Maggio 2015

SITUAZIONE ATTUALE

Come ogni maggio, dal 15 maggio 1948, arriva l'anniversario della Nakba e come ogni anno i palestinesi vivono sulla loro pelle, nella loro vita quotidiana, che la Nakba non è mai finita.
Quest'anno, nelle colline a Sud di Hebron, a risvegliare il ricordo e il fantasma delle evacuazioni e delle deportazioni ci ha pensato l'Alta Corte di Giustizia Israeliana che, attraverso la risoluzione emessa il 5 maggio, ha dato la concessione della distruzione dell'intero villaggio palestinese di Susiya e la conseguente espulsione dei suoi 340 abitanti.

 

Come conseguenza della decisione della Corte, il 10 maggio sono stati consegnati ordini di demolizione a due strutture per animali e al parco giochi del villaggio. Questa nuova ed imminente minaccia di evacuazione forzata ha risvegliato negli abitanti di Susiya il ricordo della tragica espropriazione e deportazione vissuta nel 1986, quando l'antico villaggio palestinese è stato dichiarato sito archeologico dello Stato di Israele e l'intera popolazione è stata costretta a trasferirsi sui propri terreni agricoli limitrofi, mentre i coloni israeliani vivono in un avamposto illegale situato proprio all'interno del suddetto sito.
Il caso specifico di Susiya è un caso emblematico che riflette il problema sistematico dei villaggi palestinesi in area C, i quali non possiedono l'autorità di pianificazione dei propri villaggi e sono sottomessi all'autorità militare israeliana che impedisce loro qualunque tentativo di autodeterminazione.
Questo ricordo ha però anche riaffermato la volontà degli abitanti di Susiya di resistere all'ennesima oppressione delle forze di occupazione. Ha mostrato ancora una volta l'incredibile forza della «sumud» del popolo di Susiya e di tutta la Palestina. Infatti alla minaccia di un'altra deportazione, nelle colline a Sud di Hebron si è attivata una grande prova di resistenza, organizzazione e solidarietà e la risposta è stata chiara: «noi restiamo... e non siamo soli». Nel mese di maggio, Susiya è stato un territorio di resistenza quotidiana, attraversato da numerose realtà nazionali e internazionali: comitati di resistenza popolare palestinesi, delegazioni nazionali e internazionali, organizzazioni israeliane, ambasciate e giornalisti hanno portato il loro supporto e solidarietà alla popolazione ogni giorno. Per l'occasione è stata adibita la «solidarity tend» dove è possibile conoscere la storia di Susiya e dei villaggi della zona, bere il tè e fare anche qualche partita a carte.
Gli e le abitanti di Susiya non sono stati gli unici a riaffermare la propria r-esistenza quotidiana nelle colline a Sud di Hebron. Maggio è un mese importante per terminare il raccolto prima che si bruci per il caldo torrido dell'estate e le famiglie palestinesi hanno continuato a raccogliere determinate sotto gli abusi militari dell'occupazione, come a Jinba o a Um Al Arayes. Qui, ogni venerdì, la famiglia di S. si reca nei propri campi coltivati, dichiarati zona militare chiusa, sotto l'avamposto di Mitzpe Yair, per raccogliere l'orzo e così riaffermare il diritto all'accesso e all'uso della propria terra. Dopo 12 anni di raccolto non riuscito, a causa delle violenze delle forze militari israeliane e degli attacchi dei coloni, quest'anno S. sta raccogliendo i frutti della propria lotta quotidiana nonviolenta. Infatti, per il quarto venerdì consecutivo la sua famiglia è riuscita a portarsi a casa un un trattore pieno di raccolto, anche se la tensione è andata in aumento. Infatti questo ultimo venerdì del mese, soldati e polizia hanno reso più difficile, quasi impossibile, il raccolto, obbligando S. ad andare a casa prima del previsto.
A Jinba, le conseguenze sono state più ingenti, una famiglia si è vista distruggere una gran parte del proprio raccolto dai soldati israeliani durante esercitazioni militari illegali in suolo palestinese e due bambini pastori sono stati detenuti per alcune ore accusati di essersi recati troppo vicini alle suddette esercitazioni.

CONDIVISIONE E LAVORO


Con l'arrivo di maggio è arrivato anche il sole cocente, cambiano i colori e i ritmi di vita rallentano e si modificano con quelli della natura nelle Colline a Sud di Hebron. Noi volontari e volontarie cambiamo insieme a loro. I pastori cambiano i loro orari di uscita per sfruttare le poche ore di aria fresca e le famiglie si organizzano per terminare il raccolto, prima che venga bruciato dal caldo, con la speranza che anche questo mese si concluda senza grossi incidenti. Ogni venerdì siamo ad Um Al Arayes, a fianco di S. e della sua famiglia: hanno energia e determinazione, quest'anno vogliono raccogliere, le donne lo fanno ad una velocità impressionante. Per quattro venerdì consecutivi sono riusciti nel loro intento, non dovrebbe essere niente di straordinario ma sotto occupazione neanche riuscire a fare raccolto sulle proprie terre lo è. L'ultimo venerdì c'è stato un dispiegamento di macchine dell'esercito, è arrivata la DCO e la polizia, ma questo non li ha fermate. S. con il suo ebraico e i suoi modi tranquilli e determinati è riuscito a prolungare il raccolto, anche se purtroppo alla fine non c'è stato niente da fare e si è dovuto terminare prima.
A maggio siamo stati anche a Jimba, dove la presenza delle esercitazioni militari israeliane ha modificato i ritmi del raccolto, e ne ha distrutto una parte.
Nel mese abbiamo monitorato la scorta militare prevista per i bambini di Tuba, fino al 26 maggio, ultimo giorno di scuola. In questo mese la scorta ha ritardato in diverse occasioni, sempre con le stesse scuse, sempre con gli stessi atteggiamenti. Anche se la scuola è finita, è arrivato il tempo della maturità... da Tuba c'è solo M. che deve dare gli esami e per lei non è prevista la scorta militare. Per questo, ogni giorno dovrà percorrere da sola la strada lunga per l'intero periodo per raggiungere At-Tuwani. Nonostante questo ogni mattina vediamo M. sorridente accompagnata da qualche fratello che sola non la lascia. La resistenza è anche non lasciare mai soli.
Insieme a giovani palestinesi di At-Tuwani e Tuba, abbiamo partecipato ad alcune giornate del seminario su media alternativi per giovani giornalisti stranieri e palestinesi, promosso dal Popular Struggle Coordination Committee, Sci Italia e l’agenzia Amisnet. Dai giorni di incontri è nata l’idea di creare una rete tra le persone coinvolte con lo scopo di dare la possibilità ai giornalisti palestinesi di raccontare la Palestina in prima persona, combattere gli stereotipi sul popolo palestinese all'estero e far emergere storie di resistenza quotidiana, sconosciute ma utili a spiegare il reale contesto della popolazione.

R-ESISTERE – Donne in Palestina

Essere donna in Palestina non è ne meglio ne peggio, è solo diverso.
Prima di tutto, essere donna in Palestina significa vivere sotto occupazione e resistere quotidianamente agli abusi degli occupanti. E gli abusi sono molti.
Molte giornaliste partecipanti al seminario su media alternativi chiedono come sia la situazione dei diritti delle donne. Nelle loro domande si percepiscono un po' di quei preconcetti occidentali che noi europei conosciamo bene: ci hanno raccontato che nella cultura islamica la donna è solitamente oppressa, è relegata in casa e ha un ruolo di secondo piano. Con i nostri occhiali, arriviamo in Palestina, visitiamo qualche villaggio per alcune ore e le conclusioni sono tratte. Chissà poi cosa potremmo realmente insegnare noi europee sulla reale libertà delle donne o sulla violenza di genere.
Comunque la situazione è ben più complessa e ci sono molte storie di donne r-esistenti che non si vedono alla luce del sole, ma che richiedono un ascolto diverso, quello del quotidiano e non quello dello straordinario. Lo straordinario lasciamolo pure agli uomini, chissà alle donne palestinesi non interessano più di tanto i riflettori della stampa.
Per rispondere a questa domanda penso a Z., una ragazza di 21 anni di Jinba, un villaggio palestinese della Firing Zone 918. Qualche settimana fa, con una volontaria di Operazione Colomba siamo state a visitare il villaggio, erano giorni di training militari israeliani e alcune famiglie avevano sospeso il raccolto vicino agli addestramenti. A Z. quando ci vede le si illuminano gli occhi, ci chiede di accompagnarla a raccogliere, proprio vicino a dove ci sono i militari, proprio vicino a dove i militari hanno distrutto una buona parte del raccolto della sua famiglia. Prende l'occorrente e andiamo, noi tre sole. Arriviamo ai campi, ci fa vedere i buchi lasciati dai soldati durante le esercitazioni, il grano distrutto e ci porta ancora più vicino a dove i soldati avevano messo una tenda per accampare. Lì Z. si china ed inizia a raccogliere. Un po' da una parte e un po' dall'altra, in una forma simbolica. I suoi occhi blu enormi brillano, ci dice che senza le «ajaneb» non avrebbe potuto farlo.
Mentre torniamo a casa sua per bere un chai Z. ride e scherza, dice che lei non si vuole sposare, lei vuole essere libera. E' contenta Z., ha raccolto sulla sua terra, da sola ha fatto la sua azione di resistenza nonviolenta quotidiana.