In memoria di Haj Suleiman, Umm al-Kheir

Ieri è venuto a mancare Haj Suleiman, uomo, papà, attivista, "saggio anziano" del villaggio di Umm al Khair. Ci avevano detto che stava male, in condizioni critiche, dopo che un camion della polizia israeliana lo aveva investito e trascinato per metri. Di Haj Suleiman ci ha sempre colpito il suo essere sempre in prima linea durante le azioni in difesa della sua terra, del suo villaggio, delle persone. Lo abbiamo visto mettersi davanti ai soldati, alla polizia, ai bulldozers con il braccio alzato per essere il primo a difendere gli altri dalle violenze dell'occupazione, abbiamo sentito la sua voce che chiedeva rispetto, diritti e umanità. Incurante che sicuramente l'avrebbero malmenato e arrestato, era sempre pronto a pagarne di persona il prezzo. Oggi in quella "prima linea" lascia un vuoto. "Haj, ovunque sei, ovunque siamo, dacci la forza di riempire quel vuoto e continuare la lotta per la giustizia come facevi tu"!
A Eid, Tarek, a tutti i suoi famigliari e alla sua comunità un forte abbraccio

Le volontarie e i volontari di Operazione Colomba

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La polizia israeliana ha rotto le ossa di un anziano palestinese e se ne è andata senza chiamare i soccorsi

Ali Awad e Awdah Hathaleen - 11 gennaio 2022
Articolo originale: https://www.972mag.com/haj-suleiman-masafer-yatta-police/

Un anziano attivista palestinese si sta aggrappando alla vita dopo che un carro attrezzi della polizia israeliana lo ha investito. Questa violenza potrebbe colpire chiunque di noi nell’area del Masafer Yatta.

Nel pomeriggio del 5 gennaio, le forze di occupazione israeliane sono entrate nel villaggio palestinese di Umm al-Khair nella regione del Masafer Yatta, nelle Colline a Sud di Hebron, dove vivo, per confiscare auto palestinesi non registrate. Un anziano del villaggio, Haj Suleiman al-Hathaleen, ha cercato pacificamente di impedire ai soldati di portare via le auto, quando un carro attrezzi della polizia israeliana lo ha investito, provocandogli gravi ferite su tutto il corpo. Giace in condizioni critiche in ospedale, più vicino alla morte che alla vita.

Sono molte e ben note le politiche utilizzate dall’occupazione israeliana per espellere noi  palestinesi dai villaggi del Masafer Yatta. Come la creazione di una “zona di addestramento militare” in un’area dove sorgono dodici villaggi,o come il ricorso a leggi dell’epoca ottomana per confiscare la terra di proprietà palestinese a favore di insediamenti ebraici. Ma ultimamente sembra che la politica di “rompere le ossa” - una famigerata strategia promossa dall’allora ministro della Difesa Yitzhak Rabin durante la Prima Intifada – sia diventata ancora una volta un metodo centrale per soppiantarci e schiacciare ogni speranza di resistenza popolare palestinese.

Haj Suleiman è un attivista contro l’occupazione, ha quasi 70 anni e lo conosciamo da tutta la vita. Ogni volta che andiamo a casa sua a Umm al-Khair, ci accoglie con una tazza di tè e un sorriso. Tutti nelle Colline a Sud di Hebron lo conoscono bene - specialmente i soldati dell’occupazione israeliana.

Mercoledì, mentre Suleiman stava resistendo pacificamente alla confisca delle auto dei suoi vicini, il camion della polizia israeliana lo ha investito. Suleiman è rimasto incastrato sotto ed è stato trascinato per dieci metri. La polizia ha lasciato la scena del crimine, mentre Suleiman era disteso a terra, sanguinante e gravemente ferito. Sono stati i suoi vicini a chiamare l’ambulanza, ed è stato trasferito in un ospedale di Hebron.

I medici hanno dichiarato che Suleiman riporta gravi fratture a cranio, collo, addome, torace, costole e in zona pelvica; grave sanguinamento a capo e addome; diverse ferite interne a milza e intestino. Noi insieme alla comunità di Umm al-Kheir e a tutta l’area del Masafer Yatta, siamo molto addolorati e sotto grande shock. Preghiamo per Suleiman mentre sta lottando per la sua vita. 

Suleiman e la sua famiglia sono palestinesi beduini, arrivati ad Umm al-Kheir nel 1948 -durante la Naqba- per cominciare una vita nuova, dopo essere stati evacuati e sfollati dalle forze sioniste, dalle loro terre del Negev. Il loro “nuovo mondo” è cambiato ancora, quando nel 1967 Israele occupò la CIsgiordania, e poi nel 1980 quando i coloni costruirono l’insediamento di Carmel sui terreni di Umm al-Kheir. Ci sono meno di 10 metri tra la casa di Suleiman e le case dei coloni israeliani; una barriera di filo spinato separa un villaggio dove mancano i servizi di base, da una colonia con tutti gli agi del 21° secolo.

In seguito agli accordi di Oslo, il villaggio di Umm al-Kheir è stato incluso nell’area C, sotto completo controllo Israeliano. Da allora la “Civil Administration” -il braccio dell’esercito Israeliano che governa i Territori Occupati-  si rifiuta di rilasciare alla comunità di Suleiman i permessi per costruire sulla loro terra case, stalle... tutte le strutture sono considerate illegali.

Di conseguenza le forze di occupazione hanno demolito numerose case e strutture nel villaggio. Da un lato, è consentita l’espansione edilizia e agricola ai coloni Israeliani; dall’altro viene impedito o minacciato di demolizione ogni sviluppo del villaggio di Umm al-Kheir con le sue tende e strade sconnesse.

Questa situazione ha spinto Suleiman una ventina di anni fa a diventare un attivista, impegnandosi non solo per il suo villaggio ma per tutta l’area circostante. E’ conosciuto per la sua resistenza e disobbedienza civile: di solito sventola la bandiera palestinese, posizionandosi davanti ai bulldozer israeliani quando arrivano per demolire case di famiglie e bambini. Ad ogni demolizione o invasione del villaggio da parte dei militari, accorreva col suo bastone da pastore sfidando tutta la macchina militare dell’occupazione ed è presto diventato un’importante icona beduina.

Quasi sempre, i soldati israeliani rispondevano a Suleiman con la violenza. E’ stato arrestato numerose volte e anche prima di quest’ultimo incidente era già stato ricoverato dopo che dei soldati di vent’anni l’avevano spinto e buttato a terra.  Ed è proprio per la sua ininterrotta resistenza che a Suleiman è negato il permesso di pregare nella Moschea di Al Aqsa, cosa che per la sua veneranda età dovrebbe essere garantita.

Costante pericolo

Quello che è successo a Haj Suleiman la scorsa settimana potrebbe succedere a ognuno di noi, o a uno qualsiasi dei nostri familiari o amici che vivono nella zona del Massafer Yatta. Viviamo nel mezzo di un pericolo costante. In ogni momento della nostra vita potremmo finire per perdere un arto o rimanere paralizzati a vita. Ogni volta che qualcuno di noi viene ferito, immaginiamo che avremmo potuto essere noi al loro posto. Non ci sentiamo diversi da chi viene ferito o da chi riporta danni permanenti.

Anche noi viviamo il confronto costante e diretto con l’occupazione militare.

Suleiman non è l’unico palestinese che vive nelle Colline a Sud di Hebron le cui ossa sono state frantumate dall’occupazione durante lo scorso anno. Da gennaio 2021, la violenza dell’occupazione israeliana ha causato la disabilità a breve e a lungo termine ad almeno altre tre persone di diversi villaggi della zona.

Il primo gennaio della scorso anno, i soldati israeliani hanno sparato e ferito il 26enne Harun Abu Aram al collo durante la confisca di un generatore elettrico al suo vicino. In una zona dove i servizi di base sono negati, un generatore di questo tipo rappresenta una risorsa fondamentale per vivere. Come mostra il video dello sparo, Harun stava cercando di fermare in modo nonviolento la confisca del generatore. Il proiettile del soldato ha lasciato Harun paralizzato dal collo in giù.

Qui nel Massafer Yatta non c’è bisogno di trovarsi sul luogo di un’incursione dell’esercito o della polizia per perdere un arto – può succedere anche durante una normale giornata nei campi. L’8 gennaio 2021 il 18enne Mohammad Mahram del villaggio di Al-Mirkiz stava correndo dietro al suo gregge di pecore a soli cento metri da casa sua, quando ha calpestato una bomba inesplosa lasciata dall’esercito israeliano. L’esplosione ha causato la frattura della gamba destra, ha spinto delle schegge a pochi millimetri dal cuore e dallo stomaco, e, peggio ancora, gli ha causato la perdita di una mano.

Ritrovarti con il cranio fratturato può succedere anche mentre sei a casa, perfino se sei un bambino sdraiato nel tuo letto. A settembre, durante un violento attacco dei coloni israeliani nel villaggio di Mufaqara, un bambino di quattro anni, Muhammad Hamamdah, è stato colpito alla testa da un sasso lanciato da un colono attraverso le finestre della sua camera mentre stava dormendo, fratturandogli il cranio. Questo è accaduto alla presenza dei soldati israeliani, che hanno lanciato gas lacrimogeni e granate stordenti contro i palestinesi e hanno perfino arrestato alcuni residenti del villaggio invece che fermare l’attacco dei coloni, che hanno ucciso alcune capre dei greggi, hanno rotto le finestre di case e automobili e ferito numerosi palestinesi.

Anche se la sicurezza di un popolo occupato dovrebbe essere responsabilità della forza occupante, c’è una chiara irresponsabilità da parte delle forze israeliane verso il popolo palestinese. Israele ha dichiarato i nostri villaggi zona di addestramento militare e i soldati usano regolarmente munizioni che feriscono sistematicamente bambini e adulti fino a renderli permanentemente disabili.

In ognuno di questi incidenti - Harun Abu Aram, che è diventato quadriplegico; Muhammad Makhamra, che ha perso una mano; e Muhammad Hamamdah, il cui cranio è stato fratturato - le autorità israeliane hanno rapidamente chiuso il caso senza perseguire nessuno.

Allo stesso modo, nell'omissione di soccorso di Haj Suleiman della settimana scorsa, la polizia israeliana ha respinto ogni responsabilità, sostenendo che egli aveva "corso verso il carro attrezzi" nel mezzo di una "violenta sommossa", e che poiché una "folla agitata ha cercato di causare danni reali alle forze di polizia, è stato impossibile fermarsi e assistere il ferito".

L'esercito israeliano, la polizia e i coloni lavorano tutti insieme e sistematicamente per  la pulizia etnica della nostra terra. Tutte queste politiche sono in violazione del diritto internazionale e degli accordi internazionali che hanno lo scopo di salvaguardare i nostri diritti umani.

Dovremmo sentirci al sicuro nelle nostre case e comunità, ma l'occupazione è progettata per privarci anche di questo diritto più elementare.