Dicembre 2014

SITUAZIONE ATTUALE

Quando, nel 2000, gli abitanti delle Colline a sud di Hebron, che erano stati evacuati dalle proprie case e deportati più a nord, riottennero il diritto di tornare nei propri villaggi, lanciarono un messaggio alle forze dell'occupazione: la violenza, le minacce, le ingiustizie non li avrebbero dissuasi dalla loro resistenza.

Ogni giorno il loro esserci sarebbe stato come un messaggio scritto in ogni piccolo gesto "noi resistiamo". Adottando questa chiave di lettura scopriamo, nel mese di dicembre, il senso basilare della scelta nonviolenta dei palestinesi delle colline a sud di Hebron.
I ritmi della vita sono rallentati. Gran parte del lavoro di aratura e semina della terra, iniziato nel mese precedente, è stato ultimato non senza le consuete interferenze dell'esercito israeliano e dei coloni, i quali in più di un'occasione hanno tentato di ostacolare l'esercizio delle quotidiane attività dei palestinesi. In un contesto di calma apparente, come quello di dicembre, si collocano, tuttavia, alcuni messaggi. Innanzitutto quelli lanciati dall'occupazione.
A partire dalla seconda settimana di dicembre, mentre nel villaggio palestinese di Al-Mufaqarah veniva consegnato un ordine di  demolizione, ruspe ed escavatrici hanno lavorato all'espansione della colonia di Ma'on. La complicità tra coloni e forze armate si è palesata in più di un'occasione. Quasi incredibile la coincidenza di avvenimenti del 31 dicembre quando, mentre nella notte alcuni coloni hanno lanciato una molotov all'interno di una casa palestinese di un villaggio vicino ad At-Tuwani, Ad-Deirat, di giorno le forze armate israeliane hanno demolito una tenda in un altro villaggio vicino, Al-Mufaqarah (per saperne di più leggi il comunicato).
Un altro caso è quanto accaduto il 15 Dicembre, quando l'ingresso del villaggio di At-Tuwani è stato bloccato per alcune ore da esercito e Border Police per consentire ai coloni di partecipare a una maratona sulla Bypass road 317. L'episodio ha creato notevoli disagi e timore per gli abitanti del villaggio.
Un altro segnale che ha preoccupato i palestinesi in questo mese è stato il ritrovamento di alcune sigle dipinte sulle rocce di diverse valli e colline dell'area. A maggior ragione per il fatto che, nelle notti antecedenti ai ritrovamenti, coloni ed esercito si sono aggirati nei dintorni dei villaggi mettendone in allarme gli abitanti.
Ma l'occupazione non è stata l'unica a lanciare messaggi. La quotidiana rivendicazione dei palestinesi non si è fermata. Basti pensare alle numerose occasioni in cui questi hanno popolato le aree più a rischio o soggette a ordini restrittivi per rivendicare il proprio diritto su quelle terre. O ancora la loro proverbiale determinazione con cui sono tornati a costruire nel villaggio beduino di Um Al Kher, in cui l'esercito israeliano aveva demolito diverse strutture a ottobre.

CONDIVISIONE E LAVORO

Nel mese di Dicembre i volontari hanno accompagnato gli abitanti delle Colline a Sud di Hebron nelle loro attività quotidiane. Innanzitutto a partire dal monitoraggio della scorta militare prevista per i bambini di Tuba. Più volte l'esercito ha svolto il suo compito in modo scorretto, mettendo così a rischio l'incolumità dei bambini. I volontari hanno documentato e supportato i palestinesi nella scelta di tornare sulle terre soggette a ordini restrittivi da parte delle forze dell'occupazione. Una tra queste è la valle di Khelly. Dichiarata «area militare chiusa» a settembre del 2013, nonché luogo di frequenti minacce o violenze da parte di coloni e forze armate israeliane, questa valle di proprietà palestinese è stata arata nonostante le restrizioni. In questa e in altre occasioni simili i volontari sono stati testimoni della grande forza d'animo che muove le azioni dei palestinesi. Come nel caso dell'azione, organizzata da una famiglia di Yatta, durante la quale sono stati piantati nuovi alberi di ulivo in un uliveto che negli ultimi due anni è stato distrutto due volte dai coloni israeliani. In molti casi il volgere al termine di una giornata di lavoro dei campi, o la fine dei lavori per la costruzione di una nuova casa, sono state occasioni per trascorrere ore in compagnia dei palestinesi. Riuniti attorno al calore di una stufa, nonché pervasi dal calore umano che la gente del posto è capace di emanare.

R-ESISTERE - UMM ZEITOUNA

La scorsa settimana eravamo fuori dalla sua tenda, sotto il cielo limpido di una notte fredda ma stellata. Provavamo un piacevole senso di complicità, io e T. "E' una questione di rispetto… " - mi dice - "Credi che mio padre non sappia che fumo quando sono in Umm Zeitouna con le pecore?". T. alza lo sguardo, si perde per un attimo tra le valli illuminate dalla luna, poi riabbassa lo sguardo. "Ho paura che sia vicina la fine di Umm Zeitouna. L'altro giorno dei soldati sono scesi nella valle, hanno scritto delle sigle sulla roccia. Forse vogliono trasformare la valle in un'area per esercitazioni militari. Forse vogliono farci una colonia. Chi può saperlo".
Era la prima volta che vedevo T. serio. La valle in cui ogni giorno si reca col gregge, a causa della sua vicinanza alla colonia, è in gran parte un'area il cui accesso è vietato per i pastori palestinesi. Le forze dell'occupazione fanno sentire la propria opprimente presenza. E' la loro strategia. E le scritte ritrovate nella valle, qualunque sia il loro senso, suonano come un ultimatum "Abbandonate le speranze, perderete questa battaglia, perderete la valle".
Questa mattina T., come ogni giorno, ha portato le pecore al pascolo sulla valle di Umm Zeitouna. Anche oggi la sua presenza è come un messaggio scritto sulle rocce. "Io resisto".