Un passo indietro

Quando faccio un passo indietro non sto perdendo contro l’occupazione. Me lo devo scrivere, per imprimerlo nella memoria.
I bambini di Tuba, gli shebab e i palestinesi ne hanno fatti di passi indietro, ma non si sono mai arresi. Per attuare una resistenza bisogna avere pazienza e lungimiranza. Fare un passo indietro per poi un domani farne mille avanti. Perché ne servono mille per riprendersi quella strada. Ma serve che si facciano nel giusto momento.
I soldati l’altro giorno ci hanno minacciato di fermare i bambini che stavano scortando. Li scortano per accompagnarli a scuola, per proteggerli dai civili israeliani che li attaccano con pietre, bastoni e coltelli.
Dovevamo spostarci, fare un passo indietro; esattamente un passo dietro al muretto, quello che segna il “confine di Havat Ma’on”, la terra dei coloni. Quel passo indietro ha un significato profondo, vuol dire che quella terra, libera e palestinese, vogliono che diventi un arido pezzo della colonia, pieno di razzismo e violenza. Rabbia, frustrazione e impotenza. Ma i bambini la scuola la devono raggiungere, devono studiare, devono fare quel passo avanti con la gamba che da anni l’occupazione cerca di amputare: l’istruzione, il gioco, la socialità.


Fatto un passo indietro, i bambini sono arrivati e i soldati se ne sono andati.
Adesso è un momento dove, per ottenere dei piccoli successi, bisogna arretrare di qualche metro.
Ma non disperiamoci compagnə, pazientiamo, aspettiamo e organizziamoci. Arriverà il momento in cui faremo passi avanti, e in quel momento dovremo avere delle gambe possenti, piene di voglia di riscatto e libertà; pronte per riprendersi le terre sottratte, calpestando i fucili dei soldati e i coltelli dei coloni. Sfidando apertamente chi la propria vita ha deciso di dedicarla alla sopraffazione del più debole, alla legge del più forte, sbattendogli in faccia l’infinita gioia che si prova nel lottare per la libertà di tutti, anche per la loro.
“Sono loro le vere vittime” ci dice Ahed, alta e fiera, “si sono costruiti delle prigioni dove rinchiudersi. Noi palestinesi nonostante i raid militari, i checkpoint e gli spari, continuiamo a dormire con le porte aperte”.
Soldato, colono, fucile e coltello: il cuore e le gambe vi spazzeranno via.

L.