Settembre 2013

CONTESTO GENERALE

Settembre 1993, settembre 2013. Questo mese gli accordi di Oslo compiono vent'anni. Venti lunghissimi anni da quella famosa stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat che avrebbe dovuto porre le basi per la risoluzione del conflitto tra Israele e Palestina e dare il via al reciproco riconoscimento dei due Stati.  In Palestina, e in area C in particolare però, questo compleanno non si festeggia, ma riporta alla luce le ferite di chi in vent'anni ha visto accelerare la politica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e continua a vivere sotto il controllo civile e militare israeliano. E' il compleanno di un fallimento, di una speranza di pace uccisa da chi invece costruisce chilometri e chilometri di muri. La vita qui in Area C ha ben poco di diverso da vent'anni fa. Nelle Colline a sud di Hebron non c'è pace.
Gli ulivi da sempre sono un simbolo di pace. In questa terra ce ne sono tantissimi, ma paradossalmente spesso si fanno protagonisti di una quotidiana violenza e brutalità, e in questo mese in modo particolare.
Da metà agosto sono stati 22 gli ulivi palestinesi distrutti dai coloni. 91 dall'inizio del 2013. Sono alberi di 30 o 40 anni e ogni proprietario conosce i propri ulivi uno per uno; è molto doloroso per i palestinesi vedere distrutto qualcosa a cui sono così profondamente legati. Tutto ciò è poi reso ancora più grave dal fatto che tra poco inizierà la stagione del raccolto, e per molte famiglie nelle Colline a sud di Hebron le olive con cui produrre un profumatissimo olio sono una delle principali fonti di reddito.
Come ormai da alcuni mesi, le colonie dell'area continuano ad espandersi e i lavori procedono senza tregua. Il rumore delle ruspe sta diventando una triste abitudine nei pressi della colonia di Ma'on e dell'avamposto di Avigayl. Ma come ormai abbiamo capito, questo luogo porta con se tanto dolore, ma non manca mai di meravigliarci. Con il diminuire del caldo molti pastori hanno ripreso a pascolare le loro pecore per lunghe ore, spesso spingendosi nei pressi degli avamposti. Perché la resistenza nonviolenta si nutre del coraggio di chi non vuole arrendersi ad abbandonare le proprie terre, quelle stesse in cui le loro pecore pascolano da generazioni.
Per quanto riguarda l'area chiamata Firing Zone 918, la sentenza del 2 settembre, come già si presagiva da tempo, non ha portato grandi risultati. L'Alta Corte di giustizia israeliana ha invitato il governo israeliano e gli avvocati che rappresentano gli abitanti palestinesi dell'area a cercare una mediazione per porre fine alla disputa. Se nessun accordo sarà raggiunto, il caso tornerà di fronte ai giudici. Il governo israeliano avrà tempo fino al 7 di ottobre per decidere se impegnarsi o meno in questa mediazione (per ulteriori approfondimenti visitare il sito: www.nofiringzone918.org). Intanto si attende e gli abitanti degli otto villaggi che rischiano l'evacuazione continuano a vivere in un limbo, in attesa di sapere che ne sarà delle loro case, tende, grotte, scuole e delle loro vite. Una condizione di insicurezza che continua a pesare sulle spalle dei residenti della Firing Zone, i quali, come ci racconta un abitante del villaggio di Al Majaz, vogliono solamente vivere sulla loro terra in maniera dignitosa, senza l'esercito che impedisca loro di muoversi o di pascolare le greggi, con la possibilità di costruire strade e avere l'energia elettrica e l'acqua corrente. Tutte cose che per ora restano loro precluse.

CONDIVISIONE E LAVORO

Le prime settimane di settembre il gruppo era composto da pochi volontari. Per fortuna però è stato un periodo di relativa calma, questo ci ha dato l' irripetibile occasione di conoscere meglio le famiglie del villaggio di Tuwani e dei villaggi vicini, ma anche di prenderci momenti di riflessione e goderci i tramonti infuocati sulle colline.
Via via nuovi volontari sono arrivati e il gruppo è ritornato ad essere un po' più corposo. Così abbiamo ripreso molte attività che avevamo momentaneamente abbandonato, come andare a dormire nel vicino villaggio di Tuba o nei villaggi della Firing Zone 918. Abbiamo anche ripreso ad accompagnare all'interno della Firing Zone una jeep che si occupa di caricare da vari villaggi alcuni bambini e portarli a scuola. Essendo un'area militare chiusa, solo i residenti vi potrebbero accedere, per cui la jeep rischia ogni giorno di essere sequestrata e il guidatore arrestato. Ma il diritto all'istruzione è una cosa seria, e per fortuna ci sono uomini che accettano di prendersi questi rischi per permettere a dei piccoli marmocchi di arrivare fino a scuola ogni mattina.
Come ormai i volontari di Operazione Colomba fanno da tanti anni, dalla domenica al giovedì monitoriamo puntualmente la scorta militare che accompagna i bambini di Tuba da casa a scuola e ritorno. Meno puntuali sono però i soldati, che in questo mese si sono distinti per i molti ritardi (una settimana hanno tardato 6 volte su 10). Hanno così costretto i bimbi a lunghe attese in un posto pericoloso perché vicino all'avamposto di Havat Ma'on e noi ad aspettare con loro.
Infine da metà settembre una decina di uomini provenienti da vari villaggi hanno cominciato a risistemare la strada che porta dal villaggio di At-Tuwani a quello di Al Mufaqarah costruendo piccoli muretti a secco. Così anche noi seguiamo tutte le mattine questo lavoro e stiamo pronti nel caso soldati o coloni vengano a interrompere il procedere dell'opera. Nel frattempo cogliamo l'occasione per fare molte chiacchiere e farci raccontare di come vanno le cose nei villaggi che riusciamo a visitare meno spesso.

R-ESISTERE

Anche le cose più normali e divertenti come i concerti, in questa terra diventano occasione per perpetrare l'occupazione e ricordare al popolo palestinese che non è più proprietario della sua terra. E' quello che è accaduto nel villaggio di Susiya, che in passato ha già subito ben tre evacuazioni, una delle quali dovuta al fatto che il villaggio sorgeva sopra alle rovine di un' antica sinagoga. Su quella stessa terra, ora c'è un sito archeologico. Ed è proprio in quel sito che il famoso cantante israeliano Ehud Banai ha scelto di tenere un concerto che ha attirato e intrattenuto centinaia di famiglie israeliane. Nonostante molti palestinesi e attivisti israeliani gli avessero chiesto di non collaborare con il sistema dell'occupazione e dunque di non fare lo spettacolo su una terra rubata, il cantante ha risposto che oramai non poteva più cancellare una data del suo tour. Ma i palestinesi delle Colline a sud di Hebron non potevano accettare questa normalità, ad accettare che fosse normale per tanti israeliani andare a sentire un concerto laddove un giorno c'erano le loro case e le loro vite. Il comitato popolare di resistenza nonviolenta e gli attivisti israeliani di Ta'ayush hanno organizzato allora per la stessa sera una manifestazione nonviolenta proprio accanto al luogo del concerto; come sempre i bambini e le donne a testa alta davanti ai soldati, con fiaccole, bandiere e canzoni per ricordare a tutti gli israeliani che quella sera avrebbero partecipato a qualcosa che non è normale né giusto, che sarebbero stati coinvolti in prima persona nell'ennesima violazione dei diritti umani di una popolazione già segnata e ferita da decenni di violenza. La manifestazione, a cui erano presenti molti palestinesi, attivisti israeliani e internazionali, si è svolta pacificamente con tanta gioia e una punta di malinconia per il massiccio schieramento di soldati e l'indifferenza di molti israeliani.
Una canzone che ci hanno fatto conoscere alcuni ragazzi palestinesi ha una verso che dice: “Oh God thank you for giving us strenght to hold on”. Dio grazie per darci la forza di resistere. Perché per resistere e non arrendersi all'abitudine dell'ingiustizia ci vuole davvero tanta forza e tanta speranza. Per fortuna a questa gente non manca mai.