Marzo 2020

SITUAZIONE ATTUALE

A marzo in Israele si è tornato a votare per la terza volta in un anno, nel tentativo di formare un Governo e di rinnovare i 120 posti della Knesset, il Parlamento israeliano. Dopo le seconde elezioni, avvenute lo scorso Novembre, in cui Netanyahu ha ottenuto la maggioranza dei voti ma senza raggiungere i 61 posti richiesti dalla legge israeliana per governare, vi è stato il tentativo di formare un Governo di Unità Nazionale, non accettato da Benny Gantz (ex Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate) per l’appoggio da parte dell’Estrema Destra alla coalizione di Netanyahu. Il risultato di questa terza tornata elettorale è stato però simile, con una maggioranza guadagnata dal partito Blu e Bianco guidato da Benny Gantz, senza che quest’ultimo abbia ottenuto i numeri per la formazione di un Governo con la propria coalizione.

Il 15 marzo, complice l’incombenza del Coronavirus, il Presidente ha incaricato Gantz di formare un Governo: sebbene inizialmente non vi fosse l’intenzione di un Governo di Unità Nazionale, il 21 marzo sia Gantz che Netanyahu (il cui processo per frode e corruzione è stato sospeso per due mesi, fino alla fine dell’emergenza) hanno dichiarato alla stampa che vi sono negoziazioni in corso tra le due coalizioni per creare almeno un Governo necessario a fronteggiare l’emergenza sanitaria. L’accordo sarebbe un Governo supportato da ambedue le coalizioni, con il seggio di Primo Ministro a rotazione.
Come in tutto il mondo, l’arrivo del Coronavirus ha cambiato radicalmente la vita di Israele e della Palestina. Il primo caso nello Stato di Israele si è registrato il 21 febbraio allo Sheba Medical Centre, dove una donna di ritorno dalla Corea del Sud si era recata per una forte polmonite: Israele decide di imporre, nella stessa giornata, una quarantena obbligatoria di due settimane per tutti coloro che tornano o arrivano da Paesi stranieri. Il 5 marzo viene trovato il primo focolaio di COVID-19 anche in Palestina: in un hotel di Betlemme, 19 turisti greci vengono trovate positive al Virus, portando l’Autorità Palestinese a decidere di sigillare la città due giorni dopo, non permettendo a nessuno di entrare e di uscire, se non per motivi medici o di necessità.
La Palestina dichiara lo Stato di Emergenza, vengono chiusi i Check Point che collegano la West Bank con Israele e vengono invitati tutti i turisti che si trovano nei Territori Occupati a mettersi in contatto con la propria ambasciata, così da coordinare la propria uscita dalla Palestina, altrimenti sigillata: i turisti, dopo aver avuto il permesso di Israele, e in collaborazione con la propria ambasciata, avranno infatti il permesso di superare i Check Point solo per raggiungere l’aeroporto, e lasciare il Paese entro sei ore dal passaggio.
Il 15 marzo, il Parlamento approva una legge speciale, di durata di 30 giorni, che permette allo Shin Bet (i Servizi Segreti israeliani) di tracciare i telefoni di coloro ritenuti positivi al COVID-19, per ricostruire i loro movimenti: questa legge ha portato manifestazioni in tutto Israele.
Il 18 marzo, l’Autorità Palestinese e l’esercito Israeliano iniziano operazioni congiunte nei Territori Occupati, con lo scopo di contenere il virus nelle aree infette, permettendo alle Forze di Occupazione di entrare anche nelle Aree A (che, per gli Accordi di Oslo, sono proibite ai cittadini israeliani). Il 19 marzo, dopo innumerevoli casi, Israele dichiara lo stato di Emergenza, sospendendo i servizi di trasporto pubblico, le funzioni religiose e qualunque tipo di spostamento non necessario. Il 21 marzo si registrano i primi due casi di COVID-19 anche a Gaza. A fine mese, in Israele si contano più di 1000 casi di infetti da Coronavirus, in Palestina circa 107 casi (ed il decesso di una donna il 25 marzo), mentre a Gaza 10 casi.

CONDIVISIONE, LAVORO E NOVITA' SUI VOLONTARI

Successivamente alle elezioni, la violenza dei coloni e dei soldati è cresciuta esponenzialmente.
La notte del 10 marzo, a seguito di una manifestazione pacifica tenuta dai cittadini del villaggio di At-Tuwani, i coloni dell’avamposto illegale di Havat Ma’on hanno allontanato i palestinesi, chiamando poi l’esercito.
Il 27 marzo i coloni di Havat Ma’on sono usciti dall’avamposto impugnando una pistola e con un cane (che aveva già precedentemente attaccato diversi palestinesi): sebbene vi fosse la presenza dell’esercito, uno dei palestinesi (a cui è stato rubato il telefono con cui stava filmando) è stato ferito dal cane. L’esercito ha sparato diverse bombe fumogene contro i palestinesi accorsi.
Il giorno successivo i coloni sono tornati ad attaccare i pastori che stavano pascolando. L’esercito è tornato ed ha attaccato violentemente i palestinesi: uno di loro è stato ferito ad una mano (successivamente risultata rotta), mentre tre di loro sono stati arrestati. Sono stati rilasciati solo il giorno successivo.
L’attività di School Patrol si è conclusa il 7 marzo, quando l’Autorità Palestinese ha chiuso preventivamente le scuole di tutti i gradi. Si è registrato, nei primi giorni del mese, un costante ritardo della scorta militare, che ha portato i volontari a dover più volte contattare la base militare.
Il 2 marzo i volontari hanno partecipato ad una manifestazione nel villaggio di Qusra, vicino a Ramallah, con gli attivisti palestinesi di Youth of Sumud. La manifestazione, indetta in concomitanza con le elezioni israeliane, riguardava un terreno palestinese dove, nei giorni precedenti, i bulldozer dei coloni avevano distrutto le piantagioni di ulivi. Durante la manifestazione due palestinesi sono stati feriti dalle bombe fumogene usate dall’esercito per disperdere la folla. Fortunatamente, non vi sono stati arresti.
Nella valle del Giordano, nell’area vicino a Jericho, i coloni dell’avamposto di Omar Farm hanno più volte chiamato l’esercito israeliano, che ha costretto i pastori ad allontanarsi dalle terre dove stavano pascolando. I coloni hanno iniziato ad usare dei droni, mentre si segnala una presenza sempre più massiccia dei membri di una organizzazione israeliana pro coloni (I’m Tirzu), dedita in particolare a schedare ed allontanare gli attivisti presenti sul luogo.
Dopo la chiusura dei Territori Occupati a causa del COVID-19, gli attivisti israeliani e internazionali non hanno più potuto essere presenti con continuità nelle diverse aree dove operavano. Questo ha portato ad un aumento delle violenze da parte dei coloni e dell’esercito, con la creazione di nuovi avamposti illegali (in due settimane, diversi avamposti sono stati fondati nell’area di Ouja, in Jordan Valley). Israele ha approfittato delle restrizioni obbligatorie imposte dal virus per aumentare la propria presenza in Palestina, dove l’esercito è entrato, per ragioni di sicurezza, anche in diverse città della Cisgiordania.