Pensieri

Eccomi qui, di nuovo in Italia.
Pensavo di aver trovato gli strumenti giusti per gestire anche questo ritorno dopo mesi in Palestina. Eppure, è sempre così difficile tornare alla propria quotidianità, sentirla ancora parte di sé.
Così, mentre sorseggio il mio spritz e rido con gli amici, arriva un messaggio. “G. è stato arrestato”.
Bruscamente ti senti sdoppiare, vivere due vite parallele che non sembrano avere nessun legame.
In una vorresti solo urlare per l’ennesima ingiustizia che colpisce le persone a cui tieni.
Nell’altra, continui a bere quello spritz e non capisci più se per assuefazione al dolore che quasi non provi nulla dopo un primo dispiacere.
E le cattive notizie ti arrivano ogni giorno.
Le leggi e chiudi il telefono per riprendere la routine quotidiana.
Trovi stratagemmi per provare a riportare la testa nel tuo presente.

Fallisci costantemente e il cuore continua a sanguinare.
Non è cercando di tornare alla normalità per evitare di annullarti nel dolore degli altri che i tanti volti cari svaniscono almeno per poco tempo.
Cerchi di controllare quell’irrefrenabile rabbia e dispiacere per non essere lì al fianco degli altri volontari, dei palestinesi e degli attivisti israeliani.
Ma alla fine senti solo un grande vuoto.
La nullità di una vita che non senti più tua, in un luogo che è scomparso dall’immagine che hai del futuro, per quanto comunque ti sia sempre caro.
Mi ricordo quando poco prima di partire per l’Italia, una volontaria mi aveva rassicurato sui controlli in aeroporto dicendomi che in ogni caso sarei poi tornata a casa.
“E se casa non fosse più casa?!” le risposi senza nemmeno pensare.
E anche ora, che a “casa” sono tornata, ci penso a quelle parole dette di getto.
Non è cambiato l’affetto che provo per questi luoghi con i ricordi e le persone che racchiudono.
Ma casa no, per me non lo è più, o non del tutto.
Mi ritrovo con i vecchi amici ad ascoltare come le loro vite siano cambiate o proseguite in questi tre mesi di mia assenza.
C’è chi ha una carriera avviata, chi pensa ad andare a convivere con il fidanzato, chi addirittura si sposa.
Stabilità.
Mi chiedo se faccia per me.
La desidero anche io in questo esatto momento della vita?
Forse, perché in fondo tutto questo groviglio di sentimenti vorrei estirparlo, forse perché mi sarebbe più semplice non sentirmi divisa tra due mondi.
Ma c’è un “però”, la passione.
Passione per un progetto.
Passione per una terra di cui è diventato sempre più scomodo o stancante parlare.
La Palestina per me è stata una conferma d’amore, un sogno apparentemente irrealizzabile che pian piano è divenuto reale senza quasi che me ne capacitassi.
E la sento l’assenza di quella terra ogni volta che me ne vado.
Mi manca l’aria così pura tanto che qui a volte mi sento soffocare.
Mi manca quella terra rossa sotto i miei piedi.
Il profumo del tè appena versato nei bicchieri.
Il canto della preghiera al tramonto.
Mi mancano i sorrisi e le risate dei tanti palestinesi incontrati.
Niente di speciale forse.
Ma la nostalgia a volte è capace di ridurre in schiavitù l’anima.
Perché non è stata una vacanza, non è stata nemmeno un’esperienza.
Tutti questi mesi sono stati molto di più.
E il mio cuore e la mia testa sono e so che per lungo tempo rimarranno lì.
E rendersene conto, spaventa.
Perché prima o poi il sogno dovrà finire.
E non è facile accettare che un possibile ingresso vietato in aeroporto possa brutalmente porre termine ad un sentiero di vita che solo ora si è iniziato a battere.
Ma il percorso con Operazione Colomba alla fin fine, come mi è stato spesso ricordato, è una metafora di vita, e bisogna imparare ad accettare anche le spiacevoli sorprese che ci riserva.
Sono poi consapevole di non appartenere fino in fondo a quel mondo e a quella lotta non essendone direttamente interessata.
E allora penso, se non mi sento più parte di questa mia vita qui e forse non avrò mai una vita laggiù…io, dove sono? Qual è il mio posto?
Forse sono domande a cui non saprò dare una risposta, forse non è così essenziale porsele ora.
Uno dei tanti insegnamenti di vita ricevuto dai palestinesi è quello di godere dell’attimo, poi si vedrà.
E allora penso che indipendentemente da come andranno le cose, ho tanti bei ricordi da “appendere alle pareti del mio io interiore”.
Penso all’abbraccio paterno che mi ha regalato H. per salutarmi.
Penso a M. che mi confida di aver sofferto la nostra breve assenza, la mancanza di quella “famiglia” italiana sempre pronta ad accoglierti con la moka in mano.
Penso ai sorrisi beffardi dei due fratelli F. e F. che pascolano su quelle terre dove gli era stato proibito di andare i giorni precedenti.
Penso a G. e ai suoi sogni di impegno e giustizia in Jordan Valley.
Questa vita prosegue anche in mia assenza.
E tutto questo mi regala forza e fiducia che la vita sia sempre e comunque bella e buona qualsiasi cosa accada.
Ma se mai dovesse succedere, ritornerò in quella piccola dolce baracca tra le colline e riabbraccerò questa nuova grande famiglia di resistenti.
Inshalla.

M.