Un matrimonio a Tuwani

In questi giorni ho assistito al mio primo matrimonio palestinese ed è un evento che difficilmente dimenticherò.
Qui i matrimoni durano 3 giorni e sono caratterizzati da musica, balli e tanto cibo; in una parola, festa!
È solo alla fine dei tre giorni di festeggiamenti che gli sposi vengono riconosciuti come tali.
Il passaggio in moschea per la firma dei documenti viene fatto anche un paio di settimane prima, alla sola presenza degli sposi e dei loro genitori, senza venire particolarmente valorizzato.
Qui il matrimonio viene visto come un’unione tra persone, senza l’elemento religioso tipico del matrimonio cristiano, celebrato in chiesa.
Le famiglie degli sposi festeggiano separatamente: noi siamo stati invitati come parte della famiglia “allargata” dello sposo, che festeggia in quella che poi sarà la casa della coppia.

Noi ragazze ci siamo accomodate nella zona delle donne, che si trovava ad un piano di distanza da quella degli uomini; un piano che sembrava un mondo intero!
La stanza in cui siamo entrate era piena di musica, colori e vita!
Essendo una festa di sole donne, alcune delle invitate erano senza velo e diverse ragazze portavano vestiti occidentali.
Tutte erano vestite da festa e molti abiti erano davvero bellissimi, soprattutto quelli tradizionali, pieni di ricami e dai colori sgargianti.
Appena entrate, noi “nuove” abbiamo cercato di individuare la sposa tra la miriade di abiti e di corpi in movimento, cercando nello stesso tempo di non essere di intralcio e seguire chi camminava davanti a noi: più facile a dirsi che a farsi.
Una volta sedute ci hanno spiegato che, essendo quella la festa organizzata della famiglia dello sposo, la sposa sarebbe arrivata solo il pomeriggio del terzo giorno, quando lui sarebbe andato a prenderla.
Osservando la sala dalla mia posizione sono rimasta incantata dai colori e dai movimenti delle ragazze e delle donne che ballavano sui ritmi di musiche arabe, tradizionali e contemporanee; si muovevano con una grazia e fluidità che io non potrei nemmeno sognare: percorrevano cerchi immaginari, ridendo e cantando ad alta voce.
I vari gruppi di danza che si susseguono al centro della pista non si creano casualmente, ma vengono decisi dalle donne della famiglia, che vanno a prendere le singole persone ai loro posti e le portano, o trascinano, a seconda dei casi, nello spiazzo lasciato libero dalle sedie.
Tutte le donne devono ballare almeno una volta, e anche noi ajnabin (come amichevolmente ci chiamano qua: straniere), nel rispetto di questa tradizione siamo state trascinate al centro della pista e degli sguardi, per fortuna insieme alle donne della famiglia che conosciamo meglio.
La canzone degli ajaneb è Despacito e quindi via, tutte a ballare, ovviamente con i nostri vestiti da campo, la camera a tracolla e non riuscendo lontanamente a muoverci come loro: posso immaginare le risate che si sono fatte a vederci così!
Una cosa che mi ha colpito molto è la presenza di bambini e bambine, tantissimi e anche piccolissimi: anche loro erano parte della festa, coinvolti nelle danze e passati di braccia in braccia, anche in quelle di bambine poco più grandi di loro.
Quando diventavano troppo stanchi venivano appoggiati sui materassi distribuiti in fondo alla sala a dormire, senza troppi pensieri.

Ovviamente durante la serata abbiamo anche mangiato, e tanto anche!
Il cibo è stata una delle costanti di questi giorni di festa, insieme alle chiacchiere con le beneet (ragazze) e alla miriade di facce e nomi nuovi.
Nei giorni precedenti alla festa, ma anche durante, le donne della famiglia passano tantissime ore a cucinare, principalmente maglube, un piatto tipico a base di riso e carne (manzo o pecora).
Il terzo giorno siamo andate a vedere la sposa: eravamo troppo curiose!
Lei era seduta su di una specie di piano rialzato e visibile da ogni angolo della sala, grazie anche al suo sfarzoso vestito bianco.

Ad un certo momento i familiari dello sposo, a coppie, sono andati a porgere le congratulazioni ai neosposi, e i familiari più stretti hanno ballato tutti insieme.

Un episodio molto emozionante è stato quando, al termine di una specie di rituale fatto dalla sposa, il marito le ha tolto il velo e le ha baciato la fronte, il tutto seguito da grida e applausi.
Questa scena mi ha fatto riflettere su come a volte un gesto semplice, anche banale, possa racchiudere in sé più emozioni e significati di quanti noi siamo abituati a pensare e ad attribuirgli.
La serata è continuata con musiche, balli e tante risate.
Questa è solo una faccia dei festeggiamenti, ma è l’unica che noi abbiamo visto e vissuto. Rimane un po’ la curiosità di sapere cosa sia successo al piano superiore, dal quale arrivava l’eco di altre canzoni.