Novembre 2015

SITUAZIONE ATTUALE

La spirale di violenza che sta seminando morti da metà settembre in Cisgiordania non sembra destinata a finire: non ci sono regole, non esiste giustizia. Più di 100 Palestinesi sono stati uccisi dal primo ottobre per mano dell'esercito israeliano o per azioni di rappresaglia di civili israeliani. Nello stesso periodo venti israeliani sono morti in attentati palestinesi in quella che da due mesi i media hanno etichettato come Intifada dei coltelli. I giovani palestinesi continuano a scendere in strada per manifestare tutta la loro frustrazione nei confronti di un occupazione militare che non si accontenta più di vederli chiusi in casa ad aspettare che un altro pezzo di muro venga costruito su quel che resta della loro terra. Le case palestinesi per Israele vanno demolite, siano queste della famiglia di presunti attentatori o semplicemente costruite senza il proprio permesso. A nulla è servito il ricorso presentato da alcune Organizzazioni per i diritti umani per fermare le demolizioni di case dei famigliari di attentatori, o presunti tali, palestinesi. La Corte Suprema israeliana ha respinto il ricorso ed autorizzato le demolizioni. Le punizioni collettive sono ormai parte integrante della politica di Israele nei confronti della popolazione civile palestinese. In merito a questo la risposta degli organismi internazionali sembra debole o quasi inesistente.

CONDIVISIONE, LAVORO E NOVITA' SUI VOLONTARI

A novembre, il ritmo dell'occupazione israeliana è salito notevolmente in termini di intensità di violenze compiute a danno dei palestinesi. Nelle Southern Hebron Hills l'esercito ha tentato di isolare la città di Yatta, bloccando tutte le strade di accesso con road-block e checkpoints. Ad At-tuwani, dopo una settimana di blocco, che impedisce tuttora alla gente di raggiungere la città (e quindi ospedali, scuola, università, rifornimenti alimentari ecc.) i palestinesi hanno deciso di rimuoverlo di notte. I soldati sono arrivati e hanno monitorato l'azione. Due giorni dopo l'esercito ha rimesso il road-block che tuttora persiste. Numerosi sono stati anche i checkpoint durante i quali i militari hanno spesso perquisito macchine e persone. Durante uno di questi la polizia israeliana ha arrestato un giovane autista di un'autocisterna, trovato senza patente di guida: dopo essere stato ammanettato mani e piedi, è stato fatto inginocchiare per un'ora per poi esser portato in prigione dove dovrà scontare 3 mesi di carcere. Il suo camion carico d'acqua (rifornimento per il suo villaggio) è stato sequestrato non prima di esser stato svuotato a lato della bypass road. Quando due volontari di Operazione Colomba si sono avvicinati per chiedere spiegazioni, il poliziotto ha cominciato a urlare di tornare indietro “scarrellando” con il suo M-16 per mettere il colpo in canna. I volontari hanno semplicemente cercato di mettere in contatto il palestinese arrestato con il suo legale; alla vista di un mitra carico e puntato contro, hanno deciso di non compromettere ulteriormente la situazione e filmare quanto stava accadendo, facendo un passo indietro.
“In generale abbiamo passato un mese coi nervi a fior di pelle e sempre pronti a scattare per le emergenze spostandoci e monitorando la chiusura della città di Yatta con tutte le difficoltà che da questa derivano: se non ci fosse l'occupazione con colonie, checkpoint e strade bloccate, una donna incinta potrebbe raggiungere l'ospedale in venti-venticinque minuti. Il 29 novembre ci ha messo 2 ore e mezza: dal suo villaggio, fino all'ospedale di Yatta, per una strada sterrata, evitando checkpoint e aggirando road-blocks, sempre accompagnati dal timore di essere arrestati per un nonnulla. Il nuovo figlio, ora, è nato. N. è in piena forma ed è l'orgoglio del papà”..

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Per la Giornata Internazionale dei Diritti Umani, 10 dicembre 2015, Operazione Colomba ha pubblicato online la versione completa del video SO FAR SO CLOSE III: Operazione Colomba e la Resistenza Popolare Nonviolenta Palestinese nelle colline a sud di Hebron, in Palestina: Palestinesi, israeliani, italiani, attraverso questo video raccontano, oltre gli stereotipi, come nasce e si porta avanti giorno dopo giorno una lotta nonviolenta condivisa e come si possono affermare i diritti senza l’uso delle armi. La telecamera riprende luoghi, situazioni, documenta uno spaccato del conflitto che dura da più di mezzo secolo... violenze e soprusi ma anche la speranza di una modalità diversa di rispondere: è il Sumud, l’esistere per resistere, che non è sacrificio di se ma il mettersi al servizio dei valori della libertà e dei diritti umani: clicca qui per vedere il video!