Persona non gradita

Mi hanno buttata fuori dal Paese.
Israele ha deciso che non ero persona gradita e mi hanno dato il ben servito.
Il Ministero degli Interni ha dichiarato che non ho fatto nulla di illegale, non ho violato la legge, ma nonostante questo "non la vogliamo nel Paese, se ne deve andare".
Perché? Coloni israeliani che vivono in insediamenti illegali, che attaccano e compiono barbarie tutti i giorni contro persone che semplicemente cercano di vivere una vita normale, hanno scritto un report su di me e l’hanno consegnato all'immigrazione.
In aeroporto mi stavano aspettando.
"Hai violato una legge non scritta e ti sei fatta notare dalle persone sbagliate", queste sono state le parole che mi hanno detto.
Poco prima di partire un palestinese - una persona cara - mi ha detto che "prima o poi tutti pagano il prezzo delle loro scelte".
Sì, e io ho pagato il prezzo delle mie di scelte, delle scelte che rifarei nonostante il dolore che provo quotidianamente.
Comunque non voglio parlare di me, voglio parlare di chi il prezzo lo paga tutti i giorni.


Perché a tre ore di volo da Milano c'è un popolo intero che lotta tutti i giorni per continuare a vivere a casa sua; per pascolare sulle proprie terre; per costruire una strada, una casa o un bagno; per raccogliere le olive; per andare a scuola.
Semplicemente lotta per vivere.
Ci sono posti che conosco più del Paese in cui sono nata e cresciuta; c'è un pezzo di Palestina che per me è casa, e credo lo sarà per sempre.
Ma non è casa mia, non è la mia terra e nonostante questo in questi anni ho provato una rabbia e un dolore che faccio fatica a descrivere a parole.
Vedere ulivi e alberi spezzati, campi bruciati, case demolite, animali sgozzati, persone umiliate e aggredite.
Coloni che distruggono pozzi, case e città intere, che entrano in abitazioni, che attaccano pastori e bambini.
Ho visto una comunità intera abbandonare il proprio villaggio perché sfiancata dalla violenza dei coloni.
Famiglie che hanno svuotato le loro case, smontato tende, caricato i loro averi sui trucks per poi andarsene.
È stata una scena atroce.
Ongoing Nakba.
Avete idea di cosa possa voler dire abbandonare casa vostra con la consapevolezza che in quel posto non ci potrete mai più tornare?
Perché io l'ho visto, ho visto le persone andarsene con camion carichi di roba.
Un villaggio fantasma, che da lì a poco sarebbe diventato spazio dei coloni.
L'ho visto con i miei occhi ma non ho davvero idea di cosa voglia dire.
Non sento un legame particolare con la terra dove sono nata, eppure non riesco ad immaginare nemmeno il dolore che potrei provare ad impacchettare le mie cose, sapere di non poterci più tornare e soprattutto sapere che il posto in cui sono cresciuta, che custodisce i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, sarà usurpato da dei criminali.
Perché diciamolo chiaramente: i coloni che vivono in West Bank – in area C soprattutto - sono dei criminali.
Tra questi ci sono perfino coloni che hanno fatto la storia del terrorismo in Israele, consapevoli di poter fare quello che vogliono.
Glielo riesci a leggere negli occhi ed è terrificante: se non ti aggrediscono è semplicemente perché quel giorno non lo vogliono fare, non c’è nessun’altra ragione.
E poi ci sono le nuove generazioni: ragazzetti di 16 anni che fanno quasi più paura degli adulti, montati e inebriati del potere che sanno di avere.
E come se non bastasse c’è l’esercito israeliano, quello che una volta Bibi ha definito come l’esercito più morale del mondo, che appoggia, protegge ed esegue gli ordini dei coloni.
Un esercito che sembra ormai una milizia dei coloni.
Il generale che ha contributo a cacciarmi dal Paese, che da aprile ad agosto ha protetto coloni, provocato, arrestato senza motivo e umiliato tutti i giorni palestinesi e attivisti internazionali, ha ricevuto una promozione.
È stato promosso perché ha negato dei Diritti Umani a delle persone che semplicemente vogliono vivere la loro vita.
Perché anche questo è Israele: l'unica democrazia del Medio Oriente, come spesso si sente dire, che però premia anche chi i Diritti li nega tutti i giorni.
E di fronte a tutto questo la Palestina risponde, quotidianamente.
Risponde in un modo che ho sempre fatto fatica a descrivere come vorrei.
Perché quella dei palestinesi è una risposta di vita, e come faccio io a spiegare cosa è la vita?
È una risposta che cerca e riesce a ottenere dignità laddove non viene in realtà lasciato spazio alla dignità.
È una risposta che ci crede fino in fondo.
Vi è mai capitato di credere talmente tanto in qualcosa tanto da accettare l'idea che un giorno o l'altro potreste essere arrestati o addirittura uccisi?
Perché è questa la risposta dei palestinesi.
L'occupazione toglie ogni possibilità di vita e loro se la progettano la vita: studiano, costruiscono case, si sposano e fanno figli.
Come diceva Mahmoud Darwish “i palestinesi sono innamorati della vita”, perché la scelgono la vita, tutti i giorni.

M.