Non sono un gioco nelle tue mani

Questo testo è stato scritto da Mohammed Hureini, attivista palestinese del Masafer Yatta (colline a sud di Hebron), dopo essere stato ingiustamente arrestato il 5 agosto 2023, mentre pascolava sulla sua terra.
Tradotto dai volontari di Operazione Colomba, presenti nell’area dal 2004.

Stavo pascolando le pecore quando un gruppo di coloni israeliani ha invaso la nostra terra.
Anche loro avevano delle pecore che hanno mandato a pascolare nei nostri campi.
Quando ho cercato di fermarli loro hanno chiamato i soldati israeliani che sono arrivati immediatamente.
I soldati hanno subito emesso un ordine militare che dichiarava ”zona militare chiusa” la nostra terra.
Per mettere in pratica l’ordine, il quale si applicava solo a noi, il comandate israeliano ci ha avvisato che dovevamo andarcene in pochi minuti.
Mi sono rifiutato e gli ho ripetuto che i coloni dovevano andarsene dalla nostra terra.
I soldati hanno risposto ammanettandomi e bendandomi per cercare di provocarmi e umiliarmi.
Gli ho urlato “Cosa fai? Non sono un gioco nelle tue mani, non puoi trattarmi così”.
Lui mi ha risposto di stare zitto.

Alle 20.00 mi hanno portato alla base militare vicino al villaggio di Susya.
Me ne sono accorto riuscendo a spiare da un buchino sulla benda che mi copriva gli occhi.
Arrivati alla base militare mi hanno lasciato in un cortile con un soldato a farmi la guardia.
Mi sono detto che stanotte sarei stato umiliato e aggredito.
I soldati israeliani si sono radunati intorno a me parlando in ebraico, una lingua che comprendo a malapena, e ridendo.
Credo che mi stessero prendendo in giro.
A un certo punto il comandante che mi aveva arrestato ha detto in inglese: “adesso sai cosa posso fare, sei a mia disposizione e nessuno sa che sei qui in questo momento”.
Finita questa frase mi ha colpito alla testa, pensando che non avrei reagito per paura ma invece gli ho urlato “non toccarmi!”.
Gli altri soldati mi hanno poi costretto a stare sdraiato per terra per due ore e ogni volta che provavo ad alzarmi mi ributtavano giù.
Dopo due ore un soldato mi ha detto “ti lasciamo andare ma domani mattina alle 10.00 devi venire alla stazione di polizia di Kyriat Arba a Hebron per essere interrogato.
Non ho risposto e lui se n’è andato.
Mi sono reso conto che era passata la mezzanotte e ancora non mi avevano rilasciato.
Mi hanno fatto aspettare per ore finché non ho perso la pazienza e ho urlato “lasciatemi andare adesso, cosa state facendo?”.
Uno di loro mi ha risposto: “questa è la conseguenza per quello che hai fatto oggi”.
Gli ho risposto: “non me ne starò zitto e oggi non ho fatto niente di male”.
Ho continuato a urlare fino a che due soldati mi hanno caricato in una jeep.
Circa alle 2.00 mi hanno rilasciato all’ingresso della colonia di Susya (costruita su terra rubata al villaggio palestinese di Susya).
Gli ho chiesto di lasciarmi vicino a casa visto che la zona è pericolosa perché i coloni avrebbero potuto attaccarmi.
Ovviamente non mi hanno neanche ascoltato.
Sospettavo che questo facesse parte di un piano coordinato con i coloni per farmi aggredire brutalmente dopo il mio rilascio.
Non avevo altre scelte che camminare sulla bypass road 317 per circa 5km.
Ero nervoso e spaventato mentre camminavo. Ero anche esausto, affamato e assetato.
Una volta arrivato a casa ho mangiato, bevuto e mi sono riposato un po’ prima di andare all’interrogatorio alle 10.00.
Sami, mio fratello maggiore, mi ha accompagnato nella colonia di Kyriat Arba.
Abbiamo aspettato all’ingresso della colonia finché non ci hanno fatto entrare.
Ci hanno messi in una piccola stanza.
Ho aspettato finché un ufficiale, la cui faccia avevo visto altre volte ma di cui non ricordavo il nome, è entrato nella stanza.
Mi aveva già interrogato altre volte in passato.
Mi ha sorpreso perché invece che interrogarmi mi ha detto in tono minaccioso “qui ti conosciamo, sei uno che da problemi. Stavolta ti rilasciamo ma ti prometto che se ci darai ancora problemi la prossima volta pagherai un prezzo molto alto”.
Gli ho risposto “prima di tutto sono un essere umano che ha il diritto di accedere alla sua terra, coltivarla e pascolarci le pecore. E questo non è creare problemi. Il mio dovere e il mio diritto è di difendere la terra. Non lascerò che nessuno la danneggi o la rubi. Voi sapete bene chi sono quelli che creano problemi qui. I coloni ci aggrediscono costantemente. Lo sai molto bene visto che mio padre li ha denunciati molte volte, ma voi non avete mai fatto nulla per fermarli. Questo mostra quanto siete di parte a favore di questi coloni fanatici. Se non li fermate mi vedrete qui ogni giorno”.
L’ufficiale si è arrabbiato e mi ha detto: “vai via, tanto ci rivedremo nei prossimi giorni”.
Gli ho detto “Sono sicuro che entrambi ci siederemo di nuovo a questo tavolo per gli interrogatori”.
Me ne sono andato sentendomi orgoglioso di me.
Adesso sono tornato a casa e continuerò a lottare per difendere la nostra terra e i nostri diritti, come faccio da quando ho 13 anni.
Non smetterò, qualunque cosa mi facciano.
Amici grazie per il vostro supporto e attenzione, sono orgoglioso di voi.