"I coloni israeliani hanno attaccato mio padre sulla nostra terra. I coloni sono liberi, mentre mio padre è in prigione"

Traduzione dell'articolo originale pubblicato su Mondoweiss: Israeli settlers attacked my father on our land. The settlers are free, while my father sits in prison 
di Mohammad Huraini

Ogni giorno affrontiamo ingiustizie e ci confrontiamo con un regime apartheid non solo da parte dei coloni, dei soldati o della polizia, ma dell'intero sistema che usa la violenza per ferirci, rubare la nostra terra e imprigionarci. Abbiamo bisogno del vostro sostegno ora più che mai.
Il 12 settembre alle 16:00, mio padre è uscito da casa nostra, ad At-Tuwani, per far pascolare le sue pecore sulla nostra terra, accanto alla quale i coloni israeliani hanno costruito l'insediamento illegale di Ma'on e l'avamposto di Havat Ma'on. Prima di uscire con il gregge, mi ha chiesto di portare una bottiglia d'acqua e un po' di caffè e seguirlo al lavoro, per aiutarlo nel prendersi cura della terra e piantare nuovi alberi. 

L’ho raggiunto 15 minuti dopo, insieme a dell'acqua e del caffè e un mio amico attivista internazionale. Una volta raggiunto ci siamo seduti a bere acqua e caffè, e poi ci siamo messi al lavoro rimuovendo pietre dalla terra, e portando vecchi pneumatici per costruire un muro intorno al nostro giardino per proteggere le piante da eventuali animali o coloni che avrebbero potuto entrare e danneggiarli.

Mentre lavoravamo, a circa cento metri di distanza, un pastore palestinese stava pascolando il suo gregge. Quando ad un certo punto ho alzato lo sguardo, ho notato all'improvviso due coloni che da Ma'on si avvicinavano con dei bastoni in mano. Mentre camminavano, hanno cominciato a lanciare pietre al pastore, spaventandolo e facendolo scappare. Nel frattempo, mio padre, il nostro amico ed io stavamo lì a guardare tutto dal nostro giardino. 

Il gregge di mio padre era lontano da noi, così mi ha detto di andare a recuperarlo. Mentre andavo, ho notato una macchina con tre coloni all'interno che si avvicinavano a mio padre insieme ai due coloni a piedi. Almeno uno di loro aveva una pistola.

Ho avuto paura per mio padre, preoccupato che i coloni lo avrebbero attaccato. La seconda volta che mi sono guardato indietro, i due coloni che avevano cacciato il pastore avevano quasi raggiunto mio padre. Mi sono voltato immediatamente e ho corso verso di lui, cominciando a gridare mentre vedevo i coloni iniziare a colpire mio padre con i loro bastoni.

Mentre mi avvicinavo, correndo più veloce che potevo e gridando, mi sono reso conto che non erano normali bastoni, ma bastoni chiodati.

Quando il colono armato di pistola mi ha visto mentre mi avvicinavo per difendere mio padre, ha sparato in aria per spaventarmi. Ho sentito il mio cuore fermarsi. Poi, mi ha puntato contro la pistola. Ero terrorizzato. Eravamo soli su quella collina, noi tre, disarmati, di fronte a cinque coloni con bastoni e almeno una pistola. Non c'era nessun altro intorno ad aiutarci.

Hanno iniziato a picchiarci con le mazze, colpendo mio padre. Nel tentativo di difenderci, mio padre ha colpito uno dei coloni che lo stava attaccando. I coloni hanno iniziato a ritirarsi sotto la protezione di quelli armati di pistola, e sono tornati nell'avamposto di Havat Ma'on.

Abbiamo chiamato immediatamente l'ambulanza per portare mio padre all'ospedale, perché entrambe le sue mani erano chiaramente state rotte dai coloni durante l’attacco. Allo stesso tempo, abbiamo chiamato la polizia e le forze militari israeliane per denunciare, pensando che la natura dell'attacco fosse chiara e che i coloni sarebbero stati arrestati.
Mentre aspettavamo l'arrivo dell'ambulanza, sono arrivati altri coloni in auto e hanno iniziato a provocarci. Eravamo ancora agitati dall'attacco, e ho cominciato a sentire il peso dell'ingiustizia e della violenza che stavamo subendo - non solo la minaccia mortale da parte dei coloni in quel momento, ma l'intero sistema di occupazione militare e colonialismo che non ci permette di sentirci al sicuro nella nostra terra e nella nostra casa.

In quel momento, mio padre era disteso a terra e il dolore che sentivo nella sua voce mi faceva male. Nonostante il dolore che stava provando, pensando a me, mio padre mi ha detto: "Vai a casa e non fare nulla di stupido. L'occupazione non ti ascolterà e non ci crederà. A loro non importa la verità."
Dando voce a quello che stavo provando, mi ha ricordato che le forze israeliane avrebbero protetto i coloni e permesso loro di continuare a violare i nostri diritti e commettere ogni tipo di violenze contro di noi. Aveva paura che se fossi rimasto con lui, sarei stata arrestato al posto dei coloni.

Ascolto sempre mio padre. Per tutta la vita mi ha mostrato come resistere all'ingiustizia. Così, sentendo paura e rabbia bruciare nel mio petto, mi sono allontanato e sono tornato a casa. Venti dolorosi minuti dopo, ho sentito bombe sonore e le voci delle mie sorelle accanto a quelle di mia madre, che gridavano contro le voci dei soldati. In quel momento mi sentivo lacerato, insicuro di cosa fare - se fossi tornato a stare con la mia famiglia, l'esercito mi avrebbe arrestato; se fossi rimasto a casa come mi aveva detto mio padre, sarei stato dolorosamente inutile. Ho risentito la voce di mio padre nella mia testa, "Vai a casa e non fare nulla di stupido", e ho deciso di restare.

Mentre aspettavo a casa, lentamente le notizie iniziavano ad arrivare. La polizia e le forze militari israeliane erano arrivate e avevano impedito a mio padre di essere portato in ospedale dall'ambulanza palestinese che era arrivata sul posto. Per essere sicuri che mio padre non potesse essere spostato, i coloni hanno tagliato le gomme dell'ambulanza, impedendo ai primi soccorritori di partire con o senza mio padre.

La polizia israeliana allora ha dichiarato in arresto mio padre. Con un’ambulanza israeliana lo hanno portato, da solo e con le braccia rotte, all'ospedale Soroka di Beersheba, dall'altra parte del muro.

I soldati e la polizia hanno anche arrestato due palestinesi per nessun motivo, se non quello che erano arrivati in aiuto di mio padre. Poi, hanno cacciato tutti i palestinesi dalla nostra terra, lanciando bombe sonore e gas lacrimogeni direttamente verso di loro e dichiarando l’area zona militare chiusa. In quanto area militare chiusa, nessuno, compresi i coloni israeliani, sarebbero dovuti rimanere all’interno di quell’area per 24 ore. Nonostante questo, mentre spingevano violentemente tutti i palestinesi giù per la collina e verso At-Tuwani, i militari hanno permesso ai coloni di rimanere nella zona e distruggere gli alberi nel giardino di cui ci eravamo presi cura poco tempo prima.

Tuttavia le forze israeliane non avevano ancora finito.

Seguendo gli ordini dei coloni, e sostenendo che un colono era stato "linciato" da decine di palestinesi, le forze israeliane sono entrate ad  At-Tuwani, chi con le jeep chi a piedi, lanciando bombe sonore e lacrimogeni tra le abitazioni del villaggio. I lacrimogeni entravano nelle case attraverso le finestre, lasciando tutti i residenti, compresi molti, molti bambini gridare a causa delle cipolle utilizzate per proteggerli dall'odore dei fumogeni, mentre imbavagliati tossivano, soffocavano e sentivano le lacrime cadere sui loro volti.

Con nient'altro da fare che cercare di proteggerci, ho iniziato freneticamente a cercare il mio fratellino di 4 anni, ma non lo trovavo da nessuna parte. Sono andato nel panico, e sono corso in strada per cercarlo, e invece ho trovato l'esercito. Mi hanno lanciato addosso una bomba sonora, quindi mi sono girato per nascondermi nella tenda di una famiglia e mi sono coperto la testa. Guardandomi mentre mi nascondevo, mi hanno lanciato contro altre sei bombe sonore. Quando sono riuscito a fuggire, ho trovato mio fratello che piangeva, terrorizzato da quello che stava succedendo intorno a lui. Mi sono assicurato che fosse in un posto sicuro.

Dopo un'ora di incursioni e attacchi al mio villaggio – in cui hanno letteralmente hanno lanciato bombe sonore contro persone che erano già state inseguite nelle loro case- sembrava che le forze israeliane iniziassero a lasciare il villaggio, ma si sono riunite all'ingresso principale per impedire a chiunque di entrare o uscire.

Alle 2:30 del mattino, l'esercito è tornato nel villaggio, questa volta costringendo i residenti all'interno delle abitazioni lanciando le bombe sonore contro le porte d’ingresso. Sono venuti a casa mia e hanno arrestato circa 15 persone. Il resto di noi, esausti ma ancora svegli per la paura che sarebbe potuto succedere ancora qualcosa, si è seduto insieme.

In qualche modo siamo riusciti a superare la notte, e quando il sole è cominciato a sorgere abbiamo chiamato il nostro avvocato per capire cosa sarebbe successo a mio padre. Ci ha detto che era stato trasferito dall’ospedale a una centrale della polizia dove è stato interrogato e che sarebbe rimasto in prigione almeno fino alla sua prima udienza, fissata per giovedì.

Una volta apprese queste informazioni, è caduto il silenzio in tutta la casa. Mia madre si è seduta, scioccata. Nostro padre sarebbe stato trattenuto in prigione e forse processato in tribunale per essere stato attaccato mentre era sulla sua terra. Nel frattempo, i coloni che ci avevano attaccato erano liberi nell'avamposto accanto.

In questo momento stiamo vivendo una catastrofe, in attesa di scoprire cosa accadrà a mio padre in un tribunale che non ci rappresenta, che non ha leggi create da noi e non risponde ai palestinesi.

Nel frattempo, aspettiamo il prossimo attacco.

Ogni giorno affrontiamo ingiustizie e ci confrontiamo con un regime regime di apartheid, non solo da parte dei coloni, dei soldati o della polizia, ma dell'intero sistema che usa la violenza per ferirci, rubare la nostra terra e imprigionarci. Non possiamo restare in silenzio e dobbiamo far sapere al mondo cosa sta succedendo. Abbiamo bisogno del vostro sostegno ora più che mai.

#FreeHafezHuraini #SaveMasaferYatta