Schiocco di dita

Giornata di raccolta di olive a Burin e in tutta la Palestina.
Ci svegliamo alle 7:30 pronti per andare alla stazione dei pompieri per farci smistare dal coordinatore, G, nei vari uliveti posti sotto alle colonie di Yitzhar, Har Brakha e Giv'at Sne Ya'akov.
Arriviamo all’uliveto sulla strada numero 60 accompagnati dal figlio di B che ci indica la strada.
È un piccolo campo con una decina di olivi, B è sulla scala che sta già raccogliendo le prime olive, un salam aleikum, che la pace sia con te, riecheggia nell’aria seguito da un u aleikum assalam, e voi in pace.
Ci presentiamo e iniziamo anche noi a raccogliere olive.
Il tempo si dilata frammentato dai movimenti dei teloni neri da posizionare sotto gli uliveti per raccogliere le olive, ogni singola oliva è importantissima quindi bisogna prestare molta attenzione.

I colpi dei bastoni sui rami degli ulivi e il picchiettio delle ulive che cadono riecheggiano nella zona, la luce del sole gioca a nascondino tra le fronde, nell’aria aleggia il profumo del narghilè.
Ci fermiamo un attimo per riprendere le forze, una breve sosta a base di pane e hummus, chiediamo a B quanti figli e ha e ci risponde che ha solo un figlio maschio e tre ragazze e via la raccolta continua tra risate e profumo di narghilè.
Primo schiocco di dita, una camionetta dell’esercito spunta all’improvviso, scendono soldati che ci intimano di andarcene via, in una frazione di secondo la situazione cambia repentinamente e il tempo si dilata nuovamente.
Prendiamo le macchine fotografiche, la tensione aumenta non ci spostiamo rimaniamo vicino a B, che nel mentre sale su un ulivo e continua a raccogliere olive, nell’aria non si sente più il profumo del narghilè.
I soldati non sanno come reagire, probabilmente è la prima volta che qualcuno li blocca, ci dicono che hanno l’autorità di arrestarci tutti ma noi non ci muoviamo e continuiamo a riprendere.
Il più alto in grado fa una chiamata e arriva un’altra jeep, altri militari ci osservano, un ufficiale ci intima di andarcene ma noi non ci muoviamo.
Ci mostra un documento in ebraico, l’area è considerata area militare quindi dobbiamo spostarci. Con molta calma e molta lentezza ci muoviamo in direzione della strada, anche questo è resistere, i militari non hanno il controllo assoluto.
B ha il permesso di finire la raccolta, deve prendere tutto il suo materiale e andarsene.
Riprendiamo la scena da lontano.
Secondo schiocco di dita, dal versante opposto della valle figure vestite di bianco scendono dalla colonia, in un attimo saliamo in sei in una macchina, il tempo si dilata.
G accelera sulla strada sterrata, saltiamo sulle buche e nel mentre cambiamo le schede SD.
Arriva una chiamata: coloni israeliani stanno attaccando i contadini palestinesi, G accelera sulla strada asfaltata di Burin, prendiamo i dossi ad alta velocità, saltiamo, schizziamo come dei razzi tra le strade strette di Burin.
Gomme che slittano sull’asfalto ed emettono suoni striduli.
Ci fermiamo, siamo sotto la parete.
Terzo schiocco di dita, ragazzi palestinesi che scendono dal versante, ci dicono che stanno sparando, in una frazione di secondo H scatta, il tempo si dilata, io e Mo gli corriamo dietro, non abbiamo tempo per pensare.
Raggiungiamo la prima linea, i coloni dall’alto lanciano pietre e petardi con le frombole (video), una scintilla innesca un piccolo incendio che divampa sull’erba secca.
H si gira e chiede dell’acqua per spegnere l’incendio ma l’erba è troppo secca e il fuoco divampa.
Grida di palestinesi, grida di coloni echeggiano nell’aria.
La vista è ostruita dal fumo e dai rami degli ulivi, in lontananza un colono scende con un soffiatore per spingere il fuoco verso di noi.
Spari echeggiano nell’aria, alcuni palestinesi dicono che i coloni potrebbero avere un M16.
Io seguo H, Mo rimane al riparo, non la vedo più.
Io e H corriamo, ci mettiamo al riparo dietro i muretti dei terrazzamenti raggiungendo Ni, un colono ci individua e scaglia una pietra, la macchina fotografica di Mi si rompe, per fortuna solo quella. Indietreggiamo, i coloni avanzano, io e Mi non vediamo più Mo, speriamo che stia bene. Pietre volano in tutte le direzioni.
Petardi scoppiano ovunque.
Un palestinese cade dal muretto, ragazzi palestinesi lo raggiungono e lo sollevano da terra. Indietreggiamo.
Vediamo Mo e la raggiungiamo.
Nell’aria l’odore del fumo e il suono delle sirene dei vigili del fuoco e dell’ambulanza.
Quarto schiocco di dita, arrivano i militari, la situazione cambia rapidamente.
Le pietre non volano, i petardi non scoppiano il rumore del soffiatore svanisce.
Il tempo si dilata.
I militari intimano ai palestinesi di sgomberare l’area, loro non indietreggiano.
Inizia una sorta di strana danza, i palestinesi che avanzano e i militari che li respingono indietro. Alla fine, purtroppo, vincono i militari e i palestinesi devono allontanarsi ma fieri e orgogliosi iniziano a cantare.
Scena surreale, militari che osservano i palestinesi e loro con un sorriso smagliante ricambiano.
Ci allontaniamo dagli uliveti e in lontananza, vicino alla colonia, vediamo i soldati che si allontano con i coloni.
Saliamo in macchina per raggiungere Betlemme, ci stiamo rilassando tutti, Mi è scesa prima per raggiungere gli altri.
In macchina ci siamo io, Mo, tre ragazzi di YOS e un amico israeliano di Tel Aviv.
Quinto schiocco di dita, check point della polizia di frontiera sulla strada, estraiamo le macchine fotografiche per riprendere la scena.
La tensione aumenta e il tempo si dilata.
 Ci fermano ci chiedono i documenti.
I soldati sono sorpresi, in macchina c’è un ebreo con dei palestinesi e degli internazionali. Sconcertati ci lasciano andare.
Il tempo finalmente scorre lento e rassicurante, raggiungiamo Betlemme sani e salvi.