Gerusalemme è proprio una bella città

Gerusalemme è proprio una bella città
Piena di palazzi arabeggianti, piena d’arte.
Gerusalemme racchiude tre delle religioni monoteiste più importanti del mondo.
A Gerusalemme tutti pregano, vi è una grande spiritualità.
Camminando per le strade puoi vedere pellegrini che percorrono la via crucis, ebrei che, arrivati da tutto il mondo, si inchinano di fronte al simbolo della loro fede e musulmani racchiusi nei loro vestiti multicolor che rivolti verso la Mecca si inchinano più, più e più volte.
Tutti pregano il solo Dio che prende tanti nomi e che per ognuno ha tante sfaccettature diverse.
Gerusalemme per molti è la città santa, per altri città d’arte da visitare, per altri ancora casa propria.
Gerusalemme è una città con il proprio cuore racchiuso tra le mura della città vecchia.
Gerusalemme è una città multietnica.
Gerusalemme è proprio una bella città.

E ti ci puoi perdere nella sua bellezza.
Questa potrebbe catturarti e far si che tu diventi cieco.
Gerusalemme è il sipario che cela il retroscena al pubblico.
Un pubblico in visibilio ed eccitato dallo spettacolo.
Un pubblico troppo occupato dalla copertina per poter sfogliare l’intera brochure.
Gerusalemme è meno bella vista dai checkpoint.
Le passerelle che separano il palco dal dietro le quinte.
Puoi percorrerli sia a piedi che in autobus.
In entrambi l’aria di apartheid è esplicita.
Se decidi di percorrere quello a piedi, unica scelta che a volte si ha, devi avere la fortuna di beccare gli orari giusti per evitare di aspettare ore e rimanere bloccati all’interno di corridoi studiati ad hoc per non far passare l’aria quando c’è troppa gente.
Se lo percorri in autobus, un gentile soldato fa scendere dall’autoveicolo tutti i passeggeri palestinesi, li fa mettere in fila a uno per uno e ne spulcia il permesso.
E sì, perché devi avere il permesso per poter salire sul palco.
Difficile da ottenere e difficile mantenerlo.
Ma questa è un’altra storia.
Gerusalemme è meno bella vista dai checkpoint.
Gerusalemme è meno bella vista dai balconi delle case occupate nel quartiere arabo.
Entrando dalla porta di Damasco, nella città vecchia, ti ritrovi nel quartiere arabo.
Un quartiere che ti riempie con i suoi colori, sapori e odori.
Passeggiando per le vette tanto strette quanto abitate, alzi la testa al cielo e tra i colori sgargianti dei teli intravedi fazzoletti azzurri.
Alcuni sono pezzi di cielo, altri sono bandiere israeliane.
Bandiere che vengono esposte come simbolo di conquista, come quando il primo astronauta ha messo piede sulla Luna.
Una bandiera per dichiarare un’appartenenza.
La conquista in questo caso sta nell’aver sfrattato, probabilmente nel cuore della notte, una famiglia dalla propria casa; nell’aver strappato dal proprio letto, nel cuore del sogno, bambini e genitori, costretti a raccattare ciò che riuscivano e ad abbandonare il proprio nido, in nome di una nazione che trascina i bambini fuori dalle loro case e dalle loro vite.
Gerusalemme è meno bella vista dai balconi delle case occupate nel quartiere arabo.
Gerusalemme è meno bella vista attraverso gli occhi di un padre che insegna la violenza a suo figlio.
Uscendo dal quartiere arabo, si entra in quello ebraico.  
Nel primo i poliziotti tengono sotto il microscopio tutti i passanti, nel secondo ragazzini di diciotto anni passeggiano leccando un gelato con un mitra al collo.
Sono ragazzini delle leve militari, probabilmente di ritorno dall’addestramento. Passeggiano come se avessero al collo uno di quei grandi e pesanti medaglioni da rapper, solo carico e con la capacità di uccidere.
Camminano come se il peso che hanno sul collo non ci fosse davvero.
Ragazzini ai quali viene insegnato che tutto questo servirà loro per costruire la pace, che quel mitra difenderà la loro famiglia e che grazie al loro lavoro vivranno liberi e felici.
Miei coetanei che vengono spediti come pacchi esplosivi nei territori occupati, luoghi in cui si ricorderanno la lezione dei loro padri: che è necessario dimostrare di essere più forti per poter vincere, che la violenza di ora porterà alla pace di domani.
Gerusalemme è meno bella vista con gli occhi di un padre che insegna la violenza a suo figlio.
Gerusalemme è meno bella vista da Betlemme.

Betlemme è la città della nascita di Gesù per molti, per altri grande città dove far festa e fumarsi un narghilè ogni tanto.
Città dei duemila matrimoni che quotidianamente riempiono le vie di botti a causa degli altrettanti duemila fuochi d’artificio.
Botti che il venerdì si trasformano in quelli sparati dall’esercito durante le manifestazioni verso il muro.
Il muro è quello spesso tendone rosso che separa le due città.
Rosso perché macchiato del sangue di numerosi palestinesi.
Un tendone fatto di toppe e che nel corso degli anni è stato decorato da centinaia di cartoline lasciate in ricordo dai migliori street Artist del mondo.
Come Jorit, street Artist napoletano arrestato dopo aver reso omaggio con la sua cartolina migliore ad Ahed Tamimi, un’eroina che non indossa né velo né armatura, ma che ha fatto tremare molti di coloro che sono seduti sulle poltrone dall’altro lato del tendone.
Betlemme è quella città nella quale l’acqua può finire da un momento all’altro.
Betlemme è circondata da undici colonie israeliane, e questo fa si che tutta l’acqua che arriva in città debba per forza passare per le mani di Israele.
Stato che, goccia dopo goccia, fa pesare tutta l’acqua che grazie alla sua gentile concessione entra in città.
Gerusalemme è meno bella vista da Betlemme.
Gerusalemme è una città meravigliosa.
Gerusalemme è proprio una bella città, un po’ come quegli spettacoli eccezionali, ma esclusivi allo stesso tempo.
Uno di quegli spettacoli che solo seduti in platea o dal centro della scena sul palco puoi goderti.
Gerusalemme è una di quegli spettacoli a cui solo chi ha il biglietto giusto può parteciparvi.