Passare attraverso i muri

At-Tuwani, Territori Palestinesi Occupati

"We shoot at them and they shoot at us. / We retaliate and they strike back. / This is an endless and vicious cycle."

Leggiamo questi versi nella pagina principale del sito di The Other Voice, un gruppo di cittadinanza attiva con base a Sderot che accorpa sia parte dei suoi cittadini che quelli delle aree circostanti.

Questo gruppo non è affiliato con nessun partito politico nè associazione, e lavora per creare percorsi di pace e riconciliazione, tramite azioni creative ed educative. Parte dei sui membri accompagnati da alcune famiglie israeliane, nella giornata di venerdì 14 Gennaio 2011 sono venuti in visita al villaggio di At-Tuwani.

E' stata una giornata fondamentale e d'esempio per tutti. All'incirca due settimane fa alcuni leader del Comitato di resistenza popolare nonviolenta di At-Tuwani, incontravano due dei membri di The Other Voice, entrambi residenti nell'area vicino a Sderot, una delle città più bersagliate dagli attacchi di razzi Qassam provenienti dalla Striscia di Gaza. In quella stessa riunione si presero accordi su come si sarebbe realizzato uno degli eventi più densi di significato in questi ultimi mesi ad At-Tuwani.


E' importante precisare che nel villaggio di At-Tuwani il contatto con la parte israeliana non è una novità, anzi le relazioni sono molteplici, sia per quanto riguarda la collaborazione con diverse organizzazioni pacifiste israeliane, sia per i rapporti personali che alcuni abitanti del villaggio hanno costruito negli anni con chi abita al di là del muro.  Altrettanto importante è sottolineare che Sderot è una città israeliana situata a circa 1 km dalla Striscia di Gaza che tra il 2007 ed il 2008 ha vissuto uno dei periodi più intensi di attacco da parte di gruppi armati attivi nella Striscia. Ovunque in giro si possono vedere dei bunker di sicurezza, dove al suono della sirena di allarme antirazzo si hanno 15 secondi per cercarvi riparo.

Gli abitanti di Sderot e dintorni sono persone che vivono nella costante paura di una possibile offensiva, che potrebbe verificarsi in qualsiasi momento.

Questa precisazione ha solamente lo scopo di dare un'idea della potenza dell'evento e di chi erano gli attori in ballo: da una parte la frangia di popolazione israeliana più esposta in assoluto agli attacchi che arrivano da Gaza, dall'altra gli abitanti di un villaggio palestinese su cui l'occupazione israeliana si manifesta nelle sue forme più violente, tenendo le persone al limite della sopravvivenza, con il timore ogni giorno di essere bersaglio di aggressioni fisiche da parte di alcuni dei coloni più estremisti della West Bank, i coloni di Havat Ma'on, avamposto della colonia di Ma'on.


Verso mezzogiorno le auto cominciano ad arrivare, molte famiglie israeliane scendono e si parte per il consueto tour del villaggio con annessa spiegazione storica. Alcuni palestinesi di At-Tuwani fanno da ciceroni, conoscendo molto bene anche l'ebraico e, arrivati fino alla scuola, si iniziano subito giochi per rompere il ghiaccio.

Ci si mette in cerchio tutti assieme, bambine e bambini, ragazzi e ragazze, donne e uomini, si prende in mano una palla e lanciandola in aria si deve gridare il proprio nome, al rimbalzo l'altro partecipante la riprende e fa lo stesso fino a fare il giro completo.

Un buon inizio tra risate e imbarazzo per un incontro comunque non esente da tensioni e difficoltà.  

Dopo aver smorzato le inquietudini iniziali, quale miglior rimedio che una bella partita a calcio per superare un po' lo scoglio della lingua e poi tutti a pranzo insieme. Menù rigorosamente misto, specialità palestinesi ed israeliane, e banchetto collettivo all'aperto sfruttando la bella giornata.

Tra le attività del pomeriggio tutti i ragazzi hanno lavorato assieme per piantare varie tipologie di fiori intorno alla clinica, inaugurando un impianto di irrigazione discontinua che fornirà acqua ai vari germogli. Per finire, uno spettacolo di Dubke, tradizionale danza popolare palestinese, accompagnata e ritmata dagli applausi degli spettatori compiaciuti, ma non abbastanza temerari per acconsentire alle richieste di unirsi alle danze.

Verso le 5 del pomeriggio uno dei portavoce di The Other Voice, e Juma Rabai, abitante di At-Tuwani concludono con un discorso finale ringraziando i partecipanti per la numerosa presenza e con la promessa di organizzare al più presto un evento simile, magari con ancora più famiglie e più attività.


La giornata è trascorsa rapida e molto serena anche per noi colombe che osservavamo attoniti e incuriositi ogni espressione, ogni gesto, cercando di capire come due mondi così lontani, con ferite profonde ancora aperte, potessero riuscire ad attraversare, con apparente semplicità, dei muri generalmente considerati impenetrabili.

Ma i muri si vedono solo se si osserva il mondo attraverso una mappa.

Sentendo parlare alcune persone di Sderot veniamo a sapere che moltissimi bambini dormono ancora nelle vasche da bagno, invece che in comodi letti, questo perché i letti non forniscono protezione come le vasche.

Mondi diversi, ma stessi rischi.

Vivendo in questo villaggio da anni vediamo ogni giorno i bambini dei villaggi di Tuba e Maghayir al Abeed recarsi a scuola ad At-Tuwani scortati da soldati israeliani, questo per proteggerli da eventuali attacchi da parte dei coloni di Havat Ma'on.

Continuando a parlare e riflettere viene in mente un articolo letto l'anno scorso su "focusonisrael", in particolare una frase in riferimento alla situazione a Sderot: "Non si vedono i fieri “coloni” temuti dai pacifisti, ma persone provate che camminano con lo sguardo incollato a terra, bambini invecchiati precocemente con l’andatura dinoccolata e l’atteggiamento timido. Eppure i locali pubblici si riempiono, i negozi continuano ad avere clienti. Tra un allarme e l’altro gli abitanti di Sderot hanno trovato un loro modus vivendi."

Mondi diversi ma stesse percezioni.

Qua nel villaggio ogni giorno gli abitanti scelgono di rimanere, di non scappare, ogni giorno continuano le loro attività quotidiane, la quotidianità della resistenza, con la volontà di non abbandonare la propria terra per paura o per provocazione.

Verrebbe quasi da dire, parafrasando la frase citata dall'articolo, che qua ad At-Tuwani non si vedono i pericolosi "terroristi" così temuti da civili e soldati israeliani, ma uomini, donne e bambini che ogni giorno rischiano di essere attaccati o arrestati, con l'eventualità che vedano distrutte le loro case, i pozzi, le scuole, gli ospedali e la loro terra sottratta con la forza.

Eppure le case, come le scuole si riempiono e la gente continua la vita di tutti i giorni, in quella forma di resistenza che Hafez, leader del comitato di resistenza popolare nonviolenta di At-Tuwani, chiama Daily Life Resistence.


Alla fine di tutto Nasser, un abitante di At-Tuwani ci dice: "Loro hanno paura dei palestinesi più violenti, noi dei coloni più violenti. Tra persone che hanno paura ci si incontra e si parla assieme. Ma oggi noi non abbiamo mai parlato di quello di cui abbiamo paura, non abbiamo mai parlato dei più violenti!".

Questa frase è di una semplicità disarmante, e ci fa riflettere.

La riconciliazione necessita di una guarigione dalle ferite interne, la guerra e il conflitto mettono il dito proprio su quelle ferite. Queste ferite non si rimargineranno mai probabilmente se continuiamo a vedere tutto bianco o tutto nero, senza tonalità di grigio.

Le tonalità servono a comprendere che nessuno ha un monopolio delle e sulle verità.

La logica del bianco e nero imprigiona le persone, le fa schierare le une contro le altre, le fa gioire quando inizia una guerra, le fa combattere e le fa morire.

Se si rifiuta questa logica, ci si distacca da una delle forme di violenza più istintiva e radicata: il senso di vendetta e il bisogno del nemico.

Quando abbiamo chiesto a Mussab Rabai, studente universitario di Yatta, nato e residente ad  At-Tuwani cosa pensava di questa giornata lui ha risposto: "E' importante quando corri realizzare che stai andando avanti, non come in quelle macchine con le quali corri, corri e non ti accorgi che rimani sempre fermo".