Ottobre 2015

SITUAZIONE ATTUALE

Siamo di fronte alla terza Intifada?
Se sì, allora quando esattamente è cominciata e quali sono le cause?
Domande con risposte difficili e mai complete, lasciate sempre a metà, ma sono questi gli interrogativi che si sono presentati a noi volontari sul campo, durante il sanguinoso mese di Ottobre, un mese di repressione e in cui le forze di occupazione israeliane hanno mostrato il loro volto più crudele e brutale degli ultimi anni in West Bank.

 

Per capire tuttavia dove affonda le radici questa nuova ondata di violenze occorre, secondo noi volontari, fare qualche passo indietro cronologicamente, nel mese di agosto: infatti, l'uccisione del bambino di Duma (bruciato vivo dai coloni), sembra segnare un passo importante per l'escalation di violenza. Se a questo si aggiungono le continue restrizioni ai palestinesi per l'accesso alla moschea di Al Aqsa, le continue “visite” di coloni israeliani scortati dalla polizia, in uno dei luoghi più sacri per l'islam (sfociati in scontri all'interno della moschea stessa); o ancora l'inasprimento delle norme repressive volte a colpire chi manifesta lanciando sassi, è più facile comprendere la cornice entro cui si esternalizza la rabbia palestinese. E' una rabbia esasperata da decenni di occupazione militare e civile nei territori, dall'assedio di Gaza, dal relegamento dei palestinesi israeliani a cittadini di serie B.
L'uccisione di una coppia di coloni e gli accoltellamenti a civili Israeliani dei primi giorni di ottobre hanno sicuramente contribuito all'aumento delle misure di sicurezza delle forze israeliane.
È documentato che molte uccisioni di palestinesi, giustificate come difesa a tentativi di attacchi, siano diventate vere e proprie esecuzioni. Allo stesso tempo si è venuto a creare un isterismo, all'interno della società israeliana, che ha portato all'uccisione di diversi palestinesi che appunto non costituivano di per sé minaccia per nessuno (video).
Inoltre la chiamata alle armi e l'invito a sparare anche a semplici sospetti ha creato in Israele una reale fobia del “diverso”, tanto da prendere di mira come vittima chi pur essendo ebreo israeliano ha tratti arabi, o chi, semplicemente ha un diverso colore della pelle.
Come volontari sul campo esprimiamo una forte preoccupazione per questa tendenza della società israeliana ad avere connotati sempre più razzisti nei confronti di chi non è bianco ed ebreo.
Solo tenendo come chiave di lettura l'occupazione di questa terra, con tutte le sue dinamiche annesse, si possono leggere (e anche mappare) le azioni intraprese dall'esercito e dai coloni israeliani: se nella prima metà del mese di ottobre i maggiori sforzi repressivi si sono concentrati in Gerusalemme Est (con la chiusura dei quartieri, diversi ragazzi morti ecc), nella seconda metà la violenza si è concentrata a Hebron, dove sono stati uccisi circa 20 palestinesi coinvolti in "presunti" attacchi all'arma bianca. Proprio qui le intenzioni dei 500 coloni insediati nel cuore della città e delle forze militari israeliane che li proteggono, sembrano essere più chiare: “ripulire” da palestinesi Tel Rumeida, il centro della città vecchia, ed in particolare Shuhada Street.
Per riuscire in questo intento anche gli osservatori internazionali sono diventati target di coloni ed esercito, quasi a dimostrare l'intenzione di Israele a non volere occhi esterni o testimonianze della pulizia etnica che sta avvenendo in città.

CONDIVISIONE, LAVORO E NOVITA' SUI VOLONTARI

Durante il mese di Ottobre le attività di accompagnamento dei pastori dell'area sono state molto ridotte: i palestinesi infatti, impauriti dalle esecuzioni sommarie di giovani ragazzi incolpati (in più di un'occasione con prove fittizie) di aver tentato di attaccare militari israeliani, hanno deciso di non esporsi troppo, riducendo le attività. La paura di essere ammazzati da un soldato o da un colono si è fatta sentire forte in questo periodo.
Con le attività ridotte abbiamo però ricevuto chiamate ad essere presenti in situazioni di emergenza come durante gli scontri tra ragazzi palestinesi e soldati israeliani all'ingresso della città di Yatta. Appena arrivati abbiamo cominciato a filmare a lato degli scontri da una casa di un palestinese che ci ha ospitato. Quando la carica dell'esercito è partita, siamo stati subito presi di mira dal lancio di lacrimogeni: chiaro segno che l'occupazione non vuole testimoni che documentino.
Verso la fine di ottobre due di noi si sono spostati a Nablus per accompagnare una famiglia a raccogliere le olive sul proprio campo vicino alla colonia di Bracha. Per fare questo, il capofamiglia ha dovuto aspettare il permesso dell'autorità israeliana che ha concesso due giorni per terminare un campo di 300 olivi. Considerando che in un giorno 8 persone possono raccogliere da una decina di alberi, questo significa che quest'anno la famiglia di Abu S. perderà circa il 93% del raccolto per ragioni di sicurezza di Israele. Nonostante questo, le giornate passate con la famiglia sono state molto belle, e ci hanno dato la possibilità di vedere un altro pezzo di Palestina che ancora non conoscevamo.

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