Febbraio 2015

SITUAZIONE ATTUALE

Febbraio è un mese di transizione nelle colline a sud di Hebron: la neve e il freddo si alternano a giornate calde, in cui il sole brilla e risplende rendendo il paesaggio di un verde intenso. Pian piano le giornate si allungano, la terra respira erba e i pastori escono di prima mattina: è la primavera che si avvicina. L'occupazione, però, non si ferma: all'inizio del mese due pastori, di cui uno minorenne, sono stati arrestati dall'Esercito israeliano con l'accusa di pascolare il loro gregge nelle terre vicino a Ma'on, obiettivo di espansione della colonia israeliana; un altro ragazzo, invece, è stato liberato grazie ad un'azione nonviolenta degli abitanti del villaggio di At-Tuwani.
Nelle valli di Umm Zeitouna, verso la fine di febbraio, due pastori e due volontari sono stati detenuti dalla polizia perché in terre "non consentite ai palestinesi". Grazie anche all'aiuto di attivisti israeliani, i due volontari sono stati liberati mentre i due pastori sono stati arrestati ingiustamente.
Questi due arresti sono sempre stati causati dalle chiamate dei coloni alla polizia e all'esercito israeliano, rendendo palese non solo la forte e continua cooperazione tra coloni e forze israeliane, ma anche la loro strategia: i coloni non agiscono più individualmente, forse a causa del forte eco che le loro azioni violente hanno avuto sull'opinione pubblica internazionale, ma si appoggiano alle forze dell'ordine che in numerosi casi, come abbiamo documentato, prendono ordini direttamente da loro.
Tentativi di arresto si sono verificati per tutto il mese, ma è anche grazie alla nostra presenza sul campo che molti di questi arresti non si sono verificati.
Ogni mattina, aspettando i bimbi per lo "school patrol" sulla collina di Khelly, vediamo coloni che lavorano a nuove abitazioni.
Si legge nei giornali che negli ultimi mesi c'è stato un boom di appalti per costruire case nelle colonie, ma non abbiamo bisogno dei giornali per sentire quel martello e quel trapano, il cui rumore, però, non riuscirà mai a superare le risate dei bambini.

CONDIVISIONE E LAVORO

Le attività dei volontari si sono svolte a pieno ritmo per tutto il mese. Si sono interrotte solo per pochi giorni a causa di una grande nevicata che ha, apparentemente, paralizzato il villaggio in una sorta di dimensione fuori dal tempo e dallo spazio e, di conseguenza, dall'occupazione.
At-Tuwani sotto la neve è uno spettacolo unico e le improvvisate battaglie di neve "ajaneb" contro palestinesi ci hanno fatto per un attimo dimenticare la pesantezza dell'occupazione. E' stato bello perdersi nelle fragorose risate dei ragazzi del villaggio che ci prendevano in giro per la nostra pessima mira e la nostra incapacità ad accendere una stufa: resistenza è soprattutto non perdere il sorriso, alla faccia di chi cerca di rendere la vita di queste persone impossibile.
Il ritmo blando di queste giornate ci ha permesso di condividere bei momenti sia all'interno del gruppo, che con i palestinesi. Tuttavia, se è vero che la resistenza non si ferma, purtroppo neanche l'occupazione lo fa: la neve non è bastata a fermare l'azione violenta di alcuni coloni che hanno distrutto 36 alberi d'ulivo ventennali, vicino al villaggio di Suseya.
La neve si è sciolta in fretta per lasciare spazio a temperature primaverili e noi volontari torniamo alle nostre attività di sempre: il lavoro della scorta militare, che ha il compito di accompagnare i bambini nella strada verso la scuola, è stato spesso sommario e incompleto. Numerosi sono i casi di ritardo, che hanno impedito ai bambini di arrivare in tempo a scuola; a volte è capitato che la scorta non si presentasse e che i bambini fossero costretti a percorrere la strada lunga per tornare a casa; altre volte che compisse il lavoro solo per metà, lasciando i ragazzi in una zona pericolosa tra l'Avamposto e la Colonia di Ma'on.
La mattinata continua quasi sempre sulle colline di Kharrouba, Meshaha e Old Havat Ma'on dove molti pastori devono fare quotidianamente i conti con i coloni che puntualmente chiamano l'esercito.
Anche le minacce di demolizione non si arrestano: da Maghayir Al Abeed ci chiamano per fotografare una strada il cui completamento è stato bloccato dalle autorità israeliane.
Il lavoro dei volontari di Operazione Colomba continua anche con le visite ai villaggi vicini per riuscire ad avere sempre una panoramica ampia e chiara del livello di minacce che i palestinesi devono subire in tutta la zona e anche per mostrare la nostra solidarietà e vicinanza alle famiglie. Andiamo, quindi, a Umm Al-Kheir dove ci viene chiesto di accompagnare i pastori nei fine settimana perché la paura ad attraversare zone anche solo vicine alle colonie si fa sentire costantemente. Andiamo anche a Mufaqarah a portare medicinali e a far visita alle donne del villaggio, che contribuiscono sempre e in maniera determinante alle azioni di resistenza nonviolenta nelle colline a sud di Hebron.

R-ESISTERE - ESSERCI

Anche se l'occupazione logora le vite dei palestinesi, la tranquillità che queste persone trasmettono ti fa ancora credere che le cose possano veramente cambiare, che la resistenza nonviolenta sia l'unica via d'uscita per non lasciarsi intrappolare in quella normalizzazione che porterebbe a vedere tutti i soprusi, le violazioni dei diritti umani e le minacce, come parte integrante della vita quotidiana.
La strategia israeliana, per quanto estenuante, trova davanti a sé una popolazione forte, cosciente dei propri diritti; una popolazione che non si lascia intimidire, persone che non si scoraggiano e che "credono che alla fine di tutto, vinceranno".

Toccare da vicino e in prima persona ciò che fino a poco tempo fa leggevo sui giornali, sentire che non sono più parole lontane ma fatti quotidiani, fa male. Perché quelle parole altro non sono che ferite inflitte quotidianamente al popolo palestinese, ferite che restano lì, sempre aperte, che bruciano.
Non è facile sentirsi diversi e lontani, non è facile accettare di aver avuto il privilegio “immeritato” di poter scegliere come e dove vivere.
Fa male non potersi sentire palestinese fino in fondo, fa male non sapere cosa vuol dire vivere e crescere in un'ingiustizia. Fa male sentire che non potrò mai capire fino in fondo perché io qui non ci sono nata e cresciuta.
Non sono palestinese e sentirsi dire: "Voi due siete internazionali, siete liberi. Voi due invece siete palestinesi, siete in arresto" fa male.