Aprile 2017

Situazione attuale

Aprile dolce dormire… ma le colline a sud di Hebron ben sanno che l’occupazione non dorme mai.
L’espansione dell’avamposto illegale di Avigayil, con una nuova costruzione a ridosso di una valle palestinese, e la testa sanguinante di un ragazzo di At-Tuwani preso a sassate da alcuni coloni, lo ricordano in continuazione.

Non è mancata la presenza militare israeliana che, giustificata da un presunto furto di arnie dalla colonia di Ma’on, è entrata nel villaggio schierando un considerevole numero di soldati a volto coperto, scortando un colono armato.
Sempre le forze Israeliane hanno negato l’accesso agli internazionali in una valle palestinese per 24 ore. La causa? Una delegazione di scozzesi che per solidarietà alla popolazione palestinese, piantava alberi di ulivo cantando. Durante le giornate dedite alla raccolta e al trasporto di grano ed erba medica, che ha visto un dispiegarsi di famiglie palestinesi dedite al lavoro della terra adiacente alla colonia di Ma’on e all’illegale avamposto, gruppi di coloni si sono aggirati nei pressi di tali aree. Hanno controllato, pregato, inseguito i pastori, e si sono stanziati a ridosso dei palestinesi e dei volontari di Operazione Colomba, rimarcando la loro convinta quanto presunta supremazia e predominio sulla terra circostante.
Questa volontà di prevaricazione e totale assenza di riconoscimento dell’altro, si è manifestata anche nell’area della Jordan Valley, dove un gruppo di attivisti israeliani dell’associazione Ta’ayush, è stato attaccato da una quindicina di coloni colmi di rabbia e pietre.
Anche i bambini rimangono tristemente vittime della violenta rabbia del fanatismo nazional-religioso. Complice l’inefficienza della scorta militare, un gruppo di coloni ha inseguito e minacciato i bambini che tornavano dalla scuola di At-Tuwani verso il villaggio di Tuba, costringendoli a scappare, e ad aprire ancora una volta quelle ferite di terrore che la violenza produce.
Qualche giorno prima la stessa fuga è toccata ai volontari di Operazione Colomba che, dopo aver accompagnato al punto di incontro i bambini di Tuba con la scorta militare israeliana, sono stati inseguiti da un gruppo di coloni di Havat Ma’on, che li ha visti costretti a scappare.
Nonostante i costanti casi di abuso della violenza da parte dei coloni, la solidarietà può vantare una conquista. Dopo anni, i volontari di Operazione Colomba insieme ad A., attivista israeliano di Ta’ayush e alle sue due figlie, hanno accompagnato i bambini di Tuba a casa. Insieme hanno camminato per quella strada che, a causa dei frequenti attacchi, ha reso indispensabile ai bambini una scorta militare. Questa volta è stata percorsa senza la presenza dei soldati, che non si sono presentati per scortare i bambini e fortunatamente senza nessun tipo di attacco.

CONDIVISIONE, LAVORO E NOVITA' SUI VOLONTARI

Mese di incontri e ricongiungimenti tra i palestinesi e i volontari.
Aprile ha visto un riversarsi di storiche colombe in visita dopo tanto tempo lontane dal villaggio. Lontane fisicamente ma non con l’affetto, che è riemerso tra i ricordi dei periodi passati insieme e le nuove condivisioni. Altra novità atterrata ad At-Tuwani è stata la presenza di un clown italiano, che per un paio di giorni ha portato grandi risate tra i bambini e una piacevole dose di leggerezza e novità nel villaggio. E se da un lato l’Italia fa visita alla Palestina, questo mese ha visto anche la “pittoresca” organizzazione del viaggio della Palestina in Italia. Tra visti, consolati, sbagli burocratici e infinite chiamate, due attivisti della resistenza popolare nonviolenta presenzieranno nell’italica terra, testimoniando e condividendo questa parte di mondo.
Sul versante delle colline a sud di Hebron, i volontari di Operazione Colomba hanno continuato ad accompagnare e lavorare insieme ai contadini, vivendo con loro i momenti di fatica durante la raccolta, i fastidi delle spine conficcate nelle mani, e i momenti di soddisfazione che a fine giornata un campo spianato produce. Si crea così un legame più profondo con le persone e con quella terra che finisce per diventare casa anche per chi è “l'ajaneb”, lo straniero.