due anni fa, prima di partire, sia io che soprattutto i coordinatori del Progetto eravamo un po' preoccupati.
L'idea di condividere per 24 ore al giorno uno spazio piccolo e non molto confortevole con persone sconosciute e per giunta giovanissime, mi sembrava un ostacolo molto difficile da affrontare.

Al tempo stesso però, fin da quando - diversi anni fa - avevo sentito parlare di un villaggio palestinese in cui i bambini venivano accompagnati a scuola da una scorta militare israeliana e da volontari che monitoravano tutta l'operazione, avevo pensato che quello era il posto dove volevo andare. Forse perché sono (stata) un'insegnante e penso che la scuola sia un diritto di tutti. Forse perché mi sembrava surreale che per consentire a 10-12 bambini di andare a scuola senza essere minacciati e picchiati da coloni israeliani, si fossero dovuti smuovere parlamentari, magistratura, esercito e un nutrito gruppo di volontari. E mi domandavo perché non fosse stato possibile impedire semplicemente una volta per tutte a quei coloni di aggredire i bambini.
Sta di fatto che per queste ragioni e forse anche per altre, lo school patrol era diventato da molto tempo il mio sogno nel cassetto (detto con un po' di autoironia).
E allora sono partita una prima volta per un mese, poi un'altra volta e poi ancora una volta. E adesso mi posso definire anch'io una veterana di Tuwani: ho visto l'autunno, la primavera e l'estate su queste colline che sembrano segnare il confine del mondo. Ho imparato a vivere nella piccola, spartana dimora delle Colombe e ho cominciato ad apprezzare la compagnia dei miei giovani "nipoti" e lo scambio di idee, pratiche ed emozioni che riempiono le nostre giornate.

E lo school patrol da Tuba a Tuwani è tutta una storia più da vivere che da raccontare: le levatacce mattutine, l'attesa della scorta militare troppo spesso in ritardo, i messaggi da inviare agli altri due volontari sulla collina o al "gate", quella sorta di codice cifrato per comunicare velocemente qualunque cosa, e poi i bambini delle elementari che escono prima e aspettano l'arrivo dei più grandi nella casa della Colomba, colorando, disegnando o facendo i compiti. E quando la scorta proprio non viene, allora sono i volontari ad accompagnare il gruppo per una strada più lunga e meno pericolosa.
In due anni, ho visto cambiare molto il gruppo: un bambino è passato dalle elementari alle medie e tre ragazze sono passate dalle medie al liceo, alcuni piccolissimi hanno cominciato quest'anno la prima; due ragazzi grandi che erano un po' il collegamento fra il gruppo e noi volontari, perché parlavano bene l'inglese e avevano il telefono, hanno finito il liceo e si sono iscritti all'università. Il ragazzino che due anni fa prendeva con le mani gli scorpioni, li metteva in una bottiglia di plastica e con gesto di sfida me la metteva sotto il naso per vedere se avevo paura, adesso è diventato il capogruppo che parla inglese, ha il telefono per tenersi in contatto con noi, tiene calmi i piccoli quando la scorta si fa aspettare più di un'ora e loro hanno fame e sono stanchi, facendoli giocare a nascondino sotto gli alberi.
E io ho l'impressione di fare una piccola cosa utile.