Marzo 2015

SITUAZIONE ATTUALE

Marzo è stato mese di elezioni in Israele: la maggioranza dei cittadini ha deciso di votare per il Likud, partito del primo ministro Nethanyahu. Si aspettavano con trepidazione questi risultati, e la notizia che, per la quarta volta consecutiva, si è scelto di votare colui che ha fatto della sicurezza il cuore della sua politica, ci ha lasciati con l'amaro in bocca. Pochi giorni prima delle elezioni il premier Nethanyahu aveva affermato che i palestinesi non avrebbero mai avuto un loro Stato, bloccando formalmente un qualsiasi processo di pace.
Di fatto, però, i palestinesi vivono sulla loro pelle quotidianamente queste affermazioni. Ogni giorno di più è molto chiaro che la politica adottata dal governo israeliano non è volta alla pace.
La tendenza è sempre quella tipica dell'occupazione: creare circoli di paura e di odio, spaventare i palestinesi, metterli nelle condizioni di andarsene. Il tutto attraverso i numerosi strumenti dell'occupazione: arresti, ordini di demolizione, repressione e tentativi quotidiani di scacciare i palestinesi dalle proprie terre.
A marzo nelle colline a sud di Hebron, delle elezioni non parla nessuno. Marzo significa primavera inoltrata. Le colline di un verde brillante regalano fiori e frutti. Il sole splende e il ritmo è intenso. I pastori ne approfittano ed escono con le pecore fino al tramonto e pian piano ci si inizia a preparare per il raccolto. Le quotidiane attività dei palestinesi si scontrano, però, con la cadenza sistematica del peso dell'occupazione, che è stata la protagonista del mese.
Le forze dell'(dis)ordine israeliane hanno preso di mira, in particolar modo, pastori e raccoglitori di erbe, che sono stati arrestati con l'accusa di essersi spinti in terre troppo vicine a colonie e avamposti. Poco importa se queste terre sono palestinesi e che gli avamposti da proteggere sono considerati illegali secondo la stessa legge israeliana. I paradossi e le palesi ingiustizie sono pane quotidiano per i palestinesi di queste terre.
A marzo i coloni, dopo un periodo di relativo calo delle violenze dirette, sono tornati ad attaccare di nuovo e violentemente. Ragazzi coloni sono usciti mascherati dall'avamposto ben tre volte questo mese, con l'intenzione di colpire palestinesi e attivisti. Nel corso di uno di questi attacchi, una bambina palestinese di soli sei anni è stata colpita alla testa mentre cercava di scappare. La violenza dei coloni non si placa, ma la resistenza neanche. Ed ecco spuntare S., il giorno dopo l'attacco, fuori da scuola con un cappellino in testa per coprire la ferita. Il suo "io non ho paura", è più forte dell'odio di chi l'ha colpita.

CONDIVISIONE E LAVORO

Il mese di marzo ha visto un intensificarsi delle attività dei volontari di Operazione Colomba. Per tre volte questo mese, sei dall'inizio del 2015, la scorta militare non ha adempiuto al compito di scortare i bambini verso casa, obbligandoli a passare per la strada lunga e mettendoli in pericolo. Si sono verificati anche numerosi casi di ritardo e spesso l'atteggiamento dei soldati, in seguito alle sollecitazioni dei volontari, si è dimostrato qualunquista e indifferente.
Quattro ragazzi sono stati arrestati per aver raccolto erbe in terre vicine all'avamposto e in altre situazioni sono stati scacciati direttamente da coloni con il volto coperto e i sassi in mano. Questa escalation di violenza è culminata nell'attacco contro due ragazzine palestinesi che stavano raccogliendo erbe per il bestiame vicino al villaggio di Tuba. Una è riuscita a scappare, ma la più piccola no: colpita alla testa con un sasso, è stata curata solo due ore dopo l'accaduto da un medico militare.
Alcuni attivisti israeliani del gruppo dei Ta'ayush hanno organizzato un'azione di protesta contro l'accaduto e di tutta risposta si son visti attaccare da coloni mascherati con sassi e slingshots.
Oltre alla violenza di questi attacchi diretti, i palestinesi hanno subìto anche l'occupazione, quella più subdola, perché nascosta sotto le mentite spoglie della giustizia. Un pastore è stato arrestato per aver pascolato in terre "contese", un palestinese di Mufaqara è stato fermato dalla polizia perché stava circolando sulla Bypass Road 317 senza i permessi necessari. La polizia decide di sequestrargli definitivamente la macchina, M., in risposta, ride e brucia il verbale davanti ai poliziotti. Questa è la resistenza nonviolenta che siamo abituati a vedere qui, nelle colline a sud di Hebron. Rompere il circolo della paura attraverso una risata: "mi sequestrate la macchina? Tranquilli, oggi vado a Yatta e me ne compro un'altra".
Anche ordini di demolizione non sono mancati nella zona: a Umm al Kherr nel mese di marzo ne sono stati consegnati sette e l'esercito ha tentato di demolire, per l'ennesima volta, il "taboon" (forno) del villaggio, ma grazie ad una azione di resistenza popolare, palestinesi e internazionali sono riusciti ad impedirlo.
Non solo notizie negative, però. Il villaggio di Tuwani ha festeggiato gli studenti dell'ultimo anno con una grande festa alla scuola. Famiglie orgogliose dei propri figli, danze, musica e balli hanno per un attimo messo in stand-by il peso dell'occupazione. I ragazzi del Freedom Bus, un'associazione teatrale palestinese, hanno partecipato alla festa, regalando agli studenti e agli abitanti del villaggio una messa in scena e costruendo per i bimbi dello school patrol una grossa tenda, dove poter aspettare la scorta nei suoi periodici ritardi.
La presenza dei volontari di Operazione Colomba è stata in molti casi fondamentale per evitare che arresti e attacchi contro i palestinesi si concretizzassero.

R-ESISTERE – RESISTENZA E' ESISTENZA

Da quando ho messo piede su queste bellissime colline a sud di Hebron, non ho mai smesso di interrogarmi un attimo sul significato della parola Resistenza. I palestinesi me lo stanno insegnando dal primo giorno in cui sono arrivata.

Resistenza è non avere paura.
Resistenza è M. che, ridendo, brucia il verbale di sequestro della sua auto davanti ai poliziotti.
Resistenza è S. che spunta fuori da scuola, il giorno dopo che i coloni l'hanno sassata, che ti guarda, ti sorride e ti chiede «Munken Talawin? ("Posso colorare"?)».
Resistenza sono i due fratelli MF. che pascolano ogni giorno in terre non consentite ai palestinesi, soprattutto quando ci sono Esercito e Border Police lì ad aspettarli.
Resistenza è A. che mi dice «che provino pure ad arrestarci, tanto noi ad Umm Zeitouna ci torniamo lo stesso».
Resistenza è H., la sua immensa forza e coraggio, il suo vacillare senza mai perdersi.
Resistenza è A. che rimprovera i soldati per essere arrivati in ritardo allo school patrol.
Resistenza sono le donne del villaggio che lottano per riportarsi a casa i figli, i nipoti, gli amici, i fratelli.
Resistenza è festeggiare la nascita di M. tutti assieme.
Resistenza è amore e amare.
Resistenza è essere più forti dell'odio e più forti di chi vorrebbe fosse l'odio a prevalere.
Resistenza è vivere.