Ottobre 2012

SITUAZIONE ATTUALE - CONDIVISIONE E LAVORO - VOLONTARI

Il mese di ottobre è stato caratterizzato dalla preoccupazione per la vicina sentenza dell'Alta Corte di Giustizia israeliana sulla questione della "Firing Zone 918".
All'inizio degli anni settanta infatti lo Stato di Israele ha dichiarato zona di addestramento militare un'area che comprende dodici villaggi palestinesi delle colline a sud di Hebron, stretti tra la Linea Verde e una cintura di colonie israeliane nazional-religiose. Tutta l'area è stata evacuata nel 1999, causando sofferenza a centinaia di famiglie che sono state deportate al di fuori della zona di addestramento militare. I palestinesi, supportati da alcune organizzazioni israeliane come ACRI, hanno fatto ricorso all'Alta Corte di Giustizia israeliana, la quale ha emesso una sentenza che ha permesso loro di tornare temporaneamente nelle case e di coltivare le loro terre. Ciò nonostante la popolazione palestinese ha continuato a subire l'isolamento, le restrizioni, le violazioni dei diritti umani, le minacce e le violenze causate dall'occupazione militare e civile.
Alle dodici comunità palestinesi, infatti, è stato impedito lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita attraverso una politica di costante negazione di permessi di costruzione e di una  continua consegna e attuazione di ordini di demolizione. Inoltre, la presenza delle vicine colonie e la violenza dei loro abitanti hanno spinto alcuni palestinesi ad abbandonare le case, lasciando disabitati i villaggi di Kharrouba e Sarura.
La popolazione del luogo è ancora in attesa di una sentenza finale e definitiva. Il Ministro della difesa Barak ha infatti chiesto, lo scorso luglio, di evacuare otto dei dodici villaggi presenti nella "Firing Zone 918", utilizzando come pretesto un impellente bisogno militare. La Corte avrebbe dovuto esprimersi in proposito il primo novembre ma, in seguito alla richiesta degli avvocati dei palestinesi, la data è stata posticipata al 16 dicembre. Operazione Colomba e il Comitato Popolare delle colline a sud di Hebron si sono interrogati su quali azioni di sostegno intraprendere nel breve e lungo periodo. La priorità rimane quella di una presenza costante a fianco dei palestinesi per condividere la loro vita e per non lasciarli soli.
Vita quotidiana. La vita dei volontari di Operazione Colomba e quella degli abitanti dell'area è stata scandita dai ritmi delle stagioni. Durante il mese di ottobre le famiglie palestinesi si sono riunite per la raccolta delle olive. Ad At-Tuwani e nei villaggi vicini i raccoglitori sono stati accompagnati sulle proprie terre dai volontari, che hanno prevenuto e monitorato eventuali aggressioni da parte di coloni israeliani. Sabato 27 ottobre, infatti, alcuni coloni mascherati e armati di fionde dell'avamposto di Havat Ma'on hanno minacciato i palestinesi, i quali però non hanno risposto alle provocazioni e hanno continuato la raccolta. Il giorno successivo, sono stati ritrovati danneggiati tre alberi carichi di olive nei pressi dell'avamposto.
Occupazione. La presenza dell'esercito ha limitato la libertà di movimento degli abitanti dell'area e ostacolato le attività dei pastori. I volontari hanno registrato e monitorato sei check point lungo l'unica strada che connette At-Tuwani e tutti i villaggi dell'area alla vicina città di Yatta e al resto della Cisgiordania. Inoltre, sotto esplicita richiesta del capo della sicurezza della vicina colonia di Ma'on, i soldati hanno allontanato i pastori dal pascolo per tre volte durante questo mese.
L'occupazione civile e militare israeliana ha mostrato l'intenzione di colpire i beni primari della quotidianità dei pastori palestinesi: il 16 ottobre, infatti, una ruspa scortata da militari israeliani ha demolito nel villaggio di A-Seefer un servizio igienico, un container, un riparo e un recinto per le pecore. Durante l'incidente una pecora è rimasta uccisa sotto le macerie. I volontari di Operazione Colomba hanno monitorato e documentato il comportamento dei soldati e successivamente hanno visitato le famiglie colpite. Il comportamento delle forze militari israeliane mette peraltro in evidenza le stridenti contraddizioni dell'occupazione: nella stessa giornata i soldati, che nel corso della mattinata erano stati protagonisti delle demolizioni, hanno avuto il compito di proteggere gli agricoltori palestinesi che lavoravano le proprie terre di fronte alla colonia di Ma'on dalle possibili aggressioni di coloni. Resistenza nonviolenta. La resistenza nonviolenta delle comunità delle colline a sud di Hebron viene portata avanti con costanza e determinazione. Nel mese di ottobre infatti è stata completata la ricostruzione della moschea di Al Mufaqarah, demolita dall'esercito israeliano nel novembre del 2011. Nei giorni successivi alla demolizione, centinaia di palestinesi, provenienti da tutti i villaggi circostanti, si erano riuniti in preghiera sulle macerie ed avevano iniziato insieme la ricostruzione, poi bloccata da un ordine di fermo dei lavori da parte dell'esercito israeliano. I lavori alla moschea si inseriscono nella più ampia campagna denominata "Al Mufaqarah R-exist", lanciata il 19 maggio per difendere il legittimo diritto di questa comunità palestinese a esistere sulla propria terra. I volontari sono stati chiamati a monitorare i lavori e hanno mantenuto una presenza costante nel villaggio per tutta la loro durata, condividendo la quotidiana resistenza nonviolenta all'occupazione. L'esercito ha tenuto sotto controllo sia lo svolgimento dei lavori, che la vita quotidiana dell'intera comunità, documentando i progressi e minacciando di arresto i lavoratori. Anche i coloni del vicino avamposto di Avigaiyl hanno fatto numerosi sopralluoghi intimidatori e un'Associazione di coloni israeliana chiamata "Ragavim" ha consegnato agli abitanti un fascicolo in cui denuncia l'illegalità  della moschea. I palestinesi hanno continuato a lavorare senza farsi scoraggiare dalle minacce, supportati dalla presenza dei volontari di Operazione Colomba.
Un episodio in particolare ha unito i palestinesi nel continuare a percorrere insieme la scelta nonviolenta, come risposta alle ingiustizie e come via per affermare i propri diritti.
Era la notte del 29 ottobre. Alcuni palestinesi lavoravano ad una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana illuminati solamente dai fari di un auto, in un piccolo villaggio chiamato Ar-Rakeez, poco lontano da At-Tuwani. Di notte, per non farsi sorprendere dall'esercito; di notte, perché secondo la legge israeliana quei lavori erano illegali; di notte, perché sei un criminale se vuoi migliorare le condizioni di vita precarie della tua famiglia, qui.
Il proprietario della cisterna e la sua famiglia si sono trasferiti meno di tre anni fa dalla città di Yatta nelle loro terre qui in Area C, sotto controllo civile e militare israeliano. Hanno rinunciato ad una vita comoda, con tutti i servizi, perché credono nella scelta nonviolenta che gli abitanti dell'area stanno portando avanti con tanto coraggio; perché credono che in alcuni posti la nonviolenza cambi la storia e loro hanno scelto di far parte di questo cambiamento.
Durante quella notte alcuni palestinesi stavano dunque costruendo una cisterna per la raccolta dell'acqua piovana nel villaggio di Ar-Rakeez, quando l'esercito e la polizia israeliani hanno fatto irruzione, ordinando loro di fermarsi. Il proprietario, Said Raba', si è rifiutato. Così è stato picchiato e arrestato e sua figlia di ventun'anni, che ha tentato di difenderlo, è stata colpita all'addome dai militari. La presenza di due volontarie, questa volta, non ha impedito l'uso della violenza da parte di chi si fa forte imbracciando un'arma, ma quella presenza è diventata testimonianza.
Mentre i poliziotti e i soldati detenevano l'uomo, inginocchiato e ammanettato, circa sessanta palestinesi provenienti dai villaggi circostanti sono arrivati sul posto. Le donne hanno provato ad avvicinarsi e gli uomini ad attirare l'attenzione dei soldati, ma vista la risposta popolare i soldati e i poliziotti si sono affrettati a proseguire l'arresto, portando Said alla stazione di polizia, per poi trasferirlo nella prigione di Ofer. Quella stessa notte, non appena l'esercito ha lasciato il posto, i palestinesi hanno ripreso i lavori alla cisterna dell'acqua, mentre una decina di donne si tenevano pronte ad interporsi nel caso i soldati fossero tornati. Quella notte, nel villaggio di Ar-Rakeez, una cisterna è stata costruita. Quella notte, ancora una volta, i palestinesi hanno mostrato come l'unica risposta possibile alla violenza e alle umiliazioni quotidiane che subisco sia continuare a costruire.
Proprio quel pomeriggio, durante il workshop "Perdono personale e resistenza nonviolenta", organizzato da Operazione Colomba e dal Comitato Popolare delle colline a sud di Hebron, padre Gianfranco Testa diceva “perdonare non significa dimenticare, ma farsi del bene, evitare di farsi mangiare quotidianamente dal rancore o dall'odio”, e ancora "il perdono non cambia il passato, ma rende più aperto il futuro". I volontari di Operazione Colomba hanno visitato la casa dell'uomo arrestato, in cui erano rimasti solamente donne e bambini, e hanno passato la notte con loro.
Questa condivisione cerca di  guarire, poco per volta, la ferita della violenza subita e di "rendere più aperto il futuro".